una riconsiderazione complessiva sulla grandi scelte di politica sanitaria fatta negli ultimi anni e sulle criticità del sistema emerse e/o preesistenti alla pandemia. Gli elementi problematici rilevati su cui c’è ormai univoca convergenza sono:
- Il ruolo di assoluta di preminenza che deve avere la sanità pubblica e che invece in questi anni è stata mortificata da esigenze finanziarie più che sanitarie
- La mancanza in Italia di un piano antipandemico preventivo in dotazione al Ministero degli Interni e alla Protezione Civile
- L’insufficienza delle postazioni di terapia intensiva e di rianimazione nei nostri presidi ospedalieri
- L’inadeguatezza di alcuni ospedali e di molte residenze sanitarie protette diventate esse stesse focolaio epidemico
- L’assenza della medicina del territorio nell’azione di contrasto alla pandemia
L’ultimo punto merita una breve considerazione aggiuntiva : è acclarato infatti che il 95% dell’infezione decorre in maniera asintomatica o poco sintomatica così che la moltitudine silente di persone contagiate, che rappresentano la vera potenziale minaccia per la diffusione dell’ epidemia, devono essere precocemente tracciate e isolate in casa dove, se necessario, possono essere trattati da un equipe di sanitari specificamente preparati, meglio se coordinati dal medico di famiglia. Questa, dal mio punto di vista, è stata la più grande lacuna nel sistema difensivo approntato contro il corona-virus.
Alla luce di queste considerazioni si può e si deve ridiscutere l’assetto complessivo del sistema sanitario sia rispetto alla rete ospedaliera sia rispetto alla rete dei servizi territoriali e lo si deve fare, possibilmente, stando lontani da tentazioni populistiche e/o elettorali che potrebbero facilmente coagulare il consenso popolare intorno slogan semplificativi e fallaci come quelli che ronzano in queste ore cioè : riapriamo gli ospedali chiusi e costruiamone di nuovi. Cosa che sarebbe senz’altro auspicabile se fosse possibile, ma non lo è!! Peraltro questa soluzione, semmai fosse possibile, resterebbe comunque non esaustiva.
Nella nostra Regione e nel nostro territorio, martoriato da decenni di tagli obbligati, fatti per rientrare nei parametri del patto di stabilità e falcidiato da reiterati piani di rientro, torna a levarsi forte , sull’eco della pandemia e di chi ci sfrucuglia sopra, la richiesta di far tornare ad essere il San Camillo struttura ospedaliera meglio se generalista con tutti i reparti che hanno fatto grande la storia del nostro nosocomio con la ginecologia, l’ortopedia, la chirurgia generale ecc... Senza essere uno stregone credo che la stessa cosa chiederebbero a ruota i cittadini di S.Pietro, Fasano, Ceglie Cisternino che hanno subito la stessa sorte. Un ritorno al passato dunque che non è più praticabile e che verosimilmente non sarebbe utile ad una domanda di salute che negli ultimi decenni è profondamente cambiata e che ha fatto innalzare di molto la richiesta di servizi a favore soprattutto dei pazienti cronici. Ora queste nuove frontiere che riguardano gli anziani non autosufficienti, i disabili, i malati cronici compensati, i rischi ambientali le malattie neoplastiche ecc… hanno bisogno di servizi territoriali, di presidi di prevenzione, di cure domiciliari, di assistenza medica paramedica e sociale che non trovano nel nostro territorio risposte adeguate.
Il nostro PTA, concordato e sottoscritto dalla città di Mesagne, dalla Direzione generale della ASL/BR e dalla Regione Puglia, andava proprio nella direzione di creare questa nuova rete di servizi. Il limite vero di quel piano è che ad oggi non è stato attuato ma solo avviato: è infatti ancora largamente sottodimensionata la piattaforma ambulatoriale che doveva abbattere le liste di attesa per la diagnostica ambulatoriale, sottoutilizzato l’ospedale di Comunità , poi sospeso per dar spazio al reparto post COVID, mai partito l’Hospice e questo insieme ad altre carenze strutturali, di servizi concordati e di personale su ci sorvoliamo. Se a tutto questo si aggiunge che anche il potenziamento dell’assistenza domiciliare non si è di fatto concretizzato, che gli anziani non autosufficienti e i portatori di handicap faticano a ricevere al proprio domicilio le cure di base, quelle specialistiche , quelle fisiatriche e riabilitative, quelle infermieristiche perché il personale vocato e le ore disponibili non sono sufficienti, il quadro che al cittadino si para davanti è quello di un disastro . Se poi su questo fuoco qualcuno ci si soffia sopra, per affermare ruoli e consenso, nessuno capirà mai a cosa serve la medicina del territorio e tutti vorranno con forza il vecchio ospedale al posto del nuovo PTA. Ecco questo per me sarebbe come buttare il bambino con l’acqua sporca.
Per queste ragioni saluto con favore l’iniziativa avviata dai colleghi ospedalieri di riavviare la discussione sul tema, di valutare con oculatezza se ci siano possibilità per utilizzare il San Camillo anche in funzione ospedaliera per decongestionare il Perrino ma senza dimenticare il ruolo e l’importanza della medicina territoriale e delle prospettive che il PTA intendeva e intende aprire per soddisfare una domanda di salute che non può e non deve essere solo COVID correlata. Esprimo invece tutte le mie riserve sull’utilizzo della petizione popolare e della chiamata alle armi dei cittadini per sostenere tesi che sono abbozzate e ancora non adeguatamente discusse. I cittadini hanno tutto il diritto di esprimersi nei modi che ritengono ma una democrazia matura impone che almeno su certi temi sensibili ci si esprima attraverso organismi di rappresentanza o attraverso strumenti che comunque diano un contributo costruttivo alla discssione che non può e non deve essere lasciata solo alla rabbia e al risentimento.
Dr. Pompeo Molfetta
Medico di Medicina Generale
Specialista in Medicina Interna