LA VITTORIA E' NELLA RELAZIONE
Non fa più notizia affermare che la società post-moderna sia caratterizzata dall'impersonalità delle relazioni sociali, ciò non è dovuto semplicemente al fatto che gran parte delle nostre relazioni viaggiano sulla rete globlale, ma vi è un ripiegamento e una chiusura della persona in se stessa che ha radici molto più profonde. Basta semplicemente andare ad analizzare la differenza tra il rapporto del vicinato che si aveva a partire dagli inizi del '900 e i primi decenni del XXI secolo. Non si può non prendere atto di un progressivo distaccamento e crollo delle relazioni. Questa strada ci ha condotti a quello che Simon Weil, sicuramente la più grande pensatrice del XX secolo, definisce “veleni che si propagano”. Nella sua opera La prima radice, la cui traduzione si deve a Franco Fortini, sostiene che vi sono due veleni che distruggono la nostra società. Uno è il denaro, distruttore di radici ovunque penetri. L'altro veleno è la cultura priva di radici, una cultura in cui la persona ha subito l'espropiazione della capacità di pensare.
L'amarezza profonda nasce dal fatto che tali riflessioni non fanno più notizia, nella migliore delle ipotesi trovano un piccolo spazio su una testata giornalistica online a livello cittadino. Quale quotidiano nazionale o regionale sarebbe disposto a dedicare spazio a tali riflessioni? A fare notizia è la cronoca, il gossip, la frivolezza che non impegna a pensare, sono questi tipi di articoli che fanno il bello e il cattivo tempo sui quotidiani e i rotocalchi. Eppure, c'è chi non si rassegna e che, con forza, determinazione e coraggio, sogna, immagina e lotta per una società migliore; sono i Giovani per la Pace della Comunità di Sant'Egidio. Riportiamo di seguito un'estrapolazione dell'intervento di Marco Impagliazzo al Global Friendship 2024.
“Stiamo vincendo una sfida contro il pessimismo, contro il cinismo, contro la rassegnazione. La sfida contro chi ci dice che i giovani non sono capaci di cose grandi, di fedeltà, di serietà, di continuità. Non è vero: i Giovani per la Pace ci sono, ci sono e ci saranno. I giovani per la pace crescono nelle città d'Europa, ma anche nelle città dell'Africa, dell'America Latina, dell' Asia. Il movimento dei giovani per la pace cresce nelle scuole, nelle università, cresce e lascia un segno. Non è questo movimento per ciascuno di noi l'avventura di un giorno e nemmeno di una notte e nemmeno l'avventura di un'estate. È una realtà visibile, comprensibile, che ha voce e che ha pensiero. Lo dicono i bambini delle scuole della pace, lo dicono gli anziani che andiamo a trovare in istituto o a casa, lo dicono gli homeless che ci vedono al loro fianco ogni settimana, lo dicono i profughi che accogliamo con i corridoi umanitari o coloro che vivono nella precarietà dei campi in Grecia, a Cipro, nei Balcani e che noi andiamo a trovare regolarmente. Ma lo dicono soprattutto le donne ucraine, gli anziani ucraini, i giovani ucraini che ogni giorno trovano nelle nostre comunità a Leopoli, a Kiev, a Ivano-Frankivs'k e altrove sostegno, ascolto, amicizia. Lo dicono i bambini ucraini traumatizzati dalla guerra, che studiano e giocano felici nelle nostre scuole della pace.
Abbiamo tanti testimoni del fatto che i giovani per la pace sono una realtà viva. Viva perché non viviamo per noi stessi. Questo è il vero valore della vita: non vivere per sé stessi. Non considerarsi un'isola. Nessuno di noi è un'isola, nessuna donna, nessun uomo, è un'isola. Ma come abbiamo realizzato tutto questo? Lo abbiamo fatto perché siamo insieme, perché siamo usciti dalle nostre stanze, dalle nostre case, abbiamo staccato gli occhi dagli smartphone, dai computer, dai giochi elettronici o dalle serie televisive e siamo usciti insieme. Qualcuno ci ha cercato, qualcuno ci ha invitato, convinto, ha mostrato la realtà, una realtà che non conoscevamo e abbiamo iniziato un viaggio nell'umanità, a vederla con occhi interessati e aperti. In questo viaggio ci ha accompagnato, sorretto e guidato l'amicizia. Sì, l'amicizia, che per noi è un'altra parola chiave. Gli amici sono un grande dono inaspettato.
Gli amici, ci hanno fatto sentire amati senza un perché, senza un interesse. Amici che ci aspettano per tutto il tempo che serve, ci aspettano nella vita quando le cose non vanno bene. Amici che sono al nostro fianco per restituirci la luce delicata e non accecante della gioia. Perché la gioia è una luce delicata che non acceca. Sono anni che parliamo, in giro per l’Europa e per il mondo di global friendship, non è uno slogan, è un programma di vita. Sì, Global friendship è un programma di vita. Questa amicizia globale che non avresti mai pensato di avere. Hai alcuni amici che sono profughi, ma quando nella tua vita avresti mai pensato di avere amici profughi? Altri sono anziani. Quando nella tua vita, al di là dei tuoi nonni, avresti immaginato di avere degli amici anziani. Amici bambini che ti vogliono bene, che ti sentono come un amico o un'amica più grande in cui possono aver fiducia. Hai amici tra chi non ha casa, tra chi magari vive di nulla sul ciglio della strada, davanti a una stazione in una piazza delle nostre città. Hai tanti amici rom. Chi l'avrebbe mai detto? Chi avrebbe mai detto di avere questo tipo di amici. Non possiamo dare agli altri il peggio di noi. Agli altri va dato il meglio di noi. E chi ce lo insegna? I poveri. Sì, cari amici, i poveri ci insegnano a dare agli altri il meglio di noi. I bambini ci chiedono di dare loro il meglio di noi e questo crea una nuova strada nella loro vita e anche nella nostra. Chi vive per strada ci chiede di dare il meglio di noi, di pensare a lui, di pensare alla cena per lui, di dirgli una parola affettuosa, di chiedergli se serve qualcosa, di cercare le strade per trovargli una casa. I bambini e gli adolescenti che vivono in un vuoto di relazioni. Pensate che dramma per un bambino o per un adolescente non avere relazioni. Noi siamo chiamati a dare a tutti il meglio di noi. Chi è amico degli ultimi, di quelli considerati ultimi, può diventare amico di tutti. Non ha più pregiudizi, non ha più paure, non ha più senso di superiorità. Sì, per tutti vogliamo qualcosa di meglio. Vogliamo essere migliori, non degli altri, ma di noi stessi. Sì, puoi essere migliore di te stesso. Puoi metterti alla prova. Se hai il desiderio di essere migliore di quello che sei, non vuol dire che oggi sei peggiore, ma vuol dire non accettare scelte al ribasso e guardare avanti. Dire che il mondo va male, non può lasciarti rassegnato, pessimista. Ti chiede scelte migliori! Perché la società di domani è anche nelle tue mani e sarà frutto delle tue scelte di oggi. La strada è aperta per essere migliori. Su questa strada non siamo soli, siamo insieme e ci prendiamo cura gli uni degli altri. Essere migliore vuol dire essere più umili, tutti abbiamo le nostre contraddizioni, tutti abbiamo pregiudizi.
Sì, e abbiamo anche dei momenti bui. Purtroppo facciamo errori, certamente. Noi non siamo i nostri errori, noi non siamo i nostri momenti bui. Noi facciamo errori, viviamo momenti bui, ma non ci definiscono per la vita. No. Ciò che ci definisce è l'amicizia, il legame con gli altri. Sì, l'amicizia! Anche nei momenti bui ricordati che tu sei un amico, sei un'amica, hai amici. Ricordati di questo, non sei solo. Non sei sola. C'è un segno che contraddistingue l'amicizia, è l'abbraccio tra gli amici. L'abbraccio è un segno universale. Il mondo non è tutto comprensibile, ma è abbracciabile, cioè, anche se non capiremo mai tutto di questo mondo, tutto può essere abbracciato con l'amore e l'amicizia. Quando ricevo o do un abbraccio, quell'abbraccio non mi soffoca, mi fa respirare, mi fa sentire più forte, più amato. Il bello dell'abbraccio è che non è una rete per catturare l'altro. No, l'abbraccio è qualcosa che mi fa respirare, che mi dà un senso più ampio delle cose.
È una lunga conversazione che si fa senza parole. Mettiamoci al lavoro per abbracciare il mondo e vivere in pace, per abbracciare tutti. Abbracciamo il silenzio della vita nuda di chi vive per strada o in un campo profughi. Abbracciamo il silenzio della vita vulnerabile, indifesa o ferita. Abbracciamo la vita che nessuna città accoglie. Abbracciamo la vita bloccata dal filo spinato delle frontiere o dei muri invisibili che abbiamo messo nel deserto, nel Mediterraneo. Abbracciamo la vita impietosamente marchiata per essere avviata allo scarto, il giudizio su quello lì: quella persona lì non va bene, quel disabile, quella rom, quella persona che viene da un altro paese, marchiati per essere avviati allo scarto. Noi dobbiamo abbracciare la vita di tutti. Abbracciamo il terrificante silenzio dell'ingiustizia, il grido senza voce degli esclusi. Abbracciamo il silenzio imposto ai poveri che nessuno ascolta perché sono poveri. Noi vogliamo abbracciare questo silenzio e dargli parole.”
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