Cgil. A rischio spopolamento la provincia di Brindisi

Dicembre 06, 2020 912

L’andamento demografico della popolazione residente in Provincia di Brindisi, correlato ai dati ISTAT ed al rapporto SVIMEZ 2020, in ragione delle dinamiche naturali e quelle migratorie, esprime una nitida fotografia di una provincia sempre più svuotata, con una preoccupante prospettiva demografica di spopolamento. I numeri parlano chiaro: tra il 2015 ed il 2019, perdendo più di mille abitanti ogni anno solo nel saldo tra nascite e morti e l’emigrazione di migliaia di persone, si sono complessivamente persi in provincia di Brindisi 10265 abitanti – residenti. In termini percentuali, ciò rappresenta il peggior dato della regione Puglia, continuando questo trend in negativo la nostra provincia corre spedita verso uno spopolamento inesorabile e ineluttabile che è né più e né meno una sentenza di morte per un pezzo d'Italia. Il nostro territorio è come un ferito grave che giace a terra sanguinante: se non si interviene rapidamente per bloccare l'emorragia che sta svuotando i centri, da quelli più popolati a quelli più piccoli, quella di Brindisi è una morte sociale ed economica tristemente annunciata.

 
 E non si può puntare il dito contro i giovani, spesso accusati ingiustamente di non volersi assumere le proprie responsabilità o di non avere la stessa tempra delle generazioni che hanno fatto grande il Paese: avere un figlio, specie dalle nostre parti, è sempre più un lusso e pensare di averne due è semplicemente una follia, nella nostra zona, tenendo anche in conto, poi, che chi nasce nel Brindisino cresce con la quasi certezza di dover andar via, a causa del fatto che difficilmente vedrà riconosciute le proprie capacità.
 
La novità del fenomeno dell’emigrazione oggi è rappresentata dalla scelta di lasciare la propria terra per andare all'estero, un aspetto che adesso incide molto di più rispetto al passato. Paesi diversi dall'Italia sono diventati la meta non solo dei laureati, protagonisti della sempre attuale fuga dei cervelli, ma anche e soprattutto dei giovani disoccupati o occupati con paghe e orari non in grado di consentire una vita dignitosa.
 
Lo diciamo perché all'estero ci sono tanti ragazzi della provincia che si spostano verso l’Olanda e l’Inghilterra, tra le mete più gettonate nei più giovani per l’esperienza “melting pot”: lavorano in bar e cucine ma fanno anche i riders per arrotondare, lavori che non richiedono preparazione scolastica specifica o esperienza sul campo ma che molto più semplicemente vengono meglio retribuiti rispetto a quanto accade in Italia.
 
Questo fenomeno era molto forte negli anni '70 e '80, quando i giovani dell'epoca emigravano in Germania e Inghilterra per fare lavori non specialistici: erano i cosiddetti “camerieri d’Europa”, termine usato in maniera denigratoria poiché i nostri connazionali erano gli stranieri, erano gli immigrati, un contrappasso che qualcuno fatica a contestualizzare oggi quando si guarda all’immigrato che arriva in Italia. Negli anni '80 e '90 le cose cambiarono e si riuscivano a trovare dei buoni lavori nel Nord Italia: giovani ma anche adulti non soddisfatti dei propri impieghi si trasferivano soprattutto in Emilia Romagna e in Lombardia. Anche questa situazione, però, ha avuto successivamente un rimbalzo negativo, a partire dalla crisi del 2007, da quando anche un lavoro nel Nord Italia, benché pagato meglio, sempre più spesso non permette di vivere dignitosamente o di azzardare un percorso di vita di coppia che sfoci in una famiglia.
 
Sono in arrivo nuovi sgravi per chi assume i giovani al Sud ma non sono i primi, ne abbiamo visti tanti e tutti di ottima fattura, anche per cercare di “mettersi in proprio”: penso a "Resto al Sud" o alle iniziative della Comunità Europea e della Regione per incoraggiare le iniziative imprenditoriali.