Circolavano, eccome, i modelli pittorici napoletani in Terra d'Otranto. Tra i tanti esempi, la tela dell'Immacolata Concezione del XVIII secolo, conservata nella Chiesa Matrice di San Donaci.
Il dipinto vede posizionata al centro la Vergine Immacolata. Essa è raffigurata in piedi, al di sopra di una mezzaluna rovesciata, sovrapposta ad una nube. Ha il capo chino perché dimostra di accettare la volontà divina – Fiat voluntas tua!, dicono i testi sacri - e con il piede destro calpesta il serpente simbolo del maligno.
Il movimento della figura della donna è evidenziato dal manto che svolazza alle sue spalle ed anche dalla posa leggermente arcuata verso sinistra. Quest’ultimo particolare ricorda il modello dell’Immacolata Giordanesca, conservata a Latiano nella Chiesa dell’Immacolata, già analizzata in un precedente saggio ed attribuibile ad un pittore che sulle opere di Luca Giordano ha formato i suoi canoni di azione.
La Vergine è attorniata da alcuni angeli: quello in alto a sinistra tiene in mano la rosa bianca, un rimando alle Litanie lauretane, nelle quali si invoca la Madonna anche con il titolo di: “Rosa mystica”. L’angelo in basso a destra regge il giglio, simbolo di purezza, assieme allo specchio, anche quest’ultimo simbolo mariano presente nelle sopra citate Litanie: “Virgo fidelis, Speculum iustitiae ”.
In alto, secondo piano a destra, un altro angelo regge il manto. Delle teste angeliche, raffigurate a coppie di due, sono collocate in alto all’estremità di destra e sinistra.
In secondo piano al centro, conclude lo sfondo dorato, simbolo della dimensione celestiale ultraterrena.
In basso all’estremità di destra, sono presenti due iscrizioni realizzate in epoche differenti. La prima è in latino, mancante di alcuni pezzi, e c’è scritto:
“ALTARE HOC IN HONORE BEATAE MARIAE VIRGINIS SINE LABE CONCEPTAE DICATUM. A RD° ABBATE D. NICOLAO FONTEF […] CANONICO PAENITENTIARIO CATHEDRALIS ECCLESIAE […] NERITONENSI […] ANO REPARATAE SALUTIS 17[…]” (Altare dedicato alla Beata Vergine concepita senza peccato. Reverendo Abbate Don Nicolao Fontef […] canonico penitenziere della cattedrale neretina […] anno di redenzione 17 […]). Il frammento dell’anno, da quel poco che si riesce a leggere, potrebbe essere il 1775, anno in cui fu celebrato il Giubileo della Chiesa Cattolica.
L’altra invece risalente al 1882 riporta: “PIO DE SANTIS / Restaurò in Agosto 1882 / SOTTO IL SINDACO SIG. / FERDINANDO MARASCO BENEMERITI / CONSIG = Sig. VINCENZO VALLETTA E POMPILIO RIZZO”.
Nella prima iscrizione è menzionato il committente, vale a dire il canonico penitenziere della Cattedrale di Nardò, don Nicolao Fonte. Nella stessa viene riportato anche l’altare su cui era posta la tela, ovvero quello dedicato all’Immacolata Concezione.
Riguardo al committente potrebbe trattarsi di don Nicola Fonte, rettore abate della Chiesa di San Pietro Malearti di Nardò e quindi a sua volta possessore del beneficio posto sull’altare su cui era collocata l’opera.
Nella seconda iscrizione invece si parla del primo restauro, avvenuto ad opera di Pio De Santis nel 1882, per il volere del sindaco Ferdinando Marasco e dei consiglieri Vincenzo Valletta e Pompilio Rizzo. Per confezionare l’opera conservata a San Donaci, l’autore ha osservato l’Immacolata Concezione di Leonardo Antonio Olivieri, realizzata nel 1725 circa, conservata nella Cattedrale di Nardò. La tela dell’Olivieri ha tuttavia un’impostazione differente: è maggiormente curata dal punto di vista scenografico, difatti nell’insieme appare più complessa.
Nell’opera non è solo raffigurata la Vergine Immacolata, ma anche i santi, che sono collocati a semicerchio in basso da sinistra a destra. In più, in secondo piano a destra è visibile una colonna posta al di sopra di un alto basamento. Nella tela si riscontra maggiore lucentezza dal punto di vista cromatico e il vibrante gioco di luci ed ombre è più marcato e sicuro. Particolare che sottolinea la diretta formazione solimenesca dell’autore.
La tela di San Donaci invece manca del particolare architettonico posto in secondo piano, è più opaca nelle tinte e non raggiunge l’elevata lucentezza presente nell’opera dell’Olivieri. Inoltre, le ombreggiature definiscono i particolari del viso e degli indumenti, mettendo in rilievo la sensazione di spigolosità presente nella figura. Altre similitudini fra le due Vergini sono la robustezza della donna, la posa, il movimento del corpo, il gesto di ricongiungimento delle mani, il manto che svolazza in diagonale a destra alle spalle della Vergine, l’attorcigliato del serpente e l’angelo con lo specchio.
L’interesse dell’opera non è racchiuso solo nell’essere una copia dell’Olivieri, ma anche nella ulteriore conferma dell’importanza di un fenomeno molto diffuso nelle province dell’allora Regno di Napoli e cioè quello della circolazione dei modelli dei grandi pittori napoletani. L’autore dunque potrebbe essere un pittore locale, aggiornato sulle novità del suo tempo, attivo nella seconda metà del Settecento in area salentina.