Ricordo di zio Beppe
Coincidenza vuole che si dia l’ultimo saluto terreno a zio Beppe De Vincentis (lo chiamo “zio” perché l’ho sempre chiamato così e soprattutto perché primo cugino di mia madre) nel giorno credo a lui più caro, se lo pensiamo un innamorato della scuola, come davvero è stato. Egli ha servito questa istituzione, infatti, con onore e competenza per tantissimo tempo. Quando aveva modo di pronunciarsi, diceva sempre che per noi del Sud il giorno ideale per iniziare l’anno scolastico era il 1° ottobre e che i giorni di scuola a settembre servono solo a impostare discorsi e a vedere i ragazzi come stralunati, perché “andare a scuola col caldo delle vendemmie” per lui produceva un doppio danno: mandava in aula i ragazzi controvoglia e non consentiva loro di essere protagonisti di quelle singolari prime prove di lavoro in allegria, che sono appunto le vendemmie, occasione per iniziare a produrre reddito.
A continuare così, zio Beppe potrebbe sembrare un tipo serioso e che se “la tirava”: tutt’altro, la sua cifra caratteristica era invece l’ironia e la bonomia, con le quali riusciva a smontare anche le questioni più serie e complicate, rendendosi così amicone di tutti. I mesi estivi, trascorsi insieme per tantissimi anni in case di campagna pressoché unite l’una all’altra, sono stati occasione di lunghissime serate di ascolto con lui grande narratore mentre si giocava a “stoppa” (“il poker ti li puvirieddi”, spiegava), affabulatore capace di ricordare anche minimi particolari di quei fatti e che testimoniano i cerchi concentrici delle sue amicizie, maturate fin dal liceo classico frequentato a Mesagne. I primi di settembre, proprio pochi giorni prima di tornare a casa da Palmitella mi ha confermato: “Tu non immagini quanto mi ha dato il liceo classico di Mesagne. Mi ha dato quell’apertura mentale, con la quale ho potuto fare tanti anni di doposcuola, di matematica soprattutto, senza mai avere problemi…”. E già perché zio Beppe per tantissimi anni – anni che mi sono stati raccontati e che in parte ho vissuto da primo adolescente – oltre che sinonimo di “scuola” è stato anche di “doposcuola”, il modo più consono per arrotondare lo stipendio e concedersi, così, tutte le novità che il mercato presentava. Vogliamolo ricordare? È stato tra i primi ad avere il televisore a Mesagne. A lui il doposcuola veniva facile: insegnare, dare ripetizione, prendere per mano lo studente o la studentessa da quel punto esatto in cui questi aveva deciso di non seguire il docente in classe per i motivi più svariati, con la conseguente necessità degli esami di riparazione a settembre.
Frequentare il liceo di Mesagne e il mettere su famiglia, poi, per zio Beppe sono state le due colonne alle quali era incardinato il cancello che gli ha aperto quasi 70 anni di vita coniugale con zia Wilma Pignatelli, figlia di un altro mesagnese indimenticato, il maestro Fiorentino Pignatelli, grande sarto ed anch’egli persona di grande ironia e di notevole impegno nel sociale; quasi settant’anni che gli hanno permesso di godere dell’amore di figli, nipoti e pronipoti.
A quelle prime amicizie che sono rimaste per una vita, perché il gruppo classe era anche gruppo fuori e non si è mai perso di vista, si sono aggiunte, tuttavia, quelle colleganze che sono diventate amicizie sincere anch’esse, perché l’ambiente di lavoro talvolta fa questo miracolo. Quanti presidi ha conosciuto, zio Beppe, in tutta la sua attività di “segretario” (come si diceva una volta) e di “direttore amministrativo”, come diceva lui sorridendo di sé stesso, guardando al suo ruolo dopo la riforma della scuola? Tantissimi. Per ciascuno di loro, dal famoso “Avviamento” alla “Scuola media”, c’era un baule di ricordi almeno: ricordi che riguardavano l’attività professionale ed il rapporto amicale, che si sommavano nella persona di ciascuno, con le rispettive famiglie che contribuivano ad allargare quegli affettuosi cerchi concentrici dei quali si faceva cenno. E la capacità di raccontare di zio Beppe faceva il resto perché aspettavi quasi che il tal preside si palesasse sul vialetto in campagna, salutasse e sedesse con noi a parlare…
Accanto al ricordo vivo di presidi, docenti e colleghi con zio Beppe viveva l’intera comunità scolastica della scuola media “Marconi” di Mesagne e non solo… Quando il mercoledì tornava in campagna dal mercato, la prima cosa che raccontava era l’aver incontrato nuovamente questo o quello studente, che andava nella tale classe, dove il punto di riferimento era il docente di Lettere o di Matematica e poi i tanti aneddoti legati ai ragazzi… Non ho mai saputo se fosse una barzelletta o un fatto vero, so che lo raccontava come tale, quello della scolaresca che in gita allo zoo di Oria aveva fatto esperienza della voracità dell’orso. Prima gli avevano gettato le arachidi e, finite queste, avevano iniziato con il lancio di piccole zolle di terra, puntualmente ingurgitate dall’animale al punto che qualche adulto nei pressi ebbe ad esclamare: “Pi’ la M… tuttu si fotti st’orsu!”. Qualche giorno dopo in classe, alla verifica per iscritto, non ricordava se della giornata vissuta o di alcune lezioni sugli animali, un ragazzo svolse il compito così: “Il lorso è un animale tomestico. SifottittuttupillaM….”.
E la parte finale della narrazione era un tutt’uno con l’inizio di una sana risata, che metteva buon umore e stemperava ogni situazione, legata alla scuola che ha servito in maniera davvero competente. Chi lo ha avuto per tanti anni fidato collaboratore gli ha sempre ricordato almeno due pregi: il calcolo degli stipendi dei docenti quando i computer erano “in mente Dei”; la capacità di impostare, per qualsiasi questione, i ricorsi gerarchici che attualmente sono branca specialistica nell’ambito del diritto scolastico. Assieme al suo amore per le novità (computer per primo), voglio aggiungerne un terzo, forse meno nobile, ma certamente capace di descrivere come riuscisse, zio Beppe, a fare un unicum del suo lavoro e della sua vita, dove in essa c’è tutta la poliedricità di una persona, passioni comprese. Appreso da una circolare che i Giochi della Gioventù avevano ammesso anche il calcio, iscrisse la squadra della “Marconi” con il preside nel ruolo di presidente, il docente di educazione fisica come mister e lui? Lui - che aveva giocato a calcio in gioventù ed è stato uno di quegli amanti totali del calcio, letto attraverso la sfegatata ottica juventina -, diventò “accompagnatore”.
La “Marconi” con ragazzi non inquadrati nei ruoli da un mister, ma ben adusi allo street football, raggiunse la finale, opposta ad un “undici” di tutt’altro spessore. Accade talvolta nella vita, come nei film più avvincenti, che i più sfortunati riescano a tenere testa ai più blasonati: cuore e passione, allora, riuscirono a concludere in parità la partita contro la tecnica sopraffina degli avversari e si andò ai calci di rigore. E zio Beppe: “Vagnù: tirati forti e di punta!”. Ed i ragazzi sentirono il loro “segretario” e gettarono tutti i palloni in rete, con zio Beppe che rideva nel raccontare “ti li pontapeti” e a spiegare che fare le cose più lineari possibili paga sempre.
Le cose semplici sono quelle che hanno sempre contraddistinto zio Beppe: lo ricordo un pomeriggio accanto al nipotino, che in campagna si era svegliato di soprassalto dal riposo pomeridiano dicendo di aver sognato il lupo. Lui si faceva raccontare e con lo stesso linguaggio del nipotino per mettersi sulla stessa lunghezza d’onda ripeteva del lupo: “E bevea, bevea! Che casino che facea!”. Poi, restando lui zitto, il nipotino: “Nonno, giocamo?” E zio Beppe, con tono accondiscendente: “Giocaaamo!”, sapendo così creare intesa con un bimbo al pari di quanti, grandi o piccoli che fossero, aveva innanzi.
Diciamo pure che era difficile non andare d’accordo con zio Beppe, in queste ore se ne sarà accorto anche il buon Dio.
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