La biomedicina: il contributo di Giovanni Boniolo

Mario prof. Castellana Novembre 23, 2024 77

 Ci sono campi dell’umano, e non solo, al centro in questi ultimi tempi di cambiamenti a volte radicali che richiedono decisioni sempre più urgenti e improcrastinabili; ad esempio,  nel campo della biomedicina, si hanno a disposizione   diversi risultati e strumenti non solo di ordine concettuale sine qua non per meglio poter ‘decidere’ nei momenti più cruciali della vita in quanto si è entrati sempre di più nelle pieghe delle nostre ‘identità plurime’, così come viene evidenziato nell’ultimo lavoro di Giovanni Boniolo in   Decidere, morire, essere nella medicina di oggi (Milano-Udine, Mimesis 2023), preceduto da  Molti. Discorso sulle identità plurime del 2021. Ma già in diversi  scritti come  Etica ai confini della biomedicina. Per una cittadinanza consapevole del 2019, scritto con Paolo Maugeri, ed in altri scritti imperniati sulla necessità di una corretta educazione scientifica ritenuta una questione non secondaria per una democrazia più matura, erano stati presi in considerazione aspetti legati  all’esperienza del Covid e alle problematiche di politica sanitaria.  

Tali strategiche indicazioni sono venute fuori grazie al fatto che Giovanni Boniolo si è confrontato da una parte con quelle che chiama le inedite “sfide cliniche della medicina odierna”   per essere Coordinatore per la European School of Oncology del primo Postgraduate Program in OncoHumanities europeo; e dall’altra soprattutto perché   ha  avuto a che fare  con “dolori e sofferenze dovute a malattie” di persone vicine, esperienza umana che lo ha portato a chiedersi “quale potesse essere l’impatto del mio lavoro e su chi”. Tale scelta, insieme epistemica ed esistenziale, si è rivelata strategica da un lato per prendere le dovute distanze da quel tipo di riflessione imperniata sulla medicina “distaccata dalle situazioni mediche reali” e sui “puzzle filosofici” che la riguardano e che, pur importanti, trattano  in modo generale e fuori dai reparti ospedalieri questioni come  salute,  malattia, terapia;  e dall’altra gli ha permesso di focalizzarsi sul cruciale momento della cura, di ”porsi sotto lo sguardo vigile della dea Cura” col fare suo il mito descritto da Gaio Giulio Igino relativo alla dea romana Cura. Ma tale decisivo passo, il mettersi programmaticamente dentro tale composito mondo  con una particolare attenzione alle diverse terapie messe in atto nei confronti dei malati, è stato fatto in quanto frutto di una non comune metabolizzazione delle acquisizioni di punta della medicina di oggi o meglio, come viene precisato a più riprese, ‘biomedicina’ che sempre più si presenta “come cura del singolo paziente… col suo approfondire le caratterizzazioni biologiche dell’individuo e con la sua enfasi sulla specificità del suo contesto e stile di vita”.

Ed in tale lavoro di Boniolo si arriva ad una convergenza significativa tra un risultato teorico, quello della singolarità di ognuno di noi come le scienze del vivente nel loro complesso stanno sempre più evidenziando, e quello che questo implica nella prassi clinica della cura;   in essa si ha che fare concretamente con la singolarità di ogni paziente, e la medicina così tocca il suo lato più scientifico ed umano insieme in quanto essa, nonostante alcune criticità, rimane ed “è il modo scientifico, e il modo migliore che conosciamo, di prendersi cura degli esseri umani” e di salvare “molte vite umane”. Si sposta in tal modo il baricentro dell’intervento medico dalla patologia in quanto tale “all’essere umano colpito dalla patologia” in quanto “ogni essere umano è sempre la sua biografia”, anche perché in tale contesto di dolore, per parafrasare Walter Benjamin,  si viene a ‘conoscere’ meglio una persona anche se a volte è ‘senza speranza’.

Con tali assunti, basati sulla necessità di produrre una organica riflessione sulla effettiva pratica clinica, si muovono  i vari capitoli a partire dalla basilare e problematica ‘sfida’ della  decisione quando ci si trova costretti a fare delle scelte di vita di fronte a “problemi sconosciuti”; essi hanno “importanti risvolti etici ed esistenziali”, e si rende necessario evitare le diverse  “trappole” che si possono frapporre come una certa paralisi determinata dalla complessità delle situazioni in cui ci si viene a trovare o il fatto che i clinici le affrontino  “solo sulla base delle proprie prospettive di vita e ideologico-religiose”. Per ovviare a tali trappole, Boniolo propone quello che chiama molto significativamente ‘paternalismo libertario deliberativo’ con lo scopo di favorire i cittadini alla partecipazione  attiva nel prendere decisioni una volta ben informati.

La seconda parte del volume si concentra sul Morire e sul significato della vita e della morte prendendo come punto di riferimento un’idea di Thomas Mann  de La montagna incantata e relativa al fatto che “chi si interessa alla vita si interessa anche alla morte”;  lo sforzo epistemologico intrapreso porta a prendere in debita considerazione  le differenze tra morte biologica e morte clinica con l’importante invito da parte di Boniolo di non confondere “il piano della descrizione scientifica della vita con il piano extra-scientifico dell’attribuzione di valore a un particolare aspetto della vita”. Tale scelta permette di distinguere i dibattiti sulla biomedicina dai  “dibattiti ontologici e bioetici… suggeriti da particolari conferitori di valore più meno critici, più o meno liberi nelle loro scelte assiologiche”, dibattiti che vertono “non sull’intrinseca natura dei viventi, ma sul nostro modo di vedere certi viventi”.  Questo porta a recuperare  “l’antico ruolo del medico come amicus mortis, con le sempre più indispensabili cure di supporto,  data la crescente tecnologizzazione della vita ospedaliera;   in tal modo si offrono occasioni di confronto nel “promuovere dialoghi  più aperti sul morire e sulla cura del morente” oltre a mettere sul tappeto il “memento mori” e la necessità del ripensamento della formazione della “figura dell’amicus mortis” , dotata di una forte dimensione umanistica, non più vista “come un orpello inutile, ma come necessaria”.

Altrettanto strategica si rivela la terza parte dove Giovanni Boniolo si interroga sull’individualità in biologia, o meglio identità, alla luce dei recenti risultati della biologia molecolare, problematica che se ben affrontata, permette di non “cadere in un quadro riduzionista o, peggio ancora, nella trappola dell’essenzialismo genetico” da studiare oggi più che mai in chiave storica; tale operazione è finalizzata a “comprendere meglio in che senso un essere vivente e, a fortiori, un essere umano, è un individuo” con una precisa identità da richiedere quello che viene definito approccio del fenotipo completo. Tale approccio, per il fatto che un essere vivente è inteso “come esito della sua storia epigenetica” in quanto “modellato  causalmente dai suoi moduli fenotipici interconnessi”,  è ritenuto  in grado di dare una risposta più soddisfacente al tema “dell’identità sia dal punto di vista ontologico che dal punto di vista etico, in particolare di etica clinica”, soprattutto quando si è alle prese  con l’attuazione delle direttive anticipate dove “l’identità è garantita dalla continuità dei relativi processi epigenetici sottostanti”.

Decidere, morire, essere nella medicina di oggi, pertanto, pur affrontando questioni di natura epistemologica inerenti il complesso mondo della biomedicina alla luce dei risultati scientifici più recenti, si rivela essere un indispensabile strumento per prendere di petto sul piano concreto il momento cruciale della cura col dare precise indicazioni su come  affrontare l’identità di ogni singolo paziente nella malattia e le diverse difficoltà esistenziali che si incontrano quando si devono prendere decisioni cliniche che possono essere irreversibili; ma si rivela altresì strategico per ripensare le stesse questioni di natura politica che “incidono sulla ricerca biomedica, sulla quotidianità clinica e sulle decisioni di salute pubblica”. Ed il percorso di Giovanni Boniolo, per l’esperienza diretta nella prassi clinica oncologica, si dimostra essere un salutare antidoto da una parte contro le visioni riduttivistiche della prassi medica e soprattutto dall’altra contro le innumerevoli fake news, sorte in questi ultimi tempi, che vengono a screditare la medicina come scienza; non bisogna mai dimenticare che essa, pure non esente da diverse criticità comuni del resto ad ogni azione umana alle prese con la complessità del reale,  è sì un continuo laboratorio sempre in fieri per l’alto livello di sperimentazione che la caratterizza, ma  tale  specifica dote  ne è il punto di forza per aver fornito nella sua ancora breve storia, e continua a fornire, punti di non ritorno che, una volta metabolizzati come vere e proprie epistemi sociali, rimangono gli unici strumenti per essere fedeli discepoli della dea Cura.

---------------
Per restare aggiornato con le ultime news del Gazzettino di Brindisi seguici e metti “Mi piace” sulla nostra pagina Facebook. Puoi guardare i video pubblicati sul nostro canale YouTube. 
Per scriverci e interagire con la redazione contattaci

Ultima modifica il Sabato, 23 Novembre 2024 17:47