Natale e il desiderio di una nuova umanità In evidenza
Carissimi,
mentre le nostre città e i nostri paesi indossano l’abito luminoso della festa, vorrei far risuonare, forse un po’ fuori luogo, le parole del profeta Isaia: «“Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?”. La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!”». (Is 21, 11-12).
Se gli addobbi natalizi delle nostre città e dei nostri paesi vogliono ricostruire paesaggi da fiaba, la celebrazione del Natale ci riporta alla cruda realtà della vita e alle domande che porta con sé.
Non che non sia lecito per un attimo tuffarsi nella magia di un mondo idilliaco e fiabesco, ma non bisogna cedere alla tentazione di neutralizzare un evento che anche con la sua carica poetica; accende luci di senso sul cammino dell’umanità.
Il Vangelo del Natale, così come la sacra Scrittura ce lo consegna, non è una favola che addormenta il cuore per distrarlo dalla complessità della vita.
Infatti, Dio si fa uomo senza fare rumore, affrontando i disagi, le fatiche, le lotte di chi abita le periferie della vita e non gode di agevolazioni, sconti e privilegi.
Contrariamente al nostro tentativo di anestetizzare il Natale attraverso renne, slitte, elfi, babbi Natale che fanno bella vista nelle nostre strade, il Vangelo ci parla di Dio che si fa presente nella storia d’amore di Giuseppe, il giusto e di Maria, la vergine, chiedendo loro di accogliere un progetto più grande, che come era avvenuto secoli prima al loro padre nella fede Abramo, li avrebbe resi pellegrini sulla strada della fede, spalancando a Gesù, il Figlio amato, le porte della storia umana.
Il Natale si presenta a noi come storia di cammini, quello di Maria e Giuseppe per rispondere al censimento, quello dei pastori su invito dell’angelo, quello dei Magi venuti da oriente, quello di Maria e Giuseppe per sfuggire alla furia omicida di Erode.
Ma è anche storia di turbamenti e di chiusure, è il caso di Erode, di Gerusalemme, dei capi dei sacerdoti e degli scribi del popolo, tutti rinchiusi a difesa delle loro certezze e per niente stimolati dalle Scritture che non riescono a far ardere i loro cuori.
Non c’è dubbio che l’evento della nascita di Gesù ci indica in modo chiaro il modo di agire di Dio; sembra che la storia del mondo sia nelle mani dei potenti di turno: Cesare Augusto che vuole misurare la forza dell’impero di Roma, Quirinio, governatore della Siria, Erode, Archelao, suo figlio; in realtà questi personaggi sono comparse statiche, interessate a conservare il loro potere.
I veri protagonisti dinamici dell’avvento di Dio nella storia sono gli anawim, i poveri, i semplici, quelli che non hanno voce in capitolo nelle stanze del potere ma sanno bene come trasformare gli scantinati della storia in laboratori di libera e responsabile adesione al progetto salvifico di Dio.
Rispondono al nome di Maria, Giuseppe, i pastori, i magi, Simeone, Anna, donne e uomini mossi dallo Spirito che aspettavano la terra nuova e i cieli nuovi che il Padre voleva rigenerare nel mistero pasquale del Figlio amato.
Loro sono quelli che hanno accolto il Verbo della vita, perché liberi da ogni istinto di autosufficienza, non avevano alcun potere da difendere, se non quello della libertà e semplicità di cuore; perciò, a loro il Verbo fatto carne “ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome.” (Gv 1, 12).
Nel Natale è scritta la scelta irrevocabile di Dio di stare dalla parte dell’uomo, non solo, ma dalla parte dei poveri, dei semplici, dei miti, anzi Dio sceglie, nel Figlio Gesù, questa modalità di stare al mondo, di abitare la vita degli uomini.
Non facciamoci rubare il senso del Natale di Gesù! Prendiamoci pure il giusto tempo di distensione, torniamo a gustare le sane relazioni familiari, godiamo pure delle tante realizzazioni artistiche di presepi, sacre rappresentazioni, concerti che ci ispirano il gusto del bello, ma non perdiamo l’occasione di porci le domande che sorgono da un cuore inquieto che nella notte sente il bisogno dell’alba, della luce, della pace.
Le domande del profeta Isaia oggi dovrebbero essere le nostre domande: “Sentinella, quanto resta della notte?”. È ancora lunga questa notte che il nostro mondo sta vivendo? Continuerà a lungo la scia di sangue, di morte, di distruzione, di povertà che l’homo oeconomicus ha generato per alimentare i suoi profitti?
Nel testo di Isaia, in realtà non c’è una risposta alla domanda, la sentinella assicura che prima o poi il giorno verrà, ma poi ci sarà ancora la notte; quello che serve non è una previsione temporale ma una revisione di vita: “…convertitevi, venite.”
La notte è occasione di conversione, di discernimento, di revisione di vita, di cambiamento di rotta a partire dalla nostra vita.
Perciò, in questo Natale, avviciniamoci al presepe, questa umile rappresentazione alla portata di tutti, nata dal cuore umile di San Francesco di Assisi, per riscoprire tre movimenti del cuore di Cristo che diventano fondamentali per noi, per affrontare la notte e avviare un serio cambiamento di rotta:
L’UMANITÀ
Stiamo vivendo un grave naufragio di umanità, che si manifesta a vari livelli nel mondo e nella vita di ciascuno; se veramente, però, la gloria di Dio è l’uomo vivente, fino al punto che Dio ha voluto farsi uomo e allora è urgente ritrovare il senso pieno del nostro essere persone umane.
È notte di umanità dove la guerra sta mietendo vittime, uomini, donne, bambini, anziani che abitano i territori interessati da questi orribili conflitti.
È notte di umanità per i tanti profughi costretti ad abbandonare le proprie case e i propri territori per cercare scampo da violenze, ingiustizie, soprusi e umiliazioni di ogni genere.
È notte di umanità per bambini a cui è negata la gioia della vita e per anziani e malati terminali non adeguatamente curati nell’ultimo tratto del loro pellegrinaggio terreno, se non addirittura aiutati a morire.
È notte per chi, analfabeta nelle relazioni affettive, alza la mano contro la persona che ha amato, ma che non può possedere come un oggetto.
È notte di umanità tutte le volte che, ad ogni livello, non ci si prende cura della persona umana, e non è garantito a tutti il diritto all’ istruzione, al lavoro, alla casa, alla salute, alla dignità.
È notte di umanità tutte le volte che tanti nostri fratelli e sorelle immigrati non sono accolti e trovano la morte in quel mare che è per loro l’unica via di salvezza.
È notte di umanità quando la nostra casa comune: l’ambiente, non è rispettato, tutelato e amato, ma è svenduto a perverse logiche di progresso, che hanno il solo obiettivo di tutelare il monopolio di un mondo di soci.
È notte di umanità quando chiunque di noi, uomini e donne di fede, cediamo a compromessi e sotterfugi e adottiamo logiche mondane per tutelare i nostri interessi personali e tuttavia apparire agli occhi degli altri brava gente.
Da questa notte di umanità è urgente uscire; dobbiamo recuperare il volto bello di quella divino-umanità che risplende nel più bello tra i figli dell’uomo: Gesù Cristo.
Forse la nostra umanità si è indebolita perché la fede si è indebolita nel nostro vissuto quotidiano; abbiamo pensato che ormai la fede fosse un accessorio archeologico che aveva esaurito il suo valore educativo, e ci siamo aggrappati alla religione, che si accontenta della ripetizione di riti e gesti che sembrano più graditi a una platea più ampia, e così, noi cristiani per primi viviamo di rendita e non ci preoccupiamo di coniugare il verbo della fede, incultur
andolo nel vissuto delle persone del nostro tempo.
L’umanità trova nella fede il suo nutrimento sostanzioso e la fede prende corpo in una umanità, che sfuggendo alla mediocrità, punta alla misura alta della vita cristiana e assume gesti di cura, di tenerezza, di delicatezza, segni che annunciano l’aurora.
La POVERTÀ
Non c’è alcun dubbio che il contesto in cui avviene la nascita di Gesù è un contesto povero dal punto di vista socioculturale ed economico; tuttavia, contemplando il Bambino di Betlemme siamo chiamati a riscoprire un’altra povertà, quella povertà costituzionale, che lo stesso Gesù, maestro, dalla cattedra delle Beatitudini, chiederà ai suoi discepoli: l’umiltà. Nel Natale contempliamo la povertà di Dio, che San Paolo con poche pennellate presenta nella Lettera ai Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.” (Fil 2, 5-8).
Le parole dell’Apostolo ci presentano in modo chiaro e sintetico la verità del mistero dell’Incarnazione. La povertà esteriore che Gesù ha vissuto nella sua vita terrena era il riflesso di quella povertà interiore che lo portava ad essere continuamente in ascolto del Padre, vera e unica ricchezza della sua esistenza.
Dio solo sa quanto abbiamo bisogno noi di imparare la povertà di Dio!
Se non ci mettiamo alla scuola della povertà di Dio non riusciremo mai a vivere con sobrietà la nostra vita. Non ci è chiesto di vivere un pauperismo di facciata, che copre le riserve auree di ogni genere che nascondiamo altrove, ma di incarnare uno stile umile, essenziale, sobrio che nella trasparenza della vita ha spazio, tempo e forza per accogliere tutti.
I due poli di riferimento della povertà di Dio sono la culla di Betlemme e la croce del Golgota, questi devono essere per ciascuno di noi punti cardinali per orientare il percorso della vita; e perché questo non diventi un pio desiderio evanescente, la scuola a cui formarci alla povertà umile di Dio è l’Eucarestia.
Certo, l’Eucarestia resta fonte e culmine della vita della Chiesa, ma non ci deve sfuggire che è scuola dove formarsi alla povertà di Dio.
Nell’Eucarestia, Gesù si mette nelle nostre mani, che non sono meno sporche e pungenti della paglia di Betlemme, eppure Lui non si difende in alcun modo, assicurando la sua perenne presenza nel mondo.
La CONDIVISIONE
Il terzo movimento a cui il Natale ci educa è la condivisione. Il Natale è la storia del Divino e dell’umano che si incontrano per condividere la salvezza dell’umanità.
Dio non ha voluto fare tutto da solo ma ha chiesto la collaborazione degli uomini, per condividere il sogno di un mondo nuovo.
Forse potrebbe suonare fuori contesto, ma la parabola del buon samaritano è certamente una chiave di lettura del mistero dell’Incarnazione.
L’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico è l’umanità generata da Dio che percorre le strade del mondo. Il peccato ferisce gravemente l’umanità e ne compromette l’integrità spirituale; in tanti corrono al capezzale dell’umanità ferita, ma gli interessi di parte, il ripiegamento su cose ritenute più importanti, l’indifferenza adottata come cultura, impediscono qualsiasi cura.
È Dio, che in Gesù, buon samaritano, si fa uomo per percorrere le strade del mondo e prendersi cura dell’umanità ferita e restituirla alla bellezza della grazia, lasciandosi sfigurare dalla morte sulla croce, prima di restituire all’uomo lo splendore della luce pasquale.
Così commenta la parabola del buon samaritano Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti: “Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite. Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono si di sé il dolore dei fallimenti, invece, di fomentare odi e risentimenti. Come il viandante occasionale della nostra storia, ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto; anche se tante volte ci troviamo immersi e condannati a ripetere la logica dei violenti, di quanti nutrono ambizioni solo per sé stessi e diffondono la confusione e la menzogna. […] Alimentiamo ciò che è buono e mettiamoci al servizio del bene. […] Però non facciamo da soli, individualmente. […] Noi siamo chiamati a invitare e incontrarci in un “NOI” che sia più forte della somma di piccole individualità…” (FT 77-78).
Sarà una rinvigorita capacità di condivisione a farci ricostruire il tessuto logoro delle nostre comunità e aiutarci a pensare e agire in termini di comunità.
In cammino verso Betlemme
La riscoperta di questi tre valori può costituire il giusto equipaggiamento per attraversare la notte che stiamo vivendo, senza mai perdere la speranza dell’aurora di un giorno nuovo.
Viviamo questo Natale portando nel cuore la certezza che nonostante tutto Gesù continua a nascere nelle nostre vite e nel nostro mondo per ricordarci le coordinate della vita: la semplicità, la povertà, l’umiltà.
Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi:
e dunque vieni sempre Signore.
Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi:
e dunque vieni sempre Signore.
Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti:
e dunque vieni sempre Signore.
Vieni, tu che ci ami, nessuno è in comunione col fratello
se prima non è con te, o Signore.
Noi siamo tutti lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo:
vieni, Signore. Vieni sempre, Signore.
(Padre David Maria Turoldo)
A tutti rivolgo il mio fraterno e sincero augurio di BUON NATALE.
+ Giovanni Intini
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