Verso il 25 aprile 2020

Aprile 07, 2020 1050

molfetta-carmelo-avvocatoDall’eccidio delle Fosse Ardeatine al 25 aprile 45
Non c’è viaggio senza meta

Intorno alle ore 15 del 23 marzo del ‘44, in Roma, nel mentre una compagnia di polizia tedesca del battaglione Bozen transitava da via Rasella, un gruppo di partigiani che combattevano per liberare Roma dalle truppe degli occupanti –i tedeschi- lanciavano delle bombe a mano, facevano esplodere una carica di esplosivo, e trentadue soldati tedeschi restavano uccisi.

Il comandante tedesco a Roma, gen. Maeltzer dette immediatamente incarico al ten. col. Kappler di occuparsi dell’attentato. Tuttavia invece di occuparsi di rintracciare i responsabili, discussero delle modalità di sviluppare una cruenta azione di rappresaglia.

Fu deciso che il numero delle persone da fucilare, entro 24 ore dall’attentato, dovesse essere di dieci esecuzioni per ogni tedesco rimasto vittima dell’attentato.

Il m.llo Kesserling comunicò a Kappler che il numero così determinato era insufficiente, sicché questi, nella notte, predispose una lista di duecentosettanta persone ed il giorno dopo inoltrò richiesta alla polizia fascista italiana di predisporre una seconda lista di cinquanta persone a disposizione di quest’ultimi, al fine di raggiungere il numero finale di trecentoventi persone da trucidare.

Con precisione teutonica fu stabilito che il cap. Kochler doveva trovare il luogo dove eseguire l’ordine; Priebke doveva tenere il conto delle persone che di volta in volta venivano fucilate e Schutz ordinò, su disposizione ricevuta da Kappler, che l’esecuzione doveva avvenire mediante l’esplosione di un solo colpo alla testa di ciascuna vittima compresi gli ufficiali in modo che mai alcuno avrebbe potuto dire che non voleva.

Nel frattempo era deceduto un altro militare tedesco e dunque la lista venne integrata di altre dieci persone da fucilare.

Quando i corpi furono disseppelliti, si scoprì che, in realtà, erano state uccise trecentotrentacinque persone, quindici in più di quanto era stato stabilito.

L’orrore di quell’eccidio è stato raccontato così: “La fucilazione ebbe luogo a partire dal pomeriggio fino alla sera del 24 marzo 1944 all’interno delle Cave Ardeatine: nell’antistante piazzale giungevano gli autocarri con le vittime. Le operazioni erano dirette dal cap. Schtuz, il quale avvertì i soldati che ove qualcuno non se la fosse sentita sarebbe stato passato alle armi accanto alle vittime. Cinque soldati tedeschi prendevano in consegna cinque vittime, le accompagnavano in fondo alla cava debolmente illuminata da torce, le costringevano ad inginocchiarsi – con il passare delle ore anche passando sopra i cadaveri accatastati di coloro che le avevano preceduti- con la testa reclinata in avanti e ciascuno di essi sparava un colpo di pistola alla nuca della persona in consegna. I cadaveri trasportati da alcuni soldati, venivano ammucchiati sino all’altezza di un metro. Priebke tenne il conto delle vittime adempiendo fedelmente all’incarico ricevuto restando sul posto sino alle ore 19,00 circa allorquando terminò l’eccidio. Subito dopo alcune mine fatte brillare chiusero l’accesso alla cava.”

I processi che dopo la Liberazione si celebrarono, giudicarono illegittimo il ricorso alla rappresaglia, “per l’enorme sproporzione fra le conseguenze dell’attentato ed il numero delle vittime, in assenza di necessità bellica o di giustificato motivo”.

Quelle condotte furono qualificate come crimini di guerra contro l’umanità, furono respinte tutte le tesi difensive compresa quella sostenuta da alcuni imputati secondo cui non avrebbero avuto “consapevolezza dell’illegittimità dell’ordine di esecuzione”; fu rigettata l’eccezione del “travisamento dei fatti storici”, venne confermata la “manifesta criminosità dell’ordine e l’assenza del preteso adempimento del dovere, ritenuta finanche “l’adesione psicologica per ideologia ed abito mentale” ed avendo agito “senza che mai il dubbio o gli imperativi della coscienza avessero minato l’una o l’altra”.

Considerati tutti questi elementi, risultò del tutto pacifico che quella condotta “recava intrinsecamente ed ontologicamente, per la cinica selezione e sproporzione del numero delle vittime rispetto ai soldati tedeschi morti in conseguenza dell’attentato partigiano e per le efferate modalità di esecuzione collettiva delle uccisioni, le stimmate della manifesta, macroscopica, clamorosa ed ictu oculi riconoscibile criminosità dello sterminio di massa.” (Per gli approfondimenti cfr. Sent. Cass. I Sez. pen. 16/11/1998 n. 12595 Hass, Priebke)

Il nazifascismo si macchiò, come sappiamo, di tanti altri crimini contro l’umanità.

Però il popolo italiano, ad un certo punto della sua storia, intraprese il suo viaggio. E siccome non c’è viaggio senza meta, egli intraprese la lotta per la liberazione dal nazifascismo verso la libertà e la democrazia.

Per l’Italia il viaggio, il nuovo viaggio, iniziò, ad un anno ed un mese dall’eccidio delle Fosse Ardeatine, il 25 aprile 1945 con l’appello radiofonico del capo del comando partigiano che liberò Milano, futuro Presidente della Repubblica: Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica più amato dal popolo italiano.

“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.

Ci lasciavamo alle spalle venti anni di dittatura fascista con tutti i suoi orrori.

Venti anni di regime dittatoriale che trascinò l’Italia nell’orrore e nella mitizzazione delle guerre che portarono il nostro paese nel decadimento economico, nella persecuzione dell’avversario politico spesso fatto uccidere tutte le volte che le critiche scoprivano gli altarini della corruzione di regime; finanche nel decadimento morale di tutto un popolo trascinato, invero, ahimè, non sempre inconsapevolmente, in un progetto politico – militare liberticida, infuso di odio e fondato sulla delazione.    

Guidato da un uomo condannato dalla Storia prima ancora che dagli uomini.

Poi arrivò la ribellione; lo spirito libero del popolo italiano, quello che covava già durante quegli anni, quello perseguitato, incarcerato, vilipeso, massacrato e privato dei più elementari, quanto essenziali, diritti delle persone, ebbe finalmente il sopravvento.

Ed il 25 aprile 1945 l’Italia fu liberata.

E da quella data l’Italia intraprese un nuovo viaggio: prossima stazione la democrazia e la libertà. Il viaggio verso la democrazia non può mai dirsi essersi concluso!

Per la memoria!

Verso il 25 aprile 2020                                                  Carmelo Molfetta

Ultima modifica il Martedì, 07 Aprile 2020 11:38