la Storia consente ai pellegrini in cammino una breve sosta, il tempo di una preghiera di una invocazione, di una pausa di riflessione. Così ogni anno ci si ritrova uniti, come in poche altre occasioni, in comunione spirituale, per provare a riflettere insieme sul senso profondo della nostra esistenza, della nostra Storia e del legame forte che questo popolo ha con la Vergine del Carmelo. Alla sua infinita benevolenza di Madre affidiamo le chiavi della nostra città. A lei consegniamo il nostro destino. Ma cosa significa, realmente, affidare la Città alla Madonna? È un il gesto devoto tramandato dalla tradizione o suggerito da una pia congregazione? È un rito scaramantico per scongiurare le avversità del tempo oppure è un atto di fede? Per comprenderne profondamente il senso di questo gesto bisogna tornare a quel lontano 1743 quando il terremoto sconvolse il suolo e la coscienza dei nostri Padri. La terra che manca sotto ai piedi è quanto di più simbolico ci possa essere per raffigurare la condizione di instabilità e di inquietudine dell’animo umano in un momento di crisi. Il terremoto è la più potente e suggestiva immagine della finitezza e del limite umano. In quegli anni lontani la Città guardò in Alto perché non poteva guardarsi intorno: chi poteva fermare quella terra che scuoteva tutto e tutti? Quale ricchezza o potere poteva fermala? Allora «la Città si rivolse a Maria, ed Ella intervenne». Ebbene la forza evocativa della memoria, il perpetrarsi del rito della consegna delle chiavi serve a ribadire ogni anno, ogni giorno, che non tutto il destino dell’uomo è nelle sue mani e che per comprendere a fondo il senso del nostro essere e per superare le avversità del vivere quotidiano, bisogna volgere lo sguardo all’Onnipotente e riporre le proprie mani nelle mani della Vergine Santa. Un atto autentico di fede, dunque, ma anche una necessità inderogabile dello spirito laico di chi vuol cercare la verità; una verità che oggi appare sempre più lontana e confusa nelle cose del mondo. Anche oggi, come allora, siamo sotto un cielo gravido di cattivi presagi. Viviamo in un contesto sociale profondamente disgregato, segnato dall’odio, dalle discriminazioni, dalla xenofobia, dall’individualismo, dallo sfruttamento in un mondo provato da una macroscopica ed insopportabile disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, dei beni di consumo, nello sfruttamento delle materie prime. Un mondo di soprusi e sopraffazioni dove il 5-10% della popolazione possiede il 90% della ricchezza globale. Ora anche in questa nostra cara Patria, che è antica terra di accoglienza e di tolleranza, assistiamo basiti, in un crescendo senza precedenti, ad esplosioni improvvise di barbara e disumana violenza rivolta in special modo contro i più deboli: contro i diseredati, contro le donne, contro i senza tetto e contro gli immigrati. Fatti che sconvolgono la mente umana e lasciano disorientati ed increduli. Ebbene di fronte a questi accadimenti è facile cadere nella tentazione di lasciarsi andare a risposte umorali, dettate dall’impeto e dalla rabbia; è facile di fronte a situazioni complesse che richiederebbero una analisi lucida e attenta che si preferisca la scorciatoia della semplificazione, della banalizzazione, che si agiti lo spettro della paura per arringare un popolo già di per sé in subbuglio. Se a tutto questo diffuso sentimento di odio ed intolleranza si uniscono la crisi economica, la crisi delle istituzioni democratiche, dei partiti politici, dei corpi intermedi dello stato, delle agenzie educative, della scuola, della famiglia allora non ci saranno più anticorpi contro la barbarie e si comporrà la stessa miscela esplosiva che incendiò l’Italia e l’Europa nel Novecento facendola sprofondare nel baratro. Noi dobbiamo sforzarci, ognuno per la propria parte, di tenere lontano dal nostro cuore e dalle mura della nostra città questo vento gelido e questo rinnovato tremore della terra. Dobbiamo stingerci a corte e rinsaldare quel senso di comunità solidale, aperta e accogliente che è nel genoma e nella storia del nostro popolo per rilanciare, a partire da noi, la speranza di un futuro migliore. Per far questo bisogna condividere un sistema valoriale essenziale a cui dovremmo tutti connetterci: un sistema che è scritto nei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro […]. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo […]. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali […]. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Parole chiare, forti e bellissime che dovremmo rileggere ogni giorno e diffondere fra nostri ragazzi, fra i nostri giovani che ormai non hanno più punti di riferimento e spesso sono lasciati soli a navigare in un mondo virtuale pieno di insidie. Allo stesso modo bisognerebbe diffondere e affermare il valore dello studio e della conoscenza come strumento di emancipazione dell’uomo ed il valore della pace e della non violenza come bene supremo a cui in ogni modo bisogna riferirsi nella risoluzione delle controversie. A questi semplici principi ispiratori cerco di orientare il mio mandato non senza fatica ed incertezze ma con la consapevolezza di voler traguardare solo ed esclusivamente il bene comune, il bene della mia amata città. Per quell’anelito, invece, che va oltre l’umana capacità di comprendere, per cercare risposte a quelle domande che trascendono il nostro orizzonte terreno bisogna tornare insieme ad affidarsi alla Madonna del Carmelo. Buona festa a tutti!
Mesagne, 10 febbraio 2018
Pompeo Molfetta Sindaco di Mesagne