Delli Noci: la pandemia di oggi e la peste nera

Giovanni Delli Noci - già ass.re giunta Incalza Aprile 21, 2020 1335

delli noci giovanniGentile Direttore,

queste giornate cariche di tristezza difficilmente lasciano spazio a pensieri felici, anche se tutti noi siamo certi di quella “rinascita” che già nell’aria sentiamo più vicina. Purtroppo oggi la scomparsa di migliaia e migliaia di persone è un dato oggettivo che non si può cancellare, sono le vittime di una tragedia che per sempre resterà nella storia dell’umanità, della nostra Italia e dentro ognuno di noi. Noi mesagnesi, fortunatamente lontani dall’epicentro della pandemia, in questo fase di “vita sospesa”, cercando di capire, stiamo concedendo più tempo alla riflessione, agli approfondimenti.

In questo clima, leggendo alcune notizie sulla peste nera che nel 1600 in Europa uccise milioni di persone, mi sono imbattuto casualmente nel nostro illustre compaesano, il poeta Gianfrancesco Maia Materdona, vissuto in quel periodo. Sono felice che sia successo. A distanza di quattro secoli è toccante leggere una delle Rime del Materdona pubblicata nel 1632 a Napoli, dove ritornò nel 1631, successivamente all’esperienza torinese che lo vide riparare a Vercelli al fine di evitare l’epidemia che in quei mesi flagellava il capoluogo piemontese:

Ahi mondo, ahi senso! or ve’ qui tanti e tanti in tende anguste, ancorché auguste, accolti! Di profana beltà fûr tutti amanti, tanto or tristi e meschin, quanto pria stolti.    Per picciol riso hann’or continui pianti, portan l’inferno ai cor, la morte ai volti, vita speranti no, vita spiranti, morti vivi e cadaveri insepolti.    

Questi è in preda al martìr, quegli al furore; un suda, un gela, un stride, un grida, un freme, un piange, un langue, un spasma, un cade, un more.    Quinci impara, o mortal: dolce è l’errore, breve è ’l gioir; ma pene amare estreme dà spesso al corpo, eterne sempre al core.

“Rime” [1632]

Nel rileggere questi versi si percepiscono sentimenti di emozione e dolore molto attuali; sono “versi dagli accenti amari, profondamente avvertiti della durezza della condizione umana, anche al di là di una precaria dimensione individuale”; penso che per lui fu un’esperienza così devastante che molto probabilmente, successivamente, lo portò a riconsiderare la “poesia amorosa” del primo periodo spingendolo verso “l’unica certezza rappresentata dalla dimensione della fede, e dalla gioia di una comunione con la divinità” (Dizionario Biografico Enciclopedia Treccani). Non oso più, le mie conoscenze letterarie di ex studente liceale, neanche tanto bravo, mi impongono di tacere e chiedere umilmente scusa agli addetti ai lavori per l’imprudenza. Infine, brevemente, un altro pensiero in questi giorni mi fa riflettere, mi riferisco alla scoperta fatta a fine gennaio scorso nel nostro Centro Storico durante i lavori dell’AQP; in quei giorni Whuan era in piena tempesta epidemica, e in Italia ancora nessuno poteva immaginare il disastro che sarebbe scoppiato di lì a poco. Parlo della tomba antica emersa in piazzetta S. Anna dei Greci, e della scoperta dello scheletro di una mamma con bambino adagiato sul grembo che teneramente lo protegge in un “tenero abbraccio mortale”. Non so se mai si saprà, tramite i rilievi scientifici, l’esatta collocazione temporale di quella tumulazione e se la loro morte possa coincidere con la peste dell’inizio 1600, ma se anche così non fosse, un sottile filo sembra legare quel dolore del passato al presente. Oggi da credente, mi piace immaginare che tramite quel ritrovamento, qualcuno avesse provato ad avvertirci che qualcosa stava per succedere e far vedere alla comunità mesagnese quell’abbraccio sereno, protettivo e rassicurante, che doveva servire a tranquillizzarci. Si una madre che, prima ancora che arrivasse il doloroso destino di questi giorni, abbia voluto dirci che era pronta a difenderci; da credente, ripeto, poiché c’è l’ha dimostrato nel corso dei secoli, riesco a pensare a una sola Madre tanto premurosa: la nostra Protettrice.