in ricordo delle vittime innocenti delle mafie a Locri alla presenza del Presidente della Repubblica Mattarella.
Che bello ritrovarsi insieme.
Che bello, Presidente, che lei sia con noi. Che bello questo “noi” di famigliari delle vittime, cittadini, giovani, associazioni, sindaci, magistrati, vescovi, sacerdoti, suore, sindacati, rappresentanti delle istituzioni, dei carabinieri, della polizia, della scuola e dell’università. Ci siamo sempre impegnati per questa collaborazione liberamente dettata dalle coscienze, abbiamo sempre creduto che solo unendo le nostre capacità, le nostre competenze, la speranza di cambiamento diventa forza di cambiamento. Ora – lo dico a tutti voi che siete venuti per incontrare il Presidente e i famigliari delle vittime – questo procedere uniti verso lo stesso obbiettivo è più urgente che mai. Mettiamo da parte le divisioni, i protagonismi, mettiamoci di più in gioco per il bene comune, per la libertà e la dignità di questo Paese. Lo dico con convinzione. Ci sono stati progressi – da riconoscere e valorizzare – ma anche ritardi, omissioni, promesse non mantenute. Misure urgenti sono state rinviate, o approvate solo dopo compromessi al ribasso. Insieme alle mafie, il male principale del nostro Paese resta la corruzione. E corruzione significa questo: che tra criminalità organizzata, criminalità politica e criminalità economica è sempre più difficile distinguere. Ce lo dicono anche quelle inchieste dove i magistrati faticano a individuare la fattispecie del reato. Hanno in mano strumenti giuridici istituiti prima che quest’intreccio criminale emergesse con forza. Dobbiamo rompere questo intreccio! Le mafie non uccidono solo con la violenza: vittime sono i morti, ma vittime sono anche i morti vivi, le persone a cui le mafie tolgono la speranza e la dignità. Il lavoro, la scuola, la cultura, i percorsi educativi, i servizi sociali restano il primo antidoto alla peste mafiosa. La nostra Costituzione è il primo dei testi antimafia! Ecco allora che la memoria non può essere un esercizio retorico. I vostri cari non sono morti per una targa, una corona di fiori, un discorso celebrativo. Sono morti per la nostra libertà, per un ideale di giustizia e democrazia che abbiamo il compito di realizzare. Un’ultima parola voglio rivolgerla agli uomini e alle donne della ‘ndrangheta, delle mafie. Ma che vita è la vostra?! Papa Francesco, incontrando i famigliari delle vittime, vi ha chiesto in ginocchio di convertirvi, di abbandonare il male. Non oso mettermi alla sua altezza, ma una cosa sento di potervela chiedere. Tanti famigliari hanno perso i loro cari e non hanno avuto nemmeno la possibilità di avere il loro corpo, di piangere sulla loro tomba. Uomini e donne della ‘ndrangheta, delle mafie: DITECI ALMENO DOVE LI AVETE SEPOLTI! Vi chiedo – e vi auguro – di avere questo scrupolo, questo sussulto di coscienza. Può essere l’inizio di qualcosa di diverso, di un percorso di vita e non più di morte.