La motivazione è esplicitata nella sentenza, che prende le mosse dall’art. 6 del Codice: “...la valorizzazzione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso... La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze.”
Richiamando gli articoli 111, 112 e 115 del Codice, inerenti la valorizzazione e la gestionedei beni culturali di appartenenza pubblica, la sentenza continua: “[...] la gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. Le amministrazioni medesime possono attuare la gestione diretta anche in forma consortile pubblica.
[...] Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali ricorrono alla gestione indiretta al fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni culturali. La scelta tra le due forme di gestione è attuata mediante valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti. La gestione in forma indiretta è attuata nel rispetto dei parametri di cui all'articolo 114.
Le amministrazioni cui i beni pertengono e, ove conferitari dei beni, i soggetti giuridici costituiti ai sensi dell'articolo 112, comma 5, regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione mediante contratto di servizio, nel quale sono determinati, tra l'altro, i contenuti del progetto di gestione delle attività di valorizzazione ed i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da erogare, nonché le professionalità degli addetti. Nel contratto di servizio sono indicati i servizi essenziali che devono essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene.
Rileva, ancora, la sentenza in oggetto, che: “Il quadro normativo relativo alla valorizzazione del bene culturale consente allora di cogliere significative condizioni e limiti alla sua attuazione. Deve trattarsi di attività volte alla promozione della conoscenza del bene culturale e a migliorarne la fruibilità pubblica; nel perimetro delle attività di valorizzazione sono da ricomprendere anche la promozione e il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio, la cui tutela deve comunque essere al centro dell’attività di valorizzazione. Questa, se è ad iniziativa pubblica, deve necessariamente conformarsi ai principi di libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione. In conclusione, la valorizzazione del bene culturale non può essere assimilata al mero sfruttamento dello stesso per fini di natura imprenditoriale/commerciale, né deve in alcun modo alterare le caratteristiche fisiche del bene o ridurne la fruibilità pubblica...”
Per questi motivi, la Corte ha condannato il responsabile dell’inosservanza rilevata, al pagamento di euro 400.000 oltre spese legali. Si tratta, nello specifico, di un bene archeologico; ma il principio, che questa sentenza richiama e del quale impone il rispetto, è molto preciso: lo stravolgimento di un bene culturale è un atto illegittimo, passibile di pene molto pesanti.
Che la Biblioteca Comunale di Mesagne (che ha 150 anni) sia un bene culturale è innegabile; come è innegabile che essa abbia beneficiato di vari finanziamenti Regionali ed Europei tesi alla valorizzazione, sempre regolarmente impiegati e correttamente rendicontati. Ho dichiarato, fin dallo scorso settembre, che lo stravolgimento della Bib. Com. di Mesagne è un crimine; ma non ero, forse, abbastanza credibile; lo stesso principio, credo, è applicabile anche alla Pinacoteca Comunale. Sarà, forse, il caso che ora la questione venga presa sul serio?
Domenico Urgesi