il grido di allarme che nasce dalla parte ancora sana della società contro i giochi digitali e contro le slot machines, responsabili di impoverire culturalmente ed economicamente i giovani e non solo loro. È pur vero che il gioco è figlio del tempo e si adatta al contesto sociale in cui si svolge, ma questi giochi moderni non stimolano la fantasia, la curiosità, la manualità, l’ingegno. Se è vero, ed è vero, che il gioco serve al bambino per avvicinarsi alla società degli adulti, a scoprire le sue origini, a sentirsi parte di una storia sociale millenaria, allora, questi giochi prodotti dalle industrie e veicolati da computer e smartphone e, peggio ancora, da slot machines, hanno ucciso la creatività dei ragazzi, hanno fatto scomparire i segni educativi del gioco stesso, quali la comunicazione, la fantasia, la manualità, l’avventura, con grave danno per la stessa socializzazione dei ragazzi. “Sarà stato il benessere, sarà stato il traffico, ma i nostri ragazzi, complici gli adulti distratti e affaccendati, non giocano più, non riescono a sconfiggere la noia e non sono più capaci di co-struirsi i loro giochi affidandosi alla loro fantasia che, con pochi poveri materiali, tirava fuori strumenti e momenti capaci di tenere testa a mille avventure”, ha esordito il professor Marcello Ignone, storico ed esperto di antichi giochi. Il gioco, infatti, è sempre stato un aspetto fondamentale della crescita dell’individuo. “Il gioco fa crescere, forma, educa, matura, incuriosisce, stimola, rinforza la mente ed il fisico, porta a socializzare, abitua alla competizione, alla riflessione, al rispetto delle regole”, ha precisato l’esperto convinto che “il gioco avvicina il bambino al mondo degli adulti e, spesso, gli adulti ai bambini. Il gioco è, per dirlo con una sola parola, cultura. I nostri ragazzi, la “generazione digitale”, sanno poco o nulla dei giochi di una volta, non hanno, e non per colpa loro, la cultura del gioco”. Secondo il professor Ignone occorre, quindi, recuperare, in famiglia, nella scuola primaria e nell’intera società, la cultura del gioco. “È necessario farlo - ha precisato - per la semplice ragione che un collettivo sociale, ad esempio la nostra comunità mesagnese, non esiste senza memoria, senza storia e senza tradizioni. L’isolamento a cui va incontro un ragazzo che gioca oggi al pc o al cellulare è davanti agli occhi di tutti, anche dei genitori; il danno sociale e culturale di un simile isolamento lo sta già pagando l’intera comunità. Occorre correre ai ripari”. La città di Mesagne un tempo offriva spazi per giocare: strade, piazzette, cortili, periferie immense, oggi il traffico ha reso impossibile l’utilizzo di tali spazi; anche il verde pubblico, se esistente, non è a misura dei giochi di un tempo, al massimo è a misura di tavolino, di colazione ed happy hour. “La nostra moderna società urbanizzata – ha proseguito il prof - ha deprivato i nostri ragazzi dei tempi e dei luoghi congeniali, al punto che il gioco, e non solo quello, è stato addirittura confinato negli ipermercati”. Il patrimonio ludico tradizionale mesagnese è notevole. “Certamente, giochi all’aperto, primaverili ed estivi, e al chiuso, d’inverno o durante le giornate di pioggia; giochi individuali, si pensi ai passatempi ed alle burle, e di gruppo o collettivi, a squadre; inoltre, e cosa di non poco conto, i ragazzi assorbivano direttamente dall’ambiente, dalla Mesagne di quel contesto, la cultura del paese; era un fatto naturale, connaturato all’età adolescenziale”, ha concluso il professor Ignone.
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