originario di un paese del brindisino ove svolgeva l’attività di artigiano ed era membro di un’associazione sportiva finalizzata a promuovere e conoscere il territorio, indagato per i reati di violenza sessuale nei confronti di persona, all’epoca dei fatti, minore degli anni 18, con l’aggravante di aver commesso il fatto per motivi abietti e futili e di aver agito con crudeltà nei confronti della vittima; di minaccia e violenza privata, costringendola ad infliggersi punizioni corporali e atti di autolesionismo ogni qualvolta la stessa non ottemperava ai suoi ordini, tra cui quello di non comunicare, neanche a mezzo telefono, con nessuno e incitandola a sottoporsi a seduta ipnotica regressiva al fine di purificarsi da altre precedenti relazioni sentimentali e sessuali.
In particolare, verso la fine dell’anno scorso, una giovane donna si presentava negli uffici del Commissariato, accompagnata da due persone che la sostenevano psicologicamente e che chiedevano di ascoltare la sua storia di violenza. Una come le tante, molte sommerse? Per alcuni versi sì, le violenze sono sempre di natura fisica, verbale, economica, persecutoria, sessuale. Ma in questa, oltre alla variegata tipologia di violenza, c’era di più: c’era un incredibile sapore di medioevo con una presenza costante di sedute ipnotiche che venivano proposte alla vittima che avrebbe dovuto purificare il suo animo per esser degna di quell’uomo.
Per un paio di anni quello “scricciolo” di ragazza, che transitava dalla minore alla maggiore età, con una storia familiare difficile che l’aveva resa debole e insicura, era rimasta nel possesso dell’odierno indagato. “Nel possesso” è esattamente l’espressione, purtroppo, più calzante per definire quel rapporto sperequato in cui lui dettava ordini e pretendeva inaudite e raccapriccianti “prove d’amore” (tagli in varie parti del corpo, bruciature della schiena con la piastra per capelli, dei polsi e delle gambe con un accendino, nello sbattere la testa ripetutamente contro il muro e nell’ingerire farmaci fino a tentare il suicidio) e lei subiva in silenzio, impotente, lusingata per le attenzioni (malate) ricevute da quell’uomo che molti genitori di ragazzine che gravitavano in quell’associazione sportiva vedevano come un educatore, un supporto per la crescita delle loro creature.
Vero è, infatti, che durante l’attività di indagine emergeva che la vittima non era una soltanto, ma che altre minori, nell’ingenuità ed inconsapevolezza dei loro genitori, erano state rese oggetto di attenzione da parte del ristretto. Non è stato semplice ascoltare quella donna, né le persone informate dei fatti, lo scenario che ne veniva fuori appariva anacronistico e per alcuni versi surreale.
Al Commissariato è scesa in campo “la quota rosa” dell’ufficio che ha saputo accogliere e ascoltare l’animo traumatizzato di Giulia (la chiamiamo così, fittiziamente) che, però, è riuscita a ribellarsi, a prendere quel coraggio per raccontare la sua storia.