Ipazia : ‘un cuore pensante’ del suo tempo
Può sembrare anacronistico rivolgere lo sguardo a momenti e figure del passato, data la situazione odierna alle prese chiaramente con ben altre problematiche di livello planetario; ma farlo aiuta a capire meglio certe dinamiche ancora presenti, sia pure sotto altre forme, come quelle che riguardano il cruciale passaggio, con tutto il suo corredo di contraddizioni e tragicità, da una visione del mondo che sta venendo meno ad una successiva col suo pieno di incognite. Ed in tal senso conserva ancora un po' di attualità la tragica vicenda di vita e di pensiero di Ipazia, aspetti che non si possono scindere per capirne alcuni nuclei portanti, come insegna la più sana storiografia filosofica e non solo; e per una più corretta valutazione di tale figura, paradigmatica di una era che sotto certi versi presenta delle analogie con i dovuti distinguo con la nostra, bisogna inserirla nel suo complesso contesto storico: venendo sempre meno la Paideia greco-romana, si stavano scontrando due visioni del mondo, quella classica e quella cristiana, anche se il Neoplatonismo aveva ancora un forte ruolo politico, anche perché quella nuova ancora non si era organizzata in modo organico sul piano delle idee, il che avverrà secoli dopo. Ma sul terreno concreto già si stavano verificando scelte irreversibili: nel 391 Teodosio proibisce il culto pagano, l’edificazione di nuovi templi, abolisce i giochi di Olimpia e cento anni prima di Ipazia si era sviluppata la cultura patristica; sopravvive con diverse difficoltà solo la filosofia neoplatonica anche in seguito alla distruzione della biblioteca di Alessandria, già in parte operata dai Romani, per poi chiudersi il cerchio con Giustiniano nel VI secolo quando abolirà la Scuola filosofica di Atene, considerata un vero pericolo in quanto ostacolava quel processo che stava rendendo la nuova religione un instrumentum regni. Saranno gli Arabi tra l’Ottavo ed il Nono secolo a salvare la cultura filosofico-scientifica greca col farla pervenire sino a noi, traducendo e divulgando i testi salvandoli dalla rovina.
Ma per comprendere meglio la figura di Ipazia, è necessario distinguere le poche fonti storiche dalla ricca letteratura prodotta su di lei dal ‘700 in poi; ed è sempre utile tenerla presente in quanto ci fanno vedere insospettabili analogie con la nostra era. A tal fine sono indicative le considerazioni di Charles Peguy: ‘La memoria di Ipazia rimane tra tutte le memorie umane una delle più venerate; era rimasta in armonia così perfetta sino alla morte e durante la morte, mentre il mondo crollava’. Nei Poemi antichi Leconte de Lisle scrive: ‘Ipazia era l’insieme dello spirito di Platone ed il corpo di Afrodite’.
Mario Luzi, a sua volta, in Libro di Ipazia del 1978 aiuta a capire Ipazia come ‘cuore pensante’ dell’antichità, per usare l’espressione di Etty Hillesum, e viene non a caso considerata una figura emblematica di un’epoca di transizione, attraversata da sconvolgimenti notevoli, dove vengono meno secolari certezze; non a caso si evidenzia il fatto che ella capì più di altri i suoi concittadini di Alessandria, scoraggiati dai cambiamenti in atto, tale situazione. E questo spiega che fu in vita molto combattiva con una sola arma a disposizione: la parola, il pensiero, la filosofia e la matematica come percorsi di verità. Cercò con tutte le sue forze, infatti, di dare senso agli eventi del suo tempo, di tradurre in primis il suo tempo in concetti col conseguente ‘travaglio dei concetti’, a dirla con Hegel e col matematico Federigo Enriques; si adoperava, inoltre, in modo attivo nel convincere i suoi concittadini a non lasciarsi prendere dal panico, e non aveva nessuna paura nello sfidare le folle cieche, a non fuggire di fronte al pericolo con l’immolarsi come un agnello sacrificale (la sua morte coincise col periodo pasquale).
Abbiamo, però, a disposizione alcune fonti certe come le lettere del suo allievo Sinesio dove viene spiegata la ‘conversione agli studi filosofici’: “Ipazia mi ha insegnato a considerare la filosofia uno stile di vita, una costante religiosa e disciplinata ricerca della verità. Per la magnifica libertà di parola e azione che le deriva dalla sua cultura, era rispettata da tutti ed in parte anche temuta”. Sinesio insiste poi sul versante matematico dell’insegnamento di Ipazia considerato come un severo e duro percorso di verità, come dirà nel ‘900 Simone Weil quasi con le medesima parole: la matematica ci insegna a non mentire sul reale, che diventa scelta di vita. Egli stesso la invita a costruire l’idroscopio, un tubo cilindrico per misurare i liquidi, oltre all’astrolabio con l’insistere sul fatto che era spinta a rendere sempre più stretto il legame tra filosofia e matematica per capire l’universo, per vivere il respiro cosmico universale e fare emergere le potenzialità umane. Questo era il vero spirito della sua filosofia dovuto al neoplatonismo presente ad Alessandria dove si coltivava un filone filosofico-scientifico orientato fortemente in tal senso; e non caso suo padre Teone aveva curato una famosa edizione degli Elementi di Euclide, oltre a commentare un trattato di Tolomeo.
Lo stesso Socrate Scolastico nel 440 aveva dichiarato :“Ipazia era giunta a tanta cultura da superare tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica rinnovata da Plotino e a spiegare a chi voleva tutte le discipline filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico”. A ciò è da aggiungere ciò che dice Damascio, un altro filosofo bizantino del V-VI secolo che ci fornisce una serie di utili notizie sul mondo filosofico di Alessandria in Vita di Isidoro: “Ipazia pretendeva da vera platonica un lungo apprendistato nelle discipline matematiche, considerate propedeutiche alla filosofia, ella era aperta ad osservare le stelle con spirito matematico”. Contro le interpretazioni magiche ed orientaleggianti di un certo Neoplatonismo, ella insisteva sull’uso della ragione anche nelle vicende umane; e all’interno di tale scuola, ella privilegiava sempre un neoplatonismo tollerante. E per questo motivo accoglieva tutti e non ne accettava quel filone misticheggiante che combatteva la nuova religione, quella cristiana; e non a caso alcuni suoi allievi furono cristiani sino a raggiungere posizioni preminenti col cercare con le loro forze di far fronte alle visioni totalizzanti che nella nuova religione stavano prendendo piede, senza riuscirvi.
Con occhi odierni e anche alla luce di molti tragici eventi che si sono succeduti nei vari secoli, non si può non vedere nel progetto di Ipazia un germinale cosmopolitismo politico-culturale in grado di rispettare le differenze, la specificità di religioni e popoli; e tutto questo era il frutto del più sano pensiero filosofico-scientifico dell’epoca che in lei venne a coagularsi con la speranza di continuare a fare prosperare su nuove basi ad Alessandria quel ‘miracolo greco’, come lo chiamerà Michel Serres a fine Novecento, che portò alla contestuale nascita della scienza, della filosofia e delle prime idee democratiche. E a tutto questo si accompagnava la non comune coscienza che il Mediterraneo, il nostro Mediterraneo, era ‘il mare del possibile’ come lo chiamerà in modo significativo Paul Valéry, per il fatto che al suo interno erano venute altresì a maturazione sia religioni politeistiche che monoteistiche, il che rendeva necessario avere e mettere in atto politiche tolleranti e lungimiranti; Ipazia ha vissuto in carne ed ossa questo momento cruciale col darvi un’anima, una prospettiva ed esserne ‘un cuore pensante’ sino a pagarne con la vita le conseguenze.
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