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Tradizioni. La preparazione del presepe, i dolci, la tombola
Agli inizi degli anni '60, con l'avvio del cosiddetto boom economico, iniziarono ad arrivare, ma non in tutte le case, il televisore, il frigorifero, la Vespa e la Cinquecento.
Ai jukebox dei bar, si ascoltava, inserendo un gettone, una canzone. Erano gli anni di Gianni Morandi, di Mina, di Rita Pavone, di Adamo.
Tutto trascorreva in una forma tranquilla e spensierata, per la nostra età.
Per noi ragazzi, era particolarmente vivace però il periodo delle vacanze di Natale. Aspettavamo con tanto interesse i primi incontri con gli amici, i raduni nelle case e gli incontri in villa comunale.
Le vacanze natalizie in me hanno sempre lasciato dei bei ricordi per:
la preparazione del presepe, le mamme impegnate a preparare i dolci natalizi, il gioco della tombola.
Quando si entrava in una casa si sentiva un particolare odore agreste. Era l’odore del muschio.
Molti di noi per preparare il presepe insieme ai nonni, andavano con le biciclette nei boschi vicini (Lucci, Torricella, la Tagliata) per trovare il muschio, qualche pezzo di sughero oppure qualche ramo di "frasca" o di "murtaredda".
Tutto materiale da utilizzare per il presepe, insieme alle statuine antiche dei nonni fatte di creta.
Il presepe era al centro dell'interesse di tutta la famiglia perché quasi nessuno all’epoca addobbava l'albero di Natale.
Non c’era alcuna possibilità di aspettarsi qualche regalo.
I doni per noi bambini arrivavano il giorno dell’Epifania, alla vigilia del rientro a scuola per la fine delle vacanze natalizie.
Molti regali venivano quindi poco utilizzati e dunque restavano quasi intatti ed erano "riciclabili" anche per l'anno successivo.
Nonostante tutto, da bambini ci sentivamo ricchi e felici con cose semplici e naturali.
Oltre la costruzione del presepe, un’altra grande tradizione era quella della preparazione in casa dei dolci natalizi (“li cosi tuci”).
In ogni famiglia fremeva la preparazione ed era costante il via vai ai forni, poiché poche erano ancora le case con i forni in cucina.
Io abitavo in via Roma a cento metri dalla Chiesa di Loreto (Lu Ritu) e il nostro forno di riferimento era da Pietro Scalera (alias Zuvau) che aveva il forno nel centro storico (zona San Cipriano), ancora oggi esistente.
Ma a volte con "taulieri" e "ramere" andavamo a portare a piedi i dolci da infornare anche da Camillo in via Epifanio Ferdinando vicino allo studio medico di Don Bibbi, oppure veniva lo stesso Camillo con il suo Ape 50 a ritirare i preparati da infornare.
Il menù dei dolci che si preparavano era vastissimo, si riempivano tante ceste che si custodivano gelosamente nelle sale da pranzo. Quando si entrava nelle case in quel periodo, si sentivano tanti odori fragranti, che solleticavano un bel languorino allo stomaco.
Si facevano: li mustazzueli, li bocconotti, li buttacashcatti , li purcidduzzi, le cartellate con miele , li fatuli, le friselline con olio e pepe, li friseddi scilippate… Insomma, tutti prodotti genuini che duravano per tutte le feste ed a volte anche fino agli inizi di carnevale.
Il paese diveniva un grande laboratorio a cielo aperto di pasticceria 24 ore su 24.
Infine, il giorno della vigilia di Natale quasi tutti facevano il digiuno. Ancora non vi era la tradizione del cenone, e neppure della messa di mezzanotte in Chiesa. Tutto avveniva in casa con i nonni, gli zii, i fratelli, sorelle e i genitori.
Ad una certa ora della sera si faceva "nascere" Gesù Bambino nel proprio presepe e dopo non molto tardi si giocava a tombola. Quasi sempre si giocava in cucina, con il caminetto acceso, in una stanza superiscaldata, mentre nel resto della casa, non esistendo i termosifoni, vi era il gelo totale. Ricordo che il nonno prima di iniziare il gioco mi portava con lui nella stalla per dare da mangiare (biada e paglia) al cavallo e all'asino e mi raccontava che la notte di Natale gli animali “parlano" tra di loro.
Le cartelle della tombola erano molto spesso vecchie e usurate, non vi erano ancora le cartelle con i segnetti plastificati per indicare il numero sorteggiato e si usavano invece per segnare i numeri, i ceci, i fagioli o le fave.
Si giocava con cifre molto basse. Ricordo che con ambo si vinceva 5 lire, con il terno 10 lire, la quaterna 20 lire, la cinquina 30 lire e la tombola 50 o 60 lire. Qualche volta si giocava con le carte napoletane a "donna checca" oppure a "munticchiu". Allora non era ancora in voga giocare a ramino o scala quaranta né tantomeno a poker.
Eravamo come detto nell'avvio di una nuova fase economica, di una lenta vivacità sociale ma le tradizioni, gli usi e le consuetudini restarono intatte ancora per un po' di tempo. Vivevamo forme di restrizioni senza obblighi, rispetto all’attuale fase pandemica in cui sentiamo addosso tanti divieti e tante restrizioni, e vivere delle feste più "austere" sembra come se il mondo ci stia crollando addosso.
Sicuramente tutto cambiò dopo il ‘68, quando vi fu quella grande spinta sociale, politica e culturale che investì tutto il Paese.
Ma quella è tutta un’altra storia.
19 dicembre 2020
Cosimo Zullo