Si può pensare con la metafora e la formula insieme?

Mario prof. Castellana Settembre 21, 2024 781

 Nonostante l’Italia sia stata la sede dell’Umanesimo e del Rinascimento grazie al fatto che scienza e arte erano strettamente legate col dare così all’intera umanità un patrimonio unico e irripetibile, rimane ancora aperta la questione, non puramente di natura storiografica, di come tale legame in seguito sia venuto meno sino a produrre quella nefasta e artificiosa frattura tra cultura umanistica e cultura scientifica, una delle non secondarie cause della successiva decadenza del nostro paese; ed una delle cause è da rintracciare nelle conseguenze sul terreno socio-culturale del cosiddetto ‘Caso Galileo’, che portò a separare il mondo della scienza, ritenuta  in quel contesto per una serie di ragioni contingenti  fonte di pericolo per la fede e la stessa vita umana, dalla cultura più in generale, con grave perdita per lo stesso discorso teologico, come ammetterà Giovanni Paolo II; non a caso il pontefice polacco ha considerato Galileo ‘dono di Dio per averci liberato dalla dittatura del letteralismo biblico’ col prenderlo come punto di riferimento per impostare su nuove basi il rapporto tra scienza e fede  e liberarlo da quella visione ‘bellicista’ che aveva assunto.  Ma il ‘Caso Galileo’ ha lasciato, sul terreno umano più in generale e non solo delle idee, delle ferite che a fatica si stanno chiudendo e dovute al fatto che ha portato a perdere di vista la fondamentale dimensione conoscitiva e veritativa della scienza, ad espellerla così dall’universo culturale e vista solo per gli aspetti pratici; non a caso, poi, la negazione di tale suo aspetto specifico ha trovato una sponda,  sino ad essere formulato in modo organico, in alcune filosofie che hanno fatto dell’anti-scienza il loro cavallo di battaglia ed in particolar modo in quelle neoidealiste col prendere piede soprattutto in Italia, tale da permeare la nostra storia nelle stesse strutture educative di ogni ordine e grado.

Ma negli ultimi decenni, sia pure faticosamente, si sta prendendo coscienza a più livelli dell’unità dei saperi, dell’unità della cultura per la quale occorre battersi per affrontare le inedite sfide della nostra era, l’Antropocene, unità invocata per primi dagli stessi scienziati e non a caso scienziati-filosofi di punta nei diversi settori  dove si richiede urgentemente quella che il Premio Nobel per la Chimica, Ilya Prigogine, ha chiamato sul finire del secolo scorso in senso biblico ‘nuova alleanza’ tra saperi umanistici, forti della dimensione storica, e cultura scientifica col tutto il suo portato di eventi veritativi, come già Galileo aveva indicato con forza, con cui fare i debiti conti. Ma ci sono state figure nel passato che sia pure in modo isolato, ma facenti parte di altre tradizioni culturali, hanno compreso questa unità di fondo, come il poeta romantico inglese John Keats (1795-1821) col consegnarci fra i tanti e famosi aforismi questo, forse il meno noto, ma significativo: “ci sono due categorie di uomini: chi pensa con le metafore e chi con le formule. Ma chi pensa con entrambe sono rari, ma sono coloro che hanno cambiato il mondo”. Pur nella sua estrema e nello stesso tempo densa semplicità, ma frutto di diverse tensioni esistenziali, riesce a far comprendere aspetti in comune sia della poesia che della scienza che a fatica sono emersi nella critica letteraria e nell’analisi epistemologica, in quanto per lungo tempo sono stati considerati antagonisti come espressione di due mondi distanti e diversi tra di loro, la metafora quasi appannaggio esclusivo di un ambito e la formula di un altro.

 Ma con  la successiva produzione letteraria a partire da Charles Baudelaire, che dà inizio alla cosiddetta modernité, e la quasi concomitante seconda rivoluzione scientifica in primis  con le geometrie non-euclidee e poi con la teoria dell’evoluzione di Darwin e l’avvento delle nuove meccaniche, è un continuo assistere ad una vera e propria esplosione di metafore in entrambi i campi, anche se  già Galileo, come ha insistito spesso Italo Calvino, deve essere ricordato di più per esserne stato un formidabile inventore. In campo poetico e letterario, dove la metafora era già di casa, essa viene a configurarsi secondo nuove e più articolate modalità anche con l’obiettivo di dare più senso alle vicende umane con lo scavare nelle profonde lacerazioni provocate dalla società moderna, come avviene  prima in I fiori del male di Baudelaire e in La Commedia umana di Honoré De Balzac ad esempio e poi in L’uomo senza qualità di Robert Musil;  queste opere da sole valgono più di cento trattati di sociologia e non caso negli ultimi tempi sono diventate dei modelli nella cosiddetta sociologia narrativa, come in campo psicologico nel primo Novecento Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust e gli scritti di Italo Svevo in Italia   sono diventati  vere e proprie  e imprescindibili ermeneutiche dell’animo umano.

 Ma è  soprattutto nel campo delle varie scienze e soprattutto nel momento della scoperta scientifica, così come è venuta a configurarsi da Riemann e Darwin prima e poi con Einstein e le prime formulazioni della meccanica quantistica per poi arrivare a Richard Feynman e ai suoi famosi diagrammi e in diversi settori delle scienze del vivente, che emerge il ruolo propulsivo della metafora insieme a quello dell’analogia; come è stato ben evidenziato sia nei primi decenni del secolo scorso da Hélène Metzger  e sia poi sempre da un’altra figura di donna Mary Hesse nei loro diversi ed insostituibili lavori sulla ‘costruzione scientifica’, essa  consiste nel fare intravedere un nuovo evento di verità che per essere compreso porta a rompere gli schemi logico-concettuali del passato e annunciare in forma a volte stravagante dei fatti nuovi non inquadrabili nei quadri teorici della scienza già consolidata.  Prima di essere espressi in formule o in teorie più coerenti sono stati lo spazio a n dimensioni di Riemann e la stessa idea di Grassmann di grandezza estensiva accompagnata non a caso dal ‘presentimento’ nelle matematiche, l’evoluzione e la selezione (‘Dio seminatore’ di Darwin), l’idea di probabilità con Boltzmann, l’einsteiniano ‘Dio non gioca a dadi’, i primi modelli dell’atomo con Bohr, i diagrammi che già nel passato erano utilizzati per annunciare fatti nuovi ma vietati dall’ortodossia vigente, sino alle diverse e più note metafore  di Steven Gould e nelle scienze della terra con Alfred Wegener, nell’astrofisica, nelle neuroscienze con il neurobiologo Gerard Edelman per descrivere l’emergere di quella che chiama ‘seconda natura’, cioè l’autocoscienza non rappresentabile secondo schemi puramente computazionali.

 La metafora, sia in ambito letterario che scientifico, ha dunque il ruolo di annunciare dei mondi nuovi con l’uscire fuori dai binari consolidati perché abbina, come diceva Keats   nell’Ode su un’urna greca del 1819 e ribadito a più riprese nel suo epistolario come anche nell’incompiuto Iperione, ‘bellezza e verità’; come ha dimostrato Hélène Metzger  nei suoi numerosi studi di storia delle dottrine chimiche, nell’atto creativo bellezza e verità, forma e contenuto sono inseparabili e poi, come aggiunge  lo stesso Keats, lo stato metaforico ci fa stare in uno stato d’allerta ma aperto ad ogni possibilità, e quindi ‘nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro i fatti’. Nello stesso tempo il poeta inglese elabora quella che chiama Negative Capability, cioè la capacità e l’abilità da parte del poeta e dello stesso scienziato di mettere metodologicamente da parte la loro identità quando osservano il reale  per dargli una voce; esso è ‘fonte di ispirazione’ e attraverso l’immaginazione permette di accedere contestualmente alla bellezza e alla verità, fonti comuni di quello che i Greci chiamavano poema,  sia sottoforma di creazione epica che  di  poiesis matematica, ben espresso nella metafora di Parmenide di un unico ‘carro trainato dagli dei’. Ispirato poi da Galileo, lo stesso Giovanni Paolo II ha messo in piedi la nota metafora delle ‘due ali’, scienza e fede come due percorsi sì indipendenti ma convergenti verso il vero; quando si incontrano beneficiano dei rispettivi contenuti veritativi, in quanto entrano in conflitto, com’è storicamente successo, solo le loro interpretazioni deformanti e per lo più per motivi ideologici.

  Ma ancora Keats ci manda un altro non secondario messaggio per capire lo stretto nesso tra poesia e scienza: “ciò che sconvolge  il filosofo virtuoso [il filosofo tradizionale che tende ad assolutizzare e a razionalizzare] delizia il Poeta camaleonte. L’unico modo per rafforzare l’intelletto è quello di non decidere niente riguardo a nulla, di lasciare che la mente sia una strada percorribile da tutti i pensieri”. E ancora la stessa filosofia non deve mozzare ‘le ali di un angelo’, deve essere aperta ad ogni porta che si affaccia sul percorso del reale, ricco di articolazioni che nessun ‘filosofo virtuoso’ può ridurre ad una sola configurazione, anche se ritenuta valida, per scoprirne nuove e inedite dimensioni;  la nuova filosofia e la nuova ragione che si nutrono di ulteriori contenuti di verità presenti sia nell’arte come nella scienza tra Ottocento e Novecento,  rompono le mura della prigione che un certo positivismo e il neoidealismo avevano creato tra le due ‘ali di un angelo’ e, come  autentica riflessione critica su questi due mondi, non li devono assolutizzare isolandoli l’uno dall’altro, non devono ‘mozzare’ le ali della bellezza e della verità, che solo nella metafora si presentano unite come lanciati verso un’unica meta, donde il suo carattere ‘vivo’ come dirà Paul Ricoeur.

 Questo invito di Keats è accolto nel suo pieno spessore teoretico solo nel Novecento grazie a quella figura, unica nel suo genere, come Gaston Bachelard (1884-1962), insieme epistemologo per aver elaborato una decisa visione post-positivistica della scienza   e non a caso nello stesso tempo creatore di un filone di critica letteraria in base alla sua profonda immersione nella poesia moderna da Baudelaire, Lautréamont, Mallarmé sino al surrealismo di André Breton ed oggi più che mai al centro di una rinnovata attenzione critica. I suoi studi fatti quasi contemporaneamente negli anni ’30-’40 sulle rivoluzioni scientifiche tra Ottocento e Novecento, periodo ricco di figure di chi pensa sia con le metafore che con le formule, e la poesia moderna, gli hanno permesso di coniugare insieme epistemologia e poetica sino a definirsi insieme  ‘uomo del teorema’ e ‘uomo del poema’, sujet de la science, soggetto razionalista e du jour, e rêveur, sujet de la nuit,  onirico e des  rêves; contro le visioni unilaterali del passato, come uomo e come figura di intellettuale si è impegnato nell’essere un ‘filosofo virtuoso’ che non  ‘mozza le ali dell’angelo’, che convive con la scienza e la poesia, ambiti dove il momento metaforico gioca lo stesso ruolo ‘vivo’, propulsivo e insostituibile. Non a caso, pur riconoscendo la radicale diversità tra questi due mondi, Bachelard ha lavorato, più di altri, per una philosophie ouverte e ha assegnato ad essa il compito ‘di renderli complementari’, di non relegare l’una esclusivamente nella ragione e l’altra nel mondo della rêverie; in tal modo si gettano le basi di un percorso che deve partire dalla presa d’atto della loro fruttuosa coesistenza, così come Keats auspicava, cosa del resto presente nel nostro Leopardi, oggetto in questi ultimi tempi di una rinnovata attenzione critica orientata proprio in tal senso.

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