VALERIO MASTRANDREA È “MIGLIORE” AL VERDI DI BRINDISI
Al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi arriva “Migliore”, monologo scritto e diretto da Mattia Torre e interpretato da Valerio Mastandrea. In scena giovedì 27 febbraio alle 20.30, il titolo si inserisce come fuoriprogramma nella stagione 2024-25 del teatro offrendo al pubblico un’opera intensa e attuale: un testo che indaga le dinamiche del successo e della spregiudicatezza mostrando la trasformazione di un uomo da individuo remissivo a figura spietata e vincente. Biglietti disponibili su rebrand.ly/Migliore e al botteghino del teatro, aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 11 alle 13 e dalle 16.30 alle 18.30. Info T. 0831 562 554 e Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
“Migliore” compie vent’anni. Sarà l’ultima occasione per vedere l’attore romano impegnato nel monologo che Mattia Torre, autore e regista scomparso nel 2019 a soli 47 anni, aveva pensato e scritto per lui. Alfredo Beaumont, protagonista della vicenda, è un uomo qualunque, impiegato in un call center d’élite, abituato a una vita prudente e priva di scossoni. Un incidente lo pone improvvisamente di fronte a una nuova consapevolezza: la gentilezza è inutile, la debolezza un ostacolo. Il passo da uomo comune a individuo cinico e determinato è breve. Paradossalmente, proprio nel momento in cui abbandona ogni esitazione morale, la società gli apre tutte le porte. Beaumont ottiene il rispetto dei colleghi, viene promosso, conquista le donne, supera le sue paure. L’insicurezza lascia il posto all’assertività, il senso di colpa si dissolve, la fragilità diventa una forza oscura e dominante.
«Beaumont è un uomo semplice e indifeso - ha detto Valerio Mastandrea -, pieno di fiducia verso il prossimo, cui viene chiesto di essere migliore quando per migliore si intende allinearsi ai codici di comportamento che prevalgono nel mondo moderno. Prevaricazione, spietatezza e individualismo feroce. Mattia voleva raccontare la parabola ascendente di un uomo che, per la sua natura sincera, leale e pura, era abituato a perdere. E credo volesse sottolineare come oggi per occupare un posto da “dirigente” nel mondo, non solo da un punto di vista professionale, ti venga chiesto di rinunciare a quello che sei».
Il testo di Torre costruisce una parabola che gioca sul paradosso: più Beaumont diventa freddo e implacabile, più il mondo intorno a lui gli riconosce valore. L’intuizione drammaturgica è chiara: il successo, nella società contemporanea, non premia necessariamente la competenza o la bontà d’animo, ma la capacità di affermarsi senza scrupoli. Il protagonista si adegua alle regole di un gioco in cui la spregiudicatezza è l’elemento decisivo: la costruzione del personaggio segue un percorso lineare e progressivo in cui ogni piccolo scarto emotivo diventa un passo in più verso la totale trasformazione.
La regia lavora per sottrazione affidandosi a una messa in scena essenziale. Non ci sono elementi scenografici invasivi: la luce e lo spazio vuoto diventano strumenti espressivi. Questo approccio consente di concentrare l’attenzione sulla parola e sulla fisicità di Mastandrea, che domina la scena con una recitazione misurata e intensa. La sua interpretazione restituisce il crescendo emotivo del protagonista con un equilibrio perfetto tra ironia e inquietudine: l’attore romano gioca con le pause, sfrutta il ritmo del testo, restituisce un personaggio che si muove tra vulnerabilità e determinazione con una fluidità che rende credibile ogni passaggio della metamorfosi.
Il monologo evita qualsiasi forma di moralismo. Torre non sferra giudizi, non suggerisce soluzioni ma lascia che sia il pubblico a trarre le proprie conclusioni, a interrogarsi sulla natura del cambiamento del protagonista e sul contesto che lo rende possibile. La forza dello spettacolo sta tutta qui, nella capacità di riflettere il mondo reale senza semplificazioni. Tuttavia, Beaumont non diventa un eroe negativo in senso assoluto: il suo percorso è il riflesso di un meccanismo più grande che premia chi è disposto a superare i limiti etici in nome dell’affermazione personale.
L’allestimento resta fedele alla visione dell’autore. Il disegno luci sottolinea le sfumature emotive del protagonista creando atmosfere che si trasformano con lui. La scelta di un palcoscenico spoglio, privo di elementi accessori, è fatta per mettere al centro il testo e l’interpretazione. Non ci sono distrazioni, solo la parola e la sua forza evocativa. La progressione narrativa è calibrata con precisione millimetrica, senza cadute di ritmo: ogni battuta sottolinea il senso di smarrimento e fascinazione che permea la vicenda. Il teatro si fa luogo di riflessione e di confronto, uno spazio in cui il pubblico è chiamato a prendere parte attivamente al dibattito morale che il testo solleva e riconoscere le dinamiche di potere e le gerarchie invisibili che regolano la società. Alla fine, ogni scelta del protagonista si riverbera nello spettatore generando un senso di identificazione e, al tempo stesso, di inquietudine per la facilità con cui i valori possono essere sovvertiti in nome dell’affermazione personale. E mentre il sipario cala resta in sala un interrogativo senza risposta: Alfredo ha realmente trovato la sua strada o ha semplicemente ceduto alla logica dominante? “Migliore” non lascia indifferenti e costringe a riflettere sulle dinamiche del potere, della moralità e dell’ambizione. Un monologo che, oltre a narrare una vicenda, si trasforma in un riflesso implacabile della realtà, con tutte le sue contraddizioni.
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