alla benché minima replica: ovvero quando la politica, quella che decide nel concreto, passa alle vie di fatto si dimentica, o meglio, rinnega quanto da ella stessa deciso. Intorno alla fine del mese di luglio appena trascorso, oltre sessanta Docenti Costituzionaliste di tutte le Università italiane hanno inviato una lettera ai Presidenti delle Camere, denunciando “il grave vulnus costituzionale” con il quale, in occasione della “elezione di un giudice costituzionale, i componenti laici degli organi di amministrazione autonoma delle magistrature e cioè il Consiglio Superiore della Magistratura e i Consigli di Presidenza della Giustizia amministrativa, della Giustizia tributaria e della Corte dei Conti il Parlamento ha nominato 21 uomini su 21 posizioni disponibili”. Nel mondo accademico lo scandalo per questa decisione ha raggiunto i livelli di vera e propria crisi istituzionale tanto che le Costituzionaliste hanno dovuto scrivere ai Presidenti delle Camere per denunciare il gravissimo accaduto. Tutti presi da un dibattito politico ad oggi evanescente, declamato più che concretizzato, la notizia, benché circolata su alcuni quotidiani (Il Manifesto, Il Fatto e pochi altri) anche perché oscurata da avvenimenti di altra natura, è passata del tutto inosservata senza provocare alcun dibattito e men che meno l’indignazione diffusa che avrebbe dovuto provocare. Ma la questione sollevata dalle Costituzionaliste è di estrema rilevanza ed attiene al sistema rappresentativo ed al grado di civiltà della Repubblica Italiana della Repubblica Italiana, che per dettato costituzionale, non può operare discriminazioni sessiste nei confronti delle donne. Eppure l’art. 51 Cost. novellato dalla legge costituzionale n. 1 del 2003 parla chiaro: ”Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Dunque la Repubblica Italiana, in tutte le sue forme rappresentative a cominciare dal Parlamento, ha il compito di garantire le pari opportunità tra uomini e donne. Prima di approdare alla novella costituzionale 1/2003, si è registrato un lungo percorso intellettuale e scientifico a cominciare dalla prima sentenza, in materia, della Corte Costituzionale n. 422/1995. La Corte, controvertendosi in relazione alla legittimità costituzionale dell’art. 5, secondo comma, ultimo periodo, della legge 25 marzo 1993 n.81 recante “l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale” fu chiamata a decidere se quella norma che stabilisce una riserva di quote per l’uno e per l’altro sesso nelle liste dei candidati sia compatibile con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., con l’art. 51 Cost. (prima della novella) in materia di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, ed all’art. 49 che consente la libera associazione di tutti i cittadini al fine di garantirne la partecipazione democratica alla politica nazionale. (Dalla parte motiva della sentenza). La Corte ne dichiarò l’incostituzionalità provocando l’effetto che nessuna altra norma in materia avrebbe superato il vaglio di legittimità costituzionale senza una norma di copertura di rango costituzionale. Fu così dunque che si rese necessario varare la l. Costituzionale n.1 /2003, che integrando il già esistente art. 51 con la previsione dell’obbligo della Repubblica di promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne ed uomini, ha dato copertura a tutte le future norme in materia, prima inesistente. Invece è accaduto che, nonostante il propagandato “cambiamento”, nel più consolidato vecchio stile di accaparramento, in occasione della nomina di ben 21 rappresentanti all’interno di organismi vitali per il pieno e reale esercizio della democrazia, gli uomini hanno fatto “cappotto” e si sono aggiudicati tutte e 21 nomine. Neanche una donna! Ce ne ricorderemo il prossimo 8 marzo, che arriva, quasi premponitore, con le mimose già sfiorite, quando ci sarà la consueta sfilata di uomini di potere che inneggeranno alle pari opportunità salvo a dimenticarsene alla prima importante occasione.
Mesagne 15 settembre 2018
Carmelo Molfetta