ed amministrare il bene comune. Etimologicamente politiké (téchné) significa (arte) politica; politikòs, è” proprio del cittadino”, polités è,invece, il “cittadino”. Essa, quindi, fa riferimento ai propri ideali nel gestire la cosa pubblica, i bisogni, la sicurezza, la tutela e i diritti del “cittadino”. Il gestire la tassonomia dei valori ne richiede la prossimità dell’uomo verso l’altro uomo, racchiusa nella sua finitezza d’equilibrio tra realtà e ragion d’essere. Per N. Bobbio in “il futuro della democrazia”, la base di essa è in “uno stato diritto che non solo esercita il potere “sub lege”ma entro i limiti derivanti dal riconoscimento dei diritti inviolabili dell’individuo”. In uno Stato democratico, quindi, non si possono mettere in discussione “i diritti acquisiti”, sui quali si sono programmati i percorsi di vita, che sono stati legittimati nel rispetto delle procedure democratiche, al cui interno la norma deve operare. In questo primo ventennio del terzo millennio l’Italia si trova a fronteggiare una grave crisi che incide in modo fortemente squilibrato la speranza del futuro dei giovani, riducendo significativamente le loro possibilità di trovare lavoro e di avere una famiglia propria. Le criticità sono dovute a scelte politiche-economiche sbagliate che non hanno permesso di far ripartire le progettualità emesse dalle enormi potenzialità d’intelligenze spirituali e materiali del nostro paese. Il problema dell’assenza della politica è nel male radicale dell’uomo che è “familistico”. L’Io verso la passione del benessere privato si antepone all’interesse per la cosa pubblica. Si ha allora, come dice Aristotele, la pretesa di un diritto che non gli appartiene, “una Oligarchia del potere”. La politica non diviene più biocomunicativa , mentre la sua legittimità predomina nel vecchio senza orientarsi ai bisogni dell’individuo e alla difesa dei valori e che, non rispettante le basi etico-morali del vivere comune, ingenera paure e incertezze sovrapposte da forme diffuse di clientelismo e corporativismo. Una nuova stagione di sviluppo deve porre al centro la persona, i suoi bisogni e i suoi valori condividendo le virtù unificanti, ricchezze, culture e benessere, che sono le risorse valorizzanti della nostra società, incisive e indispensabili promotori per la crescita e verso il progresso e lo sviluppo del nostro Paese. Uscire dalla crisi significa aggredire contemporaneamente le “ragion d’essere” che si basano su: competitività, equità e statalismo. Il flusso della ricchezza di un paese per la crescita non dipende solo dai servizi e beni prodotti , ma dal sostegno che si dà alla Ricerca, all’integrazione territoriale, all’apertura culturale, alle famiglie e al volontariato che sono il capitale comune e ricchezza del patrimonio storico e culturale e della qualità relazionale e spirituale di una comunità che, oltre a essere un valore in sé, un do – ut – des nel funzionamento delle istituzioni, sono vettori di crescita della produttività in un mondo nel quale la capacità di fare squadra per risolvere problemi complessi diventa più importante. La sfida è in un modello di sviluppo competitivo, che accetti le nuove tecnologie innovative, che si orienti verso un nuovo modello d’impresa sociale e vada oltre le due concezioni di mercato, strumento – mezzo, cenerentole del mercato globale, oggi dominus e leviatano della politica. La democrazia è ius unis e ius pluris. Benedetto XVI, a proposito della crisi della tradizione umanistica segnata dal relativismo e dalla post-modernità, ha insistito sul tema della razionalità condivisa, una visione diversa all’ideologia dello scontro di civiltà nel processo di globalizzazione e di crisi dell’umanesimo, ponendo attenzione sulla “evangelizzazione della cultura” prima e dei “valori non negoziabili” poi. In Italia il crescente “vuoto-etico” cominciò a partire dagli anni settanta. La vecchia politica della prima Repubblica non riuscì a frenare lo scontro di civiltà, malgrado la pretesa di pretendere di difendere i valori di senso di unità nel coinvolgimento dell’intera “famiglia umana. L’edificio politico della Seconda Repubblica non è stato preveggente. La nuova politica non aveva compreso l’iter del processo di globalizzazione che aveva già prodotto la caduta del muro di Berlino e il collasso dell’Urss. L’alternativa era nel creare sistema in un nuovo sviluppo politico – istituzionale responsabile di una realtà che aveva un tessuto sociale ormai lasciato allo “scoramento”, senza aver costruito una comune ritrovata visione ideale e influenzata da condivisibili unità d’intenti nel rispetto dei Diritti e nella sua qualità di consenso del “diritto di avere diritti”, come scrisse Rodotà, contro la pretesa dei processi di globalizzazione : “i mercati votano, i mercati giudicano, i mercati danno le indicazioni. Questa subordinazione delle persone all’economia, non fa altro che ridurre le persone a merce di scambio”. Il concetto, riferendosi alla citazione dell’opera, le origini del totalitarismo di Hannah Arendt , è nel “male radicale”, riscontrabile unicamente nel nazismo e nello stanilismo come un dominio assoluto di una parte del potere politico, che vuole costruire una nuova natura dell’uomo, da ridurre a un fascio di necessità biologiche, facendone perdere completamente quell’imprevedibilità di essere uomo, cittadino libero della terra. I termini “totalitario e totalitarismo”, utilizzato da Lelio Basso sulla rivista “La Rivoluzione Liberale” nasce nel 1925, al IV Congresso del Partito Nazionale Fascista, ad opera di Benito Mussolini, come ”feroce volontà autoritaria” ed “ enfasi rivoluzionaria che indica forza e coraggio”, per divenire “accentramento di tutti i poteri politici su di sé da parte di un leader. In periodi diversi, soprattutto in Simone Weil, il termine indica “l’onnipervasiva” presenza del potere politico, che penetra in tutti gli ambiti sia economici sia sociali, con la finalità di un regime che intende “annientare la presenza umana” trasformando gli uomini stessi in cose e a renderli superflui”, permeabili a qualsiasi indottrinamento e quindi pronti a diventare complice di chi si definisce detentore di verità eterne sulla storia e sulla natura, sviluppatasi attraverso una logica di sopraffazione e di annullamento della dignità umana. “Il terrore”, scriveva Hannah Arendt, è “l’incutere al terrore uccidendo”, partendo dal totale disprezzo per la vita alla pretesa di controllo sugli esseri umani. L’idea, quindi, non fa riferimento a un nemico oggettivo o a una categoria di persone individuata e da colpire per ciò che fa, ma per ciò che è e che rappresenta. Il nodo esplosivo tra terrore e giovani, determinato dall’inasprimento delle disuguaglianze, legato alla crisi economica, sottolinea la necessità di migliori misure sul problema dell’integrazione esistente (per esempio degli immigrati), ma questa è una criticità e non una lotta al terrorismo. Il ruolo della politica si rende indispensabile nella sua voglia di ius pluris, di “Essere – Insieme” , “Vivere – Insieme” e “Libera – Insieme” in una sistema politico di prossimità e sussidiarietà. Vivere di prossimità e di sussidiarietà è un fatto politico che indica convivenza e non restrizioni e ortodossie del passato, legate alla subordinazione e agli esclusi. Vivere la polis significa vivere in uno stato di isonomia, dove tutti hanno pari dignità all’attività politica, all’attività di parola e in uno stato d’isegorìa o meglio di iselogia e quindi di libertà di parola. L’effettivo contenuto è di costruire il futuro insieme in un sistema politico di prossimità e sussidiarietà nel rispetto della parità dei diritti di essere cittadino che abbia l’innato diritto di esprimere se stesso così com’è e riveli la sua prospettiva, intrinseca e in conformità alla sua posizione di vivere in una realtà che è considerata comune a molti, che sta tra di loro, che li separa e unisce o che potrebbe essere reale, illusorio o elusiva a molti. Vivere nella libertà di dialogare, è possibile condividere la visibilità e il divenire di un mondo che cambia e comprendere il pluralismo di “Il vento che cambia” nel discorrere di qualcosa, della diversità complessiva e del fine della politica e dell’effettivo esito del politico stesso. L’ethos, il pathos e il logos indicano il sistema che dà un senso, le linee guida ed esprimono i valori della politica, emsistente pluralistica ma anche catapultata da assiomi ed eventi epocali come quelli accaduti nel primo ‘900. Non si vuole la criminalizzazione del passato, ma orientarsi verso la promozione della responsabilità etica del vivere insieme, verso il dare dignità alla politica del “ius pluris” e del “ius unis”, della democrazia “unicità/pluralista”, perché riguarda non solo gli uomini ma tutto ciò che sta attorno all’uomo e alla sua collettività, al suo agire, al suo protagonismo dell’uomo che fa e sa fare. La fiducia è nel concetto di positività senza rendere l’uomo alienante e riduttivo simile a una res machina, elemento e requisito indispensabile dell’essere – dominato, che non mira a distruggere lo spazio politico e che non annienta la sfera di essere uomo-libero per renderlo un individuo automa. L’idea di democrazia è di dare valore giuridico vincolante all’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “La dignità umana è inviolabile”. e che per essere tale ha bisogno dei diritti sociali: il diritto al lavoro, il diritto alla salute, all’abitazione, all’istruzione. L’equità, l’impegno, la responsabilità favoriscono la crescita,lo sviluppo e la giustizia e danno l’idea che la Buona politica rispetta la persona e rende l’individuo fornito di dignità In tal guisa per uno stato sociale, la sua voce di sintesi è nell’evocazione del presidente Lincoln, “governo del popolo, dal popolo, attraverso il popolo”. Occorre conoscere lo spirito delle leggi, della democrazia, della libertà, dei diritti e della tutela dei valori comuni; i quali, questi ultimi non sono “merce”, ma “valori fondamentali”, che rispecchiano il concetto stesso di vivere in democrazia nella sua lungimiranza di essere intoccabile, stabile ed inviolabile. La politica chiede conoscenze e competenze; Kant diceva che i pensieri senza contenuti sono vuoti, le intuizioni senza i concetti sono cieche; la politica ha bisogno di ideali; la politica senza competenze è vuota. Essa non sa di cosa parla, parla di sé e non dei problemi, mentre le competenze senza un sentimento politico, senza un ideale, rischiano di essere cieche. La capacità e la competenza sono nella gestione della cosa pubblica. La campagna politica del 4 marzo ne è stata un esempio. In Italia per troppi anni, la miseria ha generato l’odio che, invece di combatterlo, ha dato oblio all’allargamento delle opportunità, dei punti di forza e dei diritti per tutti. Penso alle disuguaglianze,al diritto alla Salute, all’Assistenza , a una Sanità accessibile a tutti, al diritto al lavoro, alla Previdenza e al diritto di avere una pensione, nodi ostativi di un male radicalizzato. La norma è un valore, che è espressività, come diceva Jacques Maritain, della “responsabilità morale verso le popolazioni e su una vera solidarietà umana” . Il codice di Hammurabi dava al Re, la funzione di “assicurare la pace e il benessere, garantire la corretta amministrazione della giustizia e tutelare i diritti delle categorie socialmente più deboli, emblematicamente raffigurate nell’orfano e nella vedova” e no nelle sue contraddizioni empiriche, cause di mortificazioni, di storture e di comportamenti “strumentum regni”, che sembravano a rinnegare le esigenze di libertà, di giustizia e di prossimità verso i popoli. L’idea di prossimità è il vero valore culturale di vivere in libertà e democrazia, visione espressiva della politica e bussola culturale orientativa della nostra comunità. La democrazia di prossimità dovrebbe essere la forza propulsiva, vitale, obiettivo di condivisione e di promozione delle nuove forme di democrazia. Paolo VI, nell’enciclica Octogesima Adveniens, nel 1971, chiedeva al politico d’inventare “nuove forme di democrazia” non soltanto ad essere biocomunicativo ma, anche, partecipativo, responsabile e impegnato nello sviluppo e percorso del progresso “Populorum Progressio”, legato al concetto di sussidiarietà e di prossimità , “ Caritas in Veritate” di vita della comunità (Benedetto XVI). Concetti e valori, che sono in risposta al relativismo della cultura contemporanea. Il vero bene non è un dato astratto, ma sostegno, “Vis”, forza della ragion politica che, secondo il filosofo Rosmini, sono i valori basilari della democrazia e delle sue forme di libertà dell’uomo, del legame tra collettività e società. La democrazia di prossimità è di proporzionalità cooperativa, perché è la definizione, secondo Giorgio Gonella, di “quell’ordinamento civile nel quale tutte le classi sociali, giuridiche ed economiche nella pienezza del loro sviluppo gerarchico cooperano proporzionalmente al bene comune, rifluendo nell’ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori” , della cooperazione verso il bene comune, verso “un estremismo costruttivo”, verso un senso civico da ritrovare e non verso “timido eclettismo”, come ha scritto Sentillanges, che andrà all’estremo di ogni nozione d’impegno civile . La scelta è nel valorizzare il rapporto tra democrazia e il tempo del futuro che vuole renderla compiuta nella prossimità dell’accoglienza, della solidarietà, della sussidiarietà e della partecipazione, ma ciascuna di queste aspirazioni vedono la democrazia in lotta con se stessa; essa si rende incompiuta; non ha un tempo limitato; non è né nel passato né nel presente, nel senso che le verità sono annunciate, smentite e si rendono elusive in evidenti contrasti con la stessa democrazia, concepita originariamente come democrazia delle libertà, a difesa dello strapotere dello Stato e di una democrazia dei diritti del cittadino e dei diritti di tutti e per tutti nell’esperienza socialdemocratica e ora dei diritti della prossimità nel rispetto del protagonismo della centralità della persona, della sua dignità e della qualità di vita. Giunta Tindaro Responsabile STU territoriale Appia Antica
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