Liste di attesa in epoca COVID-19 ma non solo; si possono governare?
Le recenti esternazioni del Responsabile del Dipartimento Salute della Regione Puglia, che promette un piano di recupero delle decine di migliaia di prestazioni sanitarie dimenticate in questi mesi a causa del COVID, da attuare con prestazioni aggiuntive e in straordinario, tenendo reparti aperti e macchinari accesi dalle 8 alle 20, facendo ricorso a finanziamenti governativi (fino a 35 milioni di euro, vedi Repubblica del 23 maggio u.s.), ci spingono a tornare sul tema su cui più volte siamo intervenuti.
In realtà le problematiche sono più vecchie e sistemiche e le liste d’attesa lunghe sono evidenza di epoche antecedenti alla pandemia COVID19, che ha stressato le disfunzioni organizzative.
E’ di tutta evidenza che nei nostri territori il tempo di accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche supera ormai sempre più spesso i tempi massimi di attesa, che per le prestazioni differibili devono essere 30 giorni per le visite e 60 giorni per gli accertamenti diagnostici, con grave disagio dei nostri concittadini che vedono a rischio la propria salute e che si vedono costretti quando si può economicamente a rivolgersi al privato o altrimenti sempre più spesso a rinunciare alle cure.
Il governo delle liste di attesa deve fare i conti, nella nostra Regione, con molteplici disfunzioni organizzative e strutturali:
la difficoltà a rispettare leggi e norme, come il Piano Nazionale Gestione delle Liste di Attesa sia quello dell’ottobre 2010, che il recente PNGLA del febbraio 2019, nei quali era chiaramente previsto il ricorso a prestazioni aggiuntive o il ricorso ad attività intramoenia a favore delle ASL, spettando al cittadino il pagamento del ticket se dovuto, per abbattere i tempi delle prenotazioni;
le ripercussioni del Piano di Riordino Ospedaliero fortemente voluto da Presidente Emiliano sul sistema sanitario e sui cittadini;
l’assenza di riscontri sui tempi e sullo stato della riconversione delle strutture chiuse, la realizzazione di quanto previsto, oltre che una riqualificazione delle strutture rimaste;
la mancata attenzione al fabbisogno di posti letto per acuti, attraverso ragionamenti epidemiologici e non ragionieristici, in particolare nella nostra ASL BR, il più basso della Puglia, accettato senza alcuna critica dal Direttore Generale della nostra ASL ( 2,37 per acuti, standard che scende ancora di più nella realtà tenendo conto dei posti letto realmente attivati, senza sottacere la carenza di posti letto per il post acuzie) che non possono garantire la corretta gestione della domanda di salute della popolazione;
il mancato potenziamento del territorio per garantire iter diagnostici e terapeutici rapidi , efficaci ed efficienti;
la mancata presa in carico territoriale delle cronicità, le dimissioni protette e le cure domiciliari integrate;
la mobilità passiva che incide sui costi della sanità pugliese, oltre al costo sociale per i cittadini;
la mancata attenzione alle fasce deboli della popolazione, i portatori di disabilità, gli anziani, la salute mentale e le dipendenze, aree su cui dovrebbero vigilare anche i Sindaci dei Comuni della nostra Provincia, nell'esercizio delle prerogative di Autorità Sanitaria Locale (vedi art. 32 della legge 833/78, art. 117 del D.L. 112/1998 e anche il DL 24 dell'8 marzo 2017 sulla "Sicurezza delle cure").
Insomma, anziché proclami proponiamo di entrare nel merito delle questioni, riconoscendo che la pandemia COVID 19 ha stressato i nodi critici della sanità pugliese e brindisina; chiediamo di discutere delle politiche sanitarie che si stanno attuando e si intendono adottare nei prossimi anni con il Presidente Emiliano e con l’Assessore alla sanità Lopalco, cui chiediamo un incontro, per trovare soluzioni valide a difendere il “bene comune salute” e il diritto costituzionale (art. 32) dei cittadini alle cure migliori possibili.
Fulvio Picoco
Resp. Sanità PRC Brindisi
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