presenti nel settore da quattro generazioni, cioè da ben duecento anni, che opera nella coltivazione di uliveti e vigneti, con l'amore di un tempo nel curare le piante e nell'utilizzare avanzate tecnologie sia nella raccolta che nella trasformazione delle olive. In autunno inizia la raccolta dei frutti, appena le drupe virano al verde-violaceo secondo il metodo della "brucatura" cioè direttamente dalle piante, con cesti o teli stesi per terra per attutite la caduta e nella giornata sono trasformate in olio extravergine nel frantoio aziendale, situato sull'antica via Appia. Oggi alla guida dell'azienda vi sono i tre fratelli Carlo, Cosimo e Giovanni.
Memmola, come sta andando qualitativamente e quantitativamente la presente campagna olearia.
L'annata si è presentata buona con la produzione di olio equilibrato, non aggressivo e privo di difetti. Sul fronte della quantità ci sono delle rese piuttosto basse dovute principalmente all'andamento climatico di fine estate e inizio autunno. In ogni modo la quantità riscontrata è maggiore degli altri anni.
La Xylella e la lebbra stanno incidendo sulla qualità del prodotto?
Assolutamente no perché sono malattie fungine. La lebbra, in particolare, è legata all'andamento climatico dato dall'umidità. La Xylella, come ben sappiamo, è legata a dei particolari vettori. Perciò se l'olivo è stato ben difeso e coltivato l'olio che se ne produce è senz'altro extravergine di ottima qualità.
Quali sono le maggiori difficoltà del settore.
Le difficoltà sono chiaramente legate al mercato globale dell'olio poiché dobbiamo confrontarci con Paesi che hanno costi di produzione inferiori ai nostri. Lo stato italiano aiuta il comparto? Per la verità lo stato ci aiuta poco e ci penalizza molto. Oggi c'è un minimo aiuto alla produzione. Poco confronto alle tasse e ai vari balzelli che un'azienda deve pagare. In altri Paesi, anche europei, i costi di produzione sono nettamente inferiori. In Italia arriva olio dalla Spagna, dalla Grecia e anche dalla Turchia.
Com’è cambiata l'olivicoltura negli ultimi lustri.
Negli ultimi venti anni l'olivicoltura ha peggiorato. La Comunità europea ha stanziato soldi, sottoforma d’integrazione al prezzo di olio, per migliorare colturalmente gli olivi. Soldi che, però, solo in parte sono stati utilizzati per migliorare la qualità. Venti anni fa con i ricavi delle olive le famiglie vivevano. Oggi non è più così e negli oliveti ci rimettiamo soldi.
Quali sono i mercati principali in cui esportate i vostri oli?
Prevalentemente sui mercati nazionale ed europeo. In America e nei Paesi dell'Est Europa non hanno la cultura dell'olio di qualità poiché guardano principalmente al prezzo basso.
Oggi c'è proporzione tra costi e ricavi?
Assolutamente no. La nicchia di mercato è solo del 20 per cento. Ecco perché, alla luce delle frodi commerciali nazionali scoperte nei giorni scorsi, auspichiamo che ci siano maggiori controlli sul prodotto. Non si può vendere una bottiglia di olio extravergine a 2 euro. Tra costi del prodotto, di produzione e ricariche del venditore finale siamo ben sopra i 2 euro. Se troviamo nei market quei prezzi, evidentemente, c'è qualcosa che andrebbe approfondito.