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Premessa
Negli ultimi anni, il nostro gruppo di ricerca, formato da ricercatrici e ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di Università ed Istituzioni sanitarie, ha contribuito con studi pubblicati su riviste scientifiche italiane e straniere alla conoscenza di fenomeni sanitari ed ambientali dell’area salentina. Scopo di questa relazione è illustrarne i contenuti principali; approfondire alcuni aspetti della valutazione di impatto della Centrale Enel di Cerano e rappresentare il contesto della ricerca e delle conoscenze internazionali nel quale questi lavori si inseriscono.
Malformazioni congenite ed esposizione in gravidanza ad inquinanti atmosferici
Per il 60% dei casi le anomalie congenite hanno una eziologia non ancora nota. Vi è, tuttavia, un’evidenza crescente circa il ruolo dell’ambiente inteso, in una accezione ampia, come malattie o infezioni della madre, per esempio il diabete o la varicella; alimenti, come l’assenza di acido folico; consumo di alcol, tabagismo o farmaci assunti in gravidanza, per esempio il talidomide e l’esposizione materna a inquinanti e agenti chimici (Dolk 2004).
Sono stati, inoltre, identificati numerosi meccanismi biologici attraverso i quali gli inquinanti presenti in atmosfera potrebbero agire sulla placenta ed il feto (Kannan et al. 2006). Studi come quello di Kannan e colleghi forniscono il razionale biologico per la stima dell’influenza dell’inquinamento atmosferico sullo sviluppo del feto (Ritz 2010). Nel 2002, Ritz e colleghi pubblicano il primo studio su anomalie congenite e inquinamento atmosferico nella California del Sud (Ritz et al. 2002). Ad esso sono seguiti altri studi condotti prevalentemente negli Stati Uniti, in Europa e in Australia. Nel 2011, questi studi sono stati compresi in una revisione sistematica della letteratura ed i risultati sintetizzati in una meta-analisi[1] (Vrijheid et al. 2011). Dalla meta-analisi si rileva un incremento di rischio di malformazione per esposizione materna durante la gravidanza ad alcuni inquinanti, fra questi l’SO2[2], l’NO2 e il PM10. Il rischio riguarda in particolare la coartazione dell’aorta, la tetralogia di Fallot e i difetti del setto atriale (Vrijheid et al. 2011).
È nel contesto di studi internazionali sopra descritto che si collocano le ricerche sulle malformazioni congenite a Brindisi (Bruni et al. 2013; Gianicolo et al. 2012; Gianicolo et al. 2014). Nel primo studio (Gianicolo et al. 2012), per il decennio dal 2001 al 2010, in assenza di una registrazione continua e sistematica delle malformazioni congenite nella regione Puglia, abbiamo estratto dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) i soggetti nati da madri residenti a Brindisi; confrontato le informazioni contenute nelle SDO con l’archivio disponibile presso il reparto di terapia intensiva neonatale dell’Ospedale “A. Perrino” di Brindisi; studiato l’accuratezza dei codici di diagnosi riportate sulle SDO; e, infine, fornito una misura della prevalenza del fenomeno. Per la classificazione dei casi abbiamo seguito il protocollo dei registri europei di malformazione congenita (EUROCAT) (Greenlees et al. 2011); escluso le anomalie minori e i casi di dotto arterioso pervio tra i nati entro la 37° settimana di gestazione (EUROCAT 2005). Con un neonatologo esperto in cardiologia pediatrica abbiamo analizzato tutte le cartelle cliniche. Queste attività ci hanno consentito di identificare 194 casi di neonati da madre residente a Brindisi e dimessi entro il 28esimo giorno di vita – da qualsiasi ospedale italiano – con una diagnosi di anomalia congenita. Il dato, comparato con il pool dei registri europei di malformazione congenita, risulta in eccesso del 17% sull’atteso, per il totale delle malformazioni, e del 49% per le anomalie congenite del cuore (Gianicolo et al. 2012). I dati raccolti e validati a Brindisi si presentano in linea con i dati europei per quanto concerne la gravità delle malformazioni. Il 90% dei casi risulta di bassa gravità, ossia presenta, da dati di letteratura, una probabilità contenuta di mortalità perinatale; il 12% dei casi è di media gravità. Le differenze maggiori rispetto al pool dei registri europei riguardano i difetti del setto ventricolare e la stenosi della valvola polmonare.
Nel secondo lavoro (Bruni et al. 2013), abbiamo valutato il ruolo della deprivazione socio economica, valutata al livello di sezione di censimento di residenza della madre durante la gravidanza, come fattore di rischio per le malformazioni congenite. Nel lavoro non si evidenziano differenze tra nati con malformazioni e un gruppo di controllo per quanto concerne il livello socio-economico della zona di residenza della madre. Emerge, invece, come possibile fattore di rischio l’SO2, il cui ruolo viene poi approfondito nello studio successivo (Gianicolo et al. 2014). In questo studio, utilizzando un disegno di tipo caso-controllo, abbiamo abbinato a ciascun neonato con una malformazione un nato senza malformazione estratto dall’anagrafe degli assistiti, sulla base del sesso, stato socio economico della madre ed anno in cui ha inizio la gravidanza. A ciascun caso e a ciascun controllo abbiamo associato una misura di esposizione materna a polveri totali sospese ed SO2 nelle settimane di gravidanza dalla terza all’ottava. I risultati mostrano un’associazione tra esposizione materna ad SO2 e malformazione congenita del neonato, in particolare per le malformazioni cardiache e, tra queste, per i difetti del setto ventricolare (Gianicolo et al. 2014).
Lo studio degli effetti a breve termine dell’inquinamento sulla salute
Un altro filone delle nostre indagini epidemiologiche riguarda gli effetti a breve termine dell’inquinamento sulla salute. Si tratta di quegli effetti sulla salute umana che si possono osservare ad una distanza di tempo molto breve da picchi di inquinamento.
In un lavoro pubblicato nel 2010 (Serinelli et al. 2010) abbiamo osservato, coerentemente con la letteratura internazionale sull’argomento, che ad incrementi della concentrazione di PM10 in atmosfera si associano incrementi del rischio di mortalità per cause naturale ed in particolare cardiovascolari. Per i ricoveri abbiamo osservato effetti statisticamente significativi tra le donne e gli anziani.
Successivamente, abbiamo valutato il contributo alla concentrazione media cittadina di inquinanti atmosferici provenienti dai settori orientali e meridionali, ossia dal porto e dalla zona industriale di Brindisi (Mangia et al. 2011; Mangia et al. 2014). Nel primo dei due studi si evidenzia un incremento nella concentrazione in particolare di SO2 in corrispondenza di venti provenienti dai settori orientali (Mangia et al. 2011). Il secondo studio valuta i contributo delle emissioni della centrale a carbone Brindisi-Nord alla concentrazione cittadina di alcuni inquinanti (Mangia et al. 2014). Qui si notano incrementi significativi di SO2 in corrispondenza dei giorni di funzionamento della centrale o dei giorni in cui si registrano i cosiddetti transitori, ossia gli spegnimenti e i riavvii della centrale.
Alla luce di questi risultati, è emersa una domanda di ricerca legata all’ipotesi che l’effetto sanitario si rafforzi in corrispondenza di giorni con vento proveniente dai settori orientali e meridionali. Nel 2013 abbiamo pubblicato un lavoro (Gianicolo et al. 2013) nel quale si riporta un aumento del rischio di ricovero in corrispondenza di venti provenienti dalla zona industriale e dal porto. Aumento che, sebbene non statisticamente significativo, è tuttavia consistente, lasciando ipotizzare un possibile ruolo del complesso scenario di emissione nell’area indagata come trigger soprattutto di ricoveri per malattie cardiache.
Nel progetto Sorveglianza epidemiologica e inquinamento atmosferico - Epiair2, finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie del Ministero della salute, sono stati condotti studi sugli effetti a breve termine dell’inquinamento sulla salute con riguardo anche alla città di Brindisi (Alessandrini et al. 2013; Baccini et al. 2013; Scarinzi et al. 2013). Uno studio (Alessandrini et al. 2013) riporta, nell’insieme delle città indagate, un “chiaro incremento della mortalità associata agli inquinanti atmosferici”. Un altro studio (Scarinzi et al. 2013) conferma per le 25 città in studio “l’effetto a breve termine dell’inquinamento atmosferico da PM10, PM2,5 e NO2 sulla morbosità”. Un terzo studio riporta “un numero di decessi attribuibili agli effetti a breve termine delle concentrazioni di PM10 superiori a 20 mg/m3” pari allo 0,9% della mortalità per cause naturali. Da questi studi si ricavano anche per Brindisi associazioni positive tra gli esiti sanitari indagati e l’inquinamento dell’aria e si evince, inoltre, come le stime in aree di piccole dimensioni siano caratterizzate da incertezza statistica, rappresentata plasticamente dall’ampiezza degli intervalli di confidenza.
Un lavoro di elevata probanza scientifica per caratteristiche, meta-analisi e revisione sistematica della letteratura, e prestigio, pubblicato sul British Medical Journal, ha selezionato, sulla base di rigorosi criteri di inclusione, una serie di articoli scientifici condotti a livello internazionale, tra questi anche articoli con dati di Brindisi (Alessandrini et al. 2013; Gianicolo et al. 2013; Scarinzi et al. 2013), riportando una “stretta e marcata associazione di inquinanti gassosi e del particolato con ricoveri e mortalità per ictus” (Shah et al. 2015). Gli autori sottolineano, inoltre, come queste associazioni siano più marcate in aree economicamente più arretrate (Shah et al. 2015).
Studi eziologici e valutazioni di impatto sanitario
L’epidemiologo di fama internazionale David Savitz, in un recentissimo editoriale pubblicato sulla rivista Epidemiology (Savitz 2016), ripercorre le tappe di quanto tipicamente accade in comunità esposte a sostanze inquinanti e pericolose per la salute. Queste comunità organizzano giustamente proteste per rivendicare risposte da parte delle autorità e spesso richiedono la conduzione di uno studio epidemiologico.
Secondo lo studioso, tuttavia, raramente lo studio epidemiologico, offre un beneficio immediato e diretto alle popolazioni esposte. Anzi! Lo studio epidemiologico può anche essere di nocumento. Se usato, cinicamente, per procrastinare, o addirittura per eludere interventi che al contrario avrebbero un beneficio immediato. Infine, l’attesa dei risultati di uno studio epidemiologico può potenzialmente distogliere l’attenzione delle comunità da solide informazioni già disponibili, tra queste, per esempio, il numero dei soggetti esposti, la misura dell’esposizione e il suo potenziale effetto sanitario.
La salute pubblica, sempre secondo Savitz, si salvaguarda meglio se si trasmettono ai cittadini informazioni tempestive, se si migliora l’accesso ai servizi sanitari e se i responsabili dei danni ambientali vengono obbligati a rispondere del loro operato.
Infine per Savitz in situazioni in cui l’esposizione può essere stimata con ragionevole accuratezza, la valutazione di impatto sanitario di una esposizione ambientale ha molto verosimilmente un rapporto costi-benefici più favorevole di un nuovo studio epidemiologico che, se si riferisce a piccole aree, ha elevate probabilità di presentare grandi incertezze nelle stime (Savitz 2016). È proprio una valutazione di impatto sanitariofuorviantefuorvian è quanto il nostro gruppo di ricerca ha condotto per la centrale ENEL di Cerano (Mangia et al. 2015).
La valutazione d’impatto sanitario della centrale ENEL di Cerano
Un modello di studio epidemiologico ambientale è del tutto sovrapponibile ad un modello di studio di valutazione di impatto. Infatti, coincidono le attività di definizione del dominio di studio, delle fonti di inquinamento e dei modelli di dispersione degli inquinanti. I due modelli si differenziano nel fatto che, negli studi di coorte residenziale, come quello in corso a Brindisi e per il quale sono disponibili i primi risultati (Bauleo et al. 2016), si recluta una coorte di popolazione residente nell’area d’indagine e si fa una valutazione epidemiologica da cui si estraggono le relazioni concentrazione-risposta, ossia funzioni matematiche che legano l’esposizione a specifici inquinanti con gli esiti sanitari indagati. Negli studi d’impatto, invece, si assumono come funzioni di rischio, quelle pubblicate in letteratura, tipicamente in meta-analisi.
Il nostro lavoro (Mangia et al. 2015) ha come obiettivo quello di valutare l’impatto del PM2.5 primario e secondario originato dalla centrale Enel di Cerano sulla mortalità dei residenti nelle province di Brindisi Lecce e Taranto. Il modello di esposizione utilizzato è già stato utilizzato in letteratura per valutazioni simili (Lopez et al. 2005; US EPA Environment Protection Agency 2012) ed implementato dal nostro gruppo di lavoro (Mangia et al. 2014). Anche il modello di valutazione degli impatti sanitari è consolidato (Künzli et al. 1999).
Per gli approfondimenti del lavoro rinvio alla pubblicazione (Mangia et al. 2015), alla sintesi della stessa in italiano (Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) 2015) ad alle relazioni depositate presso la XII Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica Italiana (Cervino 2015; Gianicolo 2015; Mangia 2015).
Mi soffermo in questa sede su due aspetti attinenti al lavoro sulla Centrale Enel di Cerano:
i) La soglia di accettabilità;
ii) Le indicazioni per la salvaguardia della salute pubblica.
Soglia di accettabilità
Nello studio (Mangia et al. 2015), a differenza di quanto è presente nella relazione di Arpa-Puglia, Ares e ASL di Brindisi (ARPA Puglia et al. 2014) abbiamo considerato l’impatto non solo del particolato primario ma anche di quello secondario ed, inoltre, un’area soggetta alle ricadute che più vasta. Soprattutto, nello studio, non abbiamo assunto a-priori alcuna soglia di accettabilità.
Queste soglie, scelte in lavori di risk assessment sulla base di quanto indicato dalle linee guida dell’Agenzia americana di protezione ambientale (US EPA Environmental Protection Agency 2016) e mutuate da ISPRA (ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale 2015), prevedono interventi discrezionali per valori di rischio nell’intervallo 10‐4-10‐6 e un intervento pianificato in caso di rischio superiore a 10‐4.
Nella scelta del nostro approccio, abbiamo ritenuto di non poter e di non dover assumere a-priori alcuna soglia di accettabilità.
Ciò per due motivi tra loro interconnessi:
L’individuazione di una tale soglia non può essere delegata a tecnici, a cui riconoscendo uno statuto morale superiore, si concede il privilegio di discernere, per una data comunità esposta, tra un rischio accettabile ed uno inaccettabile. Noi abbiamo ritenuto
i) che questa soglia debba essere il frutto di un percorso consapevole della comunità medesima.
ii) Alla base di un percorso consapevole vi è la necessità che la popolazione in studio comprenda il livello di rischio. La comunicazione, intesa come garanzia di canali di partecipazione (Engage2020 Consortium 2013), è, nel percorso di consapevolezza, un elemento imprescindibile. È di tutta evidenza che il comunicare una misura assoluta di rischio, come lo è il numero dei decessi attribuibili ad una fonte di inquinamento, renda la comunicazione scientifica più facilmente fruibile della comunicazione di una potenza 10-x.
Indicazioni per la salvaguardia della salute pubblica
Nelle precedenti sedute di questa Commissione è emersa, da parte delle Senatrici e dei Senatori, l’esigenza che i tecnici forniscano indicazioni operative.
La prima indicazione attiene ai limiti di legge attualmente in vigore. Questi, come indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO World Health Organizzation 2013) e come emerge in importanti studi condotti al livello europeo (Beelen et al. 2014), non sono in grado di salvaguardare adeguatamente la salute pubblica. Detti limiti sono, infatti, il frutto di compromessi tra esigenze di salute ed esigenze economiche, politiche e tecnologiche (WHO World Health Organizzation 2013).
La seconda indicazione deriva dal complesso degli studi condotti nell’area in questione, studi che solo in parte sono stati passati in rassegna in questa relazione e che includono sia valutazioni epidemiologiche basate su studi di coorte residenziale come quello in corso sia valutazioni integrate di impatto ambientale e sanitario. Tale indicazione riguarda l’attuazione del principio di precauzione, per il quale, come sancito dal Testo unico ambientale “in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di prevenzione” (Cervino et al. 2015; Governo della Repubblica Italiana 2006).
Infine, per quanto concerne la prevenzione e, dunque, la salvaguardia della salute pubblica, un’indicazione operativa deve presupporre come ipotesi di partenza che nessun decesso, attribuibile alle emissioni di una centrale a carbone, possa essere accettabile. Da qui si devono derivare i necessari interventi da compiere sugli impianti, poiché solo interventi efficaci e mirati sull’impiantistica e sulla bonifica ambientale possono eliminare ogni nocività e rischio per le persone.