Emanuele Castrignanò, il poeta mesagnese che scrive comu li veni ti ntra llu cori
È quasi d’obbligo, un classico obbligo da antologia scolastica, riportare alcune brevi note biografiche dell’autore che si propone al lettore.
Emanuele Castrignanò nasce a Mesagne il 21 gennaio del 1947 da famiglia artigiana e di profonda fede. Frequenta sin da piccolo la parrocchia dei Padri Carmelitani e si impegna, fin da giovane, nell’Azione Cattolica. Nel 1970 è eletto consigliere comunale nella lista della DC. Nello stesso anno è assunto alla Montedison di Brindisi ed inizia anche il suo lungo impegno nel sindacato cattolico della CISL. Ricoprirà diversi incarichi, fino a diventare segretario generale di Brindisi nel 1983. Collabora anche con “La Gazzetta del Mezzogiorno” per circa due anni.
Nel 1990 non riesce, per pochi voti, ad essere eletto nel Consiglio Regionale della Regione Puglia. L’anno dopo si trasferisce a Roma, dove cura, in veste di funzionario dell’Enel, i rapporti con le istituzioni. Nel 2004, ormai pensionato, ritorna a Brindisi e riprende ad impegnarsi nel sindacato, divenendo, nel 2013, segretario generale dei pensionati CISL di Puglia e Basilicata. Fa parte dell’esecutivo nazionale dei pensionati Cisl e, fino al 2015, del consiglio generale nazionale dello stesso sindacato. Dal 2015, e fino al 2019, è presidente regionale Anteas – Cisl, un’associazione di volontariato. Risiede a Brindisi con la moglie Maria, con la quale ha avuto due figli, Chiara e Francesco. Ha ricevuto diversi attestati, riconoscimenti e premi.
Riguardo le sue pubblicazioni, va detto che inizia a pubblicare a partire dal 2007, e da allora non si ferma più. Ricordiamo: Emozioni e ricordi. Cussì m’hannu vinuti , 2007; Mesagne: la vita tra segni e parole, 2009; Natali, caputannu e bbifania. Cussì mi li ricordu, 2010; Fraciddi ti fanoi, 2012; Uemmini e calantuemmini ti Misciagni, 2014. Ha composto anche diverse canzoni popolari, alcune musicate e fatte conoscere al pubblico ma bravi maestri mesagnesi.
Riguardo ai suoi componimenti (con riferimento specifico a quelli presenti nella sua ultima raccolta di poesie dialettali mesagnesi e in lingua nazionale, Nanti a nn’arvulu t’aulia) c’è da sottolineare che sono composti a rima baciata o alternata, quasi sempre in quartine con versi di varie misure, talvolta, ma con meno frequenza, le strofe hanno due soli versi (come nel caso della poesia Dedicata al dott. Raffaele Devicienti, che ha la strofa finale di due soli versi a rima baciata; la stessa cosa accade, come una sorta di chiusa, alle poesie Ficuri ti Natali, La fešta ti la Matonna ti lu Carmunu e Lu monucu e llu cafei), di rado tre versi, come nel caso delle poesie in lingua A te piccola grande donna di colore e Mostro d’acciaio, e, in dialetto mesagnese, Mmenu mali pi ll’acieddu (con due terzine centrali tra due quartine iniziali e due quartine finali) e La prima nivicata ti lu 2017 (con due terzine finali).
In pratica, il poeta quando insegue i ricordi e la malinconia del tempo che fu si distende utilizzando le quartine, piuttosto che due o tre versi, che risultano più incisivi, più adatti quando vuole sentenziare, talvolta serafico, altre volte con veemenza, mettendo il dito in una piaga, in una delle tante condizioni di disumanità.
Lo stile del poeta è tipico dei rimatori popolari, molto attivi nel nostro paese in particolare durante le occasioni conviviali; il frequente piano dialogico è spesso canzonatorio e satirico, tipico della poesia giullaresca, del tutto simile ai contrasti della poesia siciliana medievale.
Altre volte i componimenti (ma anche le sue canzoni; si veda, ad esempio Lu uegghiu t’aulia) si fanno malinconiche, molto sentite e partecipate. Accade quando i temi riguardano la famiglia (l’ultima sua pubblicazione è dedicata al nipote Edoardo e la poesia a lui dedicata apre, non a caso, l’intera raccolta che consta di ben 81 poesie; si legga anche la bellissima poesia A lli fili mia, che è quasi un rito di passaggio) ma anche alcune situazioni locali, sia religiose che laiche; anche in tal caso, raramente si notano delle impennate di ricercatezza lessicale, visto che il dialetto mesagnese ha la forza espressiva necessaria per esprimere tutto il ventaglio delle emozioni umane.
Ad onore e vanto di Emanuele Castrignanò, va detto che subito dopo la pubblicazione de Il Dizionario Mesagnese, il poeta ha iniziato una revisione lessicale delle sue poesie, cercando il termine dialettale più corretto nel significante e nel significato. Riguardo al contenuto, il poeta resta fedele alla sua missione: cantare con tutta la sua anima l’amore per la sua terra e i suoi abitanti.
In molti suoi componimenti il dialogo, tra due personaggi o tra il poeta ed il lettore, scorre simile a nnu cuntu, molto spesso fino all’esito finale, allo scioglimento, talvolta con una battuta salace, talvolta simile ad una sentenza, ma mai speciosa e di maniera.
Lo sfondo è rappresentato dalle tradizioni locali mesagnesi, dalla sua storia non sempre ben conosciuta, da episodi e personaggi popolari più o meno noti.
I componimenti sono dettati, come ama ripetere il poeta stesso, da ricurrenzi di cui la storia, soprattutto religiosa, di Mesagne è ricca e variopinta; culacchi, aneddoti ed episodi di vita vissuta, figli di una portentosa memoria personale e collettiva, da cui il poeta attinge, specialmente quando si tratta di pirsunaggi locali, noti e meno noti, seri e semiseri, talvolta al limite della maschera, ma sempre con un taglio soggettivo vivo e fresco, riportato in versi consapevolmente, a conoscenza e a beneficio dei tanti mesagnesi, soprattutto giovani, che non conoscono molti pezzi della storia e della cultura del loro stesso popolo.
Il poeta insiste molto, lungo il filo della memoria, sulle tradizioni locali, anche molto minute, come si nota nel componimento La fera ti la chiazza, nel quale avverte malinconicamente sia il veloce scomparire delle tradizioni e dei valori di un tempo che fu, salvo, poi, bacchettare con piglio satirico e canzonatorio le cattive abitudini degli avi, non esenti da difetti; la volontà del poeta è chiara: trasmettere ai giovani e ai meno giovani immagini di un tempo ormai perso per sempre.
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L’ironia del poeta, a volte velata ed altre volte vera satira, è comunque sempre molto umana, quasi pietosa, anche quando i fatti narrati sono dolorosi; in alcuni casi il componimento si fa amaro ed allora il poeta non lesina di denunciare un generico potere che, ieri come oggi, è troppo sordo al dolore della povera gente. Non è mai solidarietà di maniera, è intima partecipazione e vera condivisione che, lungo una vita, hanno visto Castrignanò in prima linea nel sindacato, guidato oltre che da una nobile visione politica da una profonda fede evangelica, vissuta e partecipata sui diversi piani: personale, familiare e sociale.
Nella quartina finale della poesia La fešta ti l’8 marzu, il poeta invita l’omu, l’umanità intera, a ribellarsi perché non serve la festa episodica se per il resto dell’anno l’omu faci tannu.