con un curriculum come il suo, meriti nel suo paese natale esser ricordato con una statua o l’intitolazione di un viale o una piazza ed in particolare in un paese che ha una tradizione di coscienza democratica , antifascista, di accoglienza e di solidarietà tra i popoli, come Mesagne? Se uno di questi criteri fosse l’analisi del percorso militare di Giovanni Messe, che lo portò da semplice sott’ufficiale a divenire Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, dovremmo ammettere che la sua fu una carriera brillante come pochi altri, e dovrebbe essere degnamente ricordato. Ma dovremmo anche ricordare come quella carriera andò di pari passo con l’evoluzione delle nostre Forze armate (ed in particolare l’Esercito italiano) che dall’epopea risorgimentale ottocentesca, si trasformarono nella prima parte del Novecento e sino alla Seconda Guerra Mondiale in una forza al servizio di una borghesia avventuriera (protetta e complice della monarchia e del Fascismo), affetta da mire colonialiste, di conquista, oppressione ed aggressione di altri popoli. Un Esercito che in quelle guerre di aggressione era ammirato come simbolo della supremazia della civiltà italiana e degno erede delle legioni dell’antica Roma e del quale ogni vittoria conquistata sul campo era propagandata come la cartina al tornasole di questo teorema, nonostante che spesso fosse partorita tra fiumi di sangue tra combattenti e civili. Come non ricordare Messe, giovane sottotenente che si distingue in Libia, nell’ottobre 1911 nella battaglia di Sciara Sciat dove per la prima volta i libici decisero di non piegarsi alla predominante forza dei cannoni degli invasori italiani? Quell’azione di resistenza araba fu ritenuta dal nostro esercito e dalla classe politica italiana una lesione dell’onore militare dello Stato Italiano e due giorni dopo la risposta dell’Esercito Italiano fu il massacro di 4000 civili libici a Tripoli in una caccia all’uomo degna del Medioevo. Chi fu risparmiato dalla rappresaglia italiana finì incarcerato a migliaia nei lager delle nostre isole, in primis nelle pugliesi isole Tremiti, dove i libici morirono come mosche tra malattie, fame e vessazioni. Come non ricordare il Messe che al comando dei suoi uomini nel 1920 partecipa all’occupazione dell’Albania per reprimere la giusta volontà d’indipendenza di quel popolo? Ben altra figura, e sicuramente da ricordare, sono invece gli antimilitaristi e pacifisti socialisti ed anarchici che nel porto di Brindisi incitarono gli arditi e i marinai a ribellarsi e ad opporsi contro quest’infame scelta! Tra essi vi era un giovanissimo Antonio Vincenzo Gigante, poi medaglia d’oro al valor militare per il suo contributo alla Resistenza! Ed ancora, nel 1939 Messe è a capo di quella spedizione in Albania che poi è preparatoria alla sciagurata invasione nel 1940 della Grecia, un piccolo paese, culla della democrazia occidentale che non aveva nessuna mira a offendere il popolo italiano. Una guerra sanguinosa vinta militarmente solo grazie all’intervento nazista, ma che vide il popolo greco non cessare la lotta passando alla guerriglia partigiana. Quanto poi alla diretta responsabilità di Messe come comandante militare del Corpo di Spedizione Italiano compartecipe insieme ai nazisti dell’aggressione all’Unione Sovietica, riteniamo opportuno tacere per non offendere le centomila gavette di ghiaccio e gli innumerevoli cimiteri militari dove riposano le salme dei nostri compatrioti inviati lì in nome della lotta al boscevismo in una guerra che produsse in quel paese venticinque milioni di morti. Ma ancor prima Messe fu tra i generali osannati dalla propaganda fascista per la vittoriosa guerra di aggressione contro l’Etiopia, comandando le truppe che controllavano il settore alle spalle del fronte da cui affluivano i rifornimenti, le armi alle truppe di Badoglio. Il compito di Messe era di mettere in sicurezza a tutti i costi, dalle incursioni della guerriglia etiopica, le nostre seconde linee (Dobbiamo ricordare come l’opera di contro guerriglia italiana in Etiopia fu assolutamente decisiva grazie alla ferocia applicata, nell’azzerare la minaccia dei ribelli etiopici su gran parte del territorio, anche se non cessò mai). Dati delle operazioni italiane contro la guerriglia etiopica, 75.000 “patrioti” furono uccisi in combattimento, 24.000 furono giustiziati dalle autorità nemiche, 35.000 morirono nei campi di concentramento; inoltre pesanti furono le vittime civili calcolate in oltre 300.000 persone. Ma, sotto il naso di Messe, dai porti sul Mar Rosso affluirono verso gli aeroporti avanzati e verso l’artiglieria che affiancava l’offensiva finale nella primavera del 1936 su Addis Abebeba, le migliaia di proiettili e bombe all’Iprite decisive per sbaragliare l’esercito etiopico. Di questo crimine di guerra, come di altri avvenuti per mano dei “buoni” soldati italiani, in tanti Paesi occupati della Seconda Guerra Mondiale, il generale Giovanni Messe si schierò fino alla fine dei suoi giorni, come militare prima e politico poi, da negazionista puro, favorendo il mito del “buono soldato italiano “, al fine di preservare la Casta di generali che fece carriera durante le sciagurate avventure del fascismo, permettendo che la scala gerarchica della catena di comando militare, che in quei crimini era coinvolta, fosse sempre difesa, e assolta da ogni accusa. Un’opera ben portata avanti, tale che, abbiamo dovuto aspettare oltre cinquanta anni affinché l’Esercito italiano ammettesse, dandone l’esatta cifra sull’uso dei proiettili e delle bombe a gas contro gli etiopici. Abbiamo dovuto aspettare cinquanta anni affinché l’armadio della vergogna portasse alla luce le inchieste insabbiate sulle stragi nazifasciste in Italia per scoprire poi che quell’insabbiamento fu un contraltare all’insabbiamento delle richieste d’incriminazione per crimini di guerra di generali, ufficiali, carabinieri e funzionari fascisti in paesi occupati da truppe italiane ed in particolare, Yugoslavia, Grecia, Albania, Francia e Russia. Richieste giunte da questi paesi allo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano ancor prima che terminasse la guerra, uno Stato Maggiore di cui Messe ne era il Capo. Risultano in tanti atti ufficiali le pressioni che fece Messe sul governo italiano, affinché non fosse dato il via a quei processi e si negassero le estradizioni presso i paesi richiedenti, ma non solo, negli uffici dei servizi segreti militari che dipendevano da lui, si lavorava per quelle che tecnicamente si chiamerebbero controdeduzioni, ma furono una vera e propria opera di controinformazione che distorcendo la realtà dei fatti affermava che se vi furono delle operazioni di repressione e di controguerriglia con esecuzioni di massa, incendi di villaggi e deportazioni di civili, esse furono giustificate dalla ferocia della guerriglia partigiana nei paesi occupati dall’invasore italiano. Di fatto con quest’operazione di salvataggio dei criminali di guerra italiani si ponevano le premesse a quello che fu poi il grande fallimento della richiesta principale del fronte delle Forze Antifasciste e partigiane, ovvero il processo di Epurazione della e dalla società italiana delle radici del Fascismo a partire dai suoi uomini più rappresentativi e che avevano commesso gravi crimini. L’analisi puntuale sul ruolo di Messe sul quadro di pressioni dell’intero establishment militare (che vedeva in Messe il suo più alto rappresentante), sui governi di transizione italiani alla Repubblica (1944-46) e che vissero con la spada di Damocle di un pronunciamento militare, lo si può leggere nell’ultimo libro (2017-2018) dello storico Davide Conti: “Gli uomini di Mussolini”. Un libro in cui spiega e svela particolari sul ruolo di Messe in quel Fronte Anticomunista che accomunava monarchici, ex fascisti, industriali massoni, elementi della X mas pronto a schierarsi come forza paramilitare al fianco del pronunciamento militare durante il periodo che va dalla proclamazione della Repubblica (1946) alle elezioni del 1948 . In questo recente libro dello storico Davide Conti, attraverso una puntuale ricerca in documenti ufficiali dello Stato, comprese le informative di polizia su Messe, si mette una pietra tombale sul mito di un Messe uomo al disopra di ogni sospetto, un nostalgico monarchico ma non un fascista. Si sfata così il mito del Messe “anti Mussolini” nato dal suo scontro di vedute con il Duce durante la seconda parte della campagna di Russia, e che in tanti lo riterrebbero un potenziale antifascista. Lo storico Davide Conti, all’opposto, spiega come sia stata determinante l’opera di Messe nel favorire la riabilitazione e il riassorbimento nell’apparato militare e repressivo dello Stato di quegli uomini che in seguito ritroveremo coinvolti in tutte le trame eversive che hanno insanguinato il lungo percorso del cammino della democrazia nell’Italia repubblicana, sino agli anni delle stragi e del terrorismo nero. Per terminare, dal libro di Davide Conti , vogliamo riportare la trascrizione del discorso che tenne Messe il 28 febbraio 1947 dinanzi alla sua UPA (Unione patriottica anticomunista), ritrovabile presso l’Archivio Centrale Stato MI Direzione Generale Pubblica Sicurezza Divisione Sis sez II,b, fascicolo UPA:…”( dopo aver affermato di sapere dove andare a prendere le armi ): “ -anch’io ha soggiunto Messe sono stato e sono fascista , ma ora non si può parlare di fascismo almeno per un ventennio per non avere gli angloamericani contro…ha poi parlato di un gruppo di fascisti a cui appartengono gli uomini della Guardia Repubblicana (della ex Repubblica di Salò, NdR) , gli uomini dei battaglioni M (Mussolini, ndR) e della Milizia ed ex detenuti. Ha detto che questo gruppo è in gambissima, il più forte di tutti e il meglio organizzato…”.
Antonio Camuso, Archivio Storico Benedetto Petrone (Brindisi)
Alveare Mesagne Bene Comune