svolga una sua inchiesta e faccia luce sulla fine che hanno fatto le biciclette di proprietà del Comune di Mesagne, acquistate per un progetto turistico di Bike sharing, si scopre che le bici acquistate nella consiliatura del sindaco Sconosciuto furono, addirittura, 35. Oggi in deposito ne sono rimaste solo 4. Dopo l’interrogazione presentata da Progettiamo Mesagne al sindaco Molfetta per fare luce su questa vicenda, nel tempo di 30 giorni, qualche soggetto che è possessore della bici inizia a trovarsi in difficoltà e cerca di offrire delle giustificazioni per la detenzione del mezzo. Diverse bici, infatti, sono nella disponibilità di dipendenti comunali, altre assegnate a cittadini o parenti di funzionari, altri ancora consegnate a enti. Qualcuna, in questi anni, è stata rubata ma gli assegnatari giurano di aver presentato una regolare denuncia dei fatti. C’è chi, addirittura, l’ha riverniciata, come dire l’ha personalizzata. Insomma, la vicenda delle bici di proprietà del Comune di Mesagne è talmente intrigata che assomiglia a un vero e proprio guazzabuglio. Una curiosità: dopo la presentazione dell’interrogazione di Progettiamo Mesagne qualche detentore delle bici pubbliche ha iniziato a guardare in cagnesco Antonio Calabrese, coordinatore del movimento politico. Ormai è ampiamente dimostrato come l’utilizzo della bicicletta per i brevi tragitti rappresenta una soluzione vantaggiosa sia per il tempo impiegato sia per l’estrema facilità di parcheggio. Andare in bicicletta rappresenta però anche l’opportunità di riscoprire in modo divertente, salutare ed ecologico la città, sempre più frustrata dalla congestione del traffico e da livelli d’inquinamento. Il progetto Bike sharing nasce, quindi, dalla volontà di fornire una risposta alle sempre più frequenti domande di mobilità alternativa sostenibile che ha visto, all’epoca, i Cicloamici i principali fautori di una nuova cultura di mobilità. Bike sharing, il cui significato è bicicletta condivisa, doveva offrire, come accade in altre realtà tipi Brindisi e Lecce, l’opportunità di distribuire ai cittadini in modo semplice e intuitivo una certa quantità di biciclette pubbliche e di monitorarne in tempo reale la presa e il deposito. Appunto il deposito, con la conseguente riconsegna del mezzo. Questo sistema voleva essere da una parte un servizio pubblico che rappresenti una seria alternativa al proprio mezzo di trasporto privato a motore e dall’altra uno strumento di pianificazione strategica in termini di mobilità. Nella logica dell’intermodalità dei diversi mezzi di trasporto, Bike sharing doveva divenire uno dei possibili mezzi alternativi che consentiva all’utente, una volta sceso dal treno o dall’autobus, di spostarsi all’interno della città con un altro mezzo pubblico, il quale gli garantiva autonomia e agilità nel traffico urbano, senza alcun problema di parcheggio o di code interminabili ai semafori. Questo progetto che avrebbe dovuto elevare la cultura della mobilità turistica a un certo punto è naufragato. Perché?
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