A proposito della Terapia Esistenziale
Non c’è in questi ultimi anni un settore del pensiero che, nel mettere al centro dell’attenzione quel ‘garbuglio’ o ‘dilemma’ che è l’uomo nel tentativo di sbrogliarlo a dirla con Blaise Pascal e Robert Musil, non si interroghi criticamente su se stesso, sulle metodologie adoperate grazie alla presa di coscienza della complessità del proprio oggetto di indagine; e questo si spiega per il fatto che molti dei risultati ottenuti trovano poi applicazione in vari campi come in psichiatria e nelle psicoterapie dove sono presenti diversi orientamenti bisognosi di continui chiarimenti concettuali.
E non è un caso se ultimamente si sta assistendo a livello mondiale ad un interesse crescente per la psichiatria e la Terapia Esistenziale, e, infatti, si terrà a Roma tra il 21 ed il 23 maggio un convegno internazionale con un Wisdom in Practice from Existential Training to Therapeutic; a tale importante evento parteciperanno, provenienti da tutto il mondo, i maggiori esperti dell’approccio fenomenologico-esistenziale insieme a filosofi, psichiatri e psicoterapeuti per fare il punto in tale ambito e creare le basi di un linguaggio comune. E tutto questo sarà possibile grazie agli sforzi del Dott. Gianfranco Buffardi, direttore della Scuola di Psicoterapia Neoesistenziale ad Aversa e fondatore con altri dell’ISUE (Istituto di Scienze Umane ed Esistenziali), da tempo impegnato come psichiatra e psicoterapeuta e autore di alcuni lavori come Bioetica quotidiana in psichiatria (2010), Il divano è meglio di Freud (2016) e di altri in collaborazione con diversi appartenenti a tale filone di indagine.
Tale approccio può essere meglio compreso col tenere presente gli strumenti epistemologici forniti dal filosofo della scienza francese Gaston Bachelard (1884-1962) che, dopo aver prodotto una serie di lavori sul pensiero fisico-matematico del primo Novecento, ampliò i propri orizzonti ad altri campi come l’universo poetico prima e poi con la scoperta anche nel 1947 della Daseinsanalyse di Ludwig Binswanger e di Roland Kuhn; e tutto questo perché ligio ad uno dei principi-base del suo percorso teso a chiarire i contorni dell’umano nelle sue diverse espressioni che lo ha portato a dire che “spesso nel mezzo dei libri frutto del nostro lavoro solitario, abbiamo invidiato gli psichiatri ai quali la vita offre ogni giorno dei ‘casi’ nuovi”.
Non a caso, questa frase è stata presa come punto di riferimento, ma arricchita dall’analisi dello scambio epistolare tra Bachelard e Kuhn, anche nel fascicolo monografico della storica rivista francese Revue de synthèse dal titolo Philosophie de la psychiatrie, curato da Elisabetta Basso e Mireille Delbraccio (tomo 137, n. 1-2 2016); tale lavoro viene a situarsi in maniera autonoma in tale ambito alla luce di studi condotti sul movimento fenomenologico in psichiatria e sul ruolo di Michel Foucault e dello stesso Binswanger con l’offrire un quadro critico della cosiddetta ‘nuova filosofia della psichiatria’ o ‘seconda fase filosofica della psichiatria’, sviluppatasi in maniera particolare nei paesi anglosassoni in questi ultimi decenni, dopo la riscoperta della fondamentale opera di Karl Jaspers Psicopatologia generale. L’obiettivo tipico e primario di un impegno del genere è quello di chiarirne lo statuto, le nosologie, i modi di classificare il disagio mentale, le modalità della non facile diagnosi insieme a quello della cura; e nello stesso tempo è ritenuto necessario gettare le basi di una nuova relazione tra filosofia e psichiatria come hanno sottolineato nel 2006 gli autori dell’Oxford Textbook of Philosophy and Psychiatry, dove si evidenzia il fatto che una sana riflessione di tipo filosofico “provoca del cambiamento” nella stessa pratica psichiatrica e psicoterapeutica, fatto sottolineato con forza per diversi settori già negli anni ‘80 da Donald A. Schön in Il professionista riflessivo. Ma come sottolinea Elisabetta Basso, studiosa di Binswanger e dell’interesse di Michel Foucault per la Daseinanalyse, anche alla luce degli insegnamenti di Gaston Bachelard, è proprio attraverso la presa in carico di tali cambiamenti che si arriva a costruire una filosofia non dall’esterno della psichiatria, ma interna ai suoi specifici problemi, o meglio “un pensiero della psichiatria in atto” che si interroga criticamente e con “umiltà epistemologica su se stessa, sulle poste in gioco, le mancanze e i limiti ancora presenti oggi”; in tal modo, come insegna la psichiatria fenomenologico-esistenziale, si prende atto del fatto fondamentale che in tale ambito si ha a che fare con dei ‘casi’ unici e a volte irripetibili che sfuggono ad interpretazioni di tipo naturalistico e riduzionistico, sempre in agguato.
Per evitare simili approdi, è necessario, pertanto, una forte riflessione epistemologica come sottolineano in un lavoro scritto a quattro mani Ernesto Spinelli e Gianfranco Buffardi, Del significato e dell’esistenza. Dialogo sulla ricerca di senso in terapia esistenziale (Napoli, Ed. Melagrana, 2021, introduzione e postfazione di Paola Pomponi), entrambi protagonisti a livello internazionale del movimento neoesistenziale nel dare dei contributi, insieme ad altri, tesi ad elaborare una comune definizione di ET nel World Committee of Existential Terapy, cosa non di poco conto per la costituzione di una comunità epistemica che si riconosce in base a determinati criteri.
Il libro in forma dialogica, oltre ad essere arricchito da continui riferimenti a scrittori e filosofi da Yeats e Baudelaire a Canetti e Ortega Gasset, da Nietzsche a Husserl e Heidegger soprattutto da parte di Buffardi, infatti, è pieno di aspetti filosofici originali come lo ha considerato Eugenio Borgna, recentemente scomparso, che ha denunciato il fatto che nella disciplina psichiatrica ancora rari sono tentativi del genere rivolti a chiarirne i fondamenti teorici; pur non facendo nessun tipo di riferimento alla frase bachelardiana, i due autori danno vita ad un serrato dialogo tale da far ‘invidiare’ chi filosofo o meno, pur attento ed interessato a capire le complesse dinamiche della psiche umana, non può in prima persona fare esperienza dei numerosi ‘casi’ in cui emerge tale forte bisogno di senso, bisogno che a volte se non ben indirizzato può tramutarsi in disagio mentale.
Sia negli interventi di Ernesto Spinelli, il cui libro del 2015 Practicing Existential Therapy: The Relational World è stato in un sondaggio su mille professionisti del settore riconosciuto come il testo odierno più influente nella pratica psicoterapica esistenziale, e sia in quelli di Gianfranco Buffardi emerge la necessità di chiarire i principi di base che rendono la Terapia esistenziale diversa da altre forme di terapia ma sempre col tenere presente le modalità con le quali tali principi concettuali “vengono messi in pratica nella stanza della terapia”; in tale stanza viene a svelarsi attraverso varie strade il bisogno della “ricerca di significato” in continua evoluzione, sempre frutto del Dasein e del modo di rapportarsi con gli altri, come afferma nell’introduzione la psicoterapeuta Paola Pomponi. Per questo, quasi in stile bachelardiano, emerge un pensiero implicito nella psichiatria e nella prassi psicoterapeutica, un vero e proprio ‘pensiero in atto’, dove vengono fuori e si approfondiscono da parte soprattutto di Buffardi i contenuti e i principi specifici con cui si rende ‘operativa’ la terapia esistenziale che si basa in maniera strutturale sul “concetto di senso e la sua costante ricerca da parte del singolo” sulla scia di Viktor Frankl che vedeva nella perdita di esso una delle cause di possibili malattie di tipo psichico.
Entrambi i dialoganti, al di là di qualche divergenza, arrivano “al nocciolo del problema epistemologico della terapia esistenziale”, ma in genere di tutte le psicoterapie, e cioè la loro validità in base a determinati modelli costruiti su “verifiche basate su ‘credenze a priori’ e per questo autoreferenziali”, come sottolinea con non comune sensibilità epistemica Buffardi; e questo è stato possibile grazie alla piena metabolizzazione di uno dei cardini di molto dibattito contemporaneo sulla ‘caducità’ dei criteri di scientificità e contro chi cerca un modello della mente che abbia delle “‘certezze’ assiomatiche assunte in origine, desunte dagli scritti o dal pensiero del fondatore di una teoria”. In tal modo non è dunque un caso che si denuncia il fatto che molti psicoterapeuti arrivano a “trasformare le loro scuole in sette dogmatiche” se non proprio “ideologie”, ad “abbracciare soluzioni causalistiche pur partendo da aspetti fenomenologici” e da singoli ‘casi’ con la conseguenza di screditare la psicoterapia esistenziale considerata una “filosofia più che una terapia” quando invece “qualsiasi forma di psicoterapia è, in realtà, una filosofia, propria a causa della fragilità dei presupposti ‘scientifici’ autoreferenziali”.
Per non scivolare nella Scilla del dogmatismo causalistico e nella Cariddi dello scetticismo, Buffardi è dell’avviso che il modello neoesistenziale, come avviene ormai nel pensiero scientifico più avanzato, si deve basare sull”’integrazione dei saperi e delle metodologie”; lo psicoterapeuta può lavorare “tranquillamente con un modello deterministico come quello biologico” senza necessariamente andare alla “ricerca di una causa” ed in tal modo arriva a “comprendere l’altro senza giudicarlo, o meglio giudicandolo ma non invadendolo, grazie al lavoro di epochè” . Come sottolinea Spinelli, il rapporto terapeutico è così un “respirare insieme” sulla scia di Jaspers che insisteva sul fatto che “il medico non è un tecnico, né un salvatore, ma solo un’esistenza per un’altra esistenza… che si realizza con l’altro, nell’altro” in Il medico nell’età della tecnica, opera che dovrebbe far parte oggi più che mai del bagaglio di fondo di ogni operatore sanitario dato il necessario e crescente supporto tecnologico a disposizione.
Per questo Buffardi, sulla scia di importanti idee espresse già negli anni ‘70 da Bruno Callieri sul ruolo delle distorsioni spaziali nelle varie forme di patologia, insiste a più riprese sullo “spazio terapeutico” che deve partire dallo spazio vissuto mutevole di ogni singolo individuo col dare adeguata considerazione, ad esempio, all’esperienza del lutto; il vivere da parte dello psicoterapeuta le modalità uniche e nello stesso tempo sempre diverse di ‘elaborazione’ del lutto con le “strategie di superamento di perdite significative” messe in atto è un processo dove per Spinelli “l’essere vivente tenta di creare una nuova versione di sé”, processo che nello spazio terapeutico per Buffardi “necessita di ‘capabilities’” e deve trovare uno sbocco “armonico, anche se doloroso”. In tal modo, pertanto, si arriva a potenziare tali capacità di superamento di una situazione deficitaria che è il “focus di un lavoro in Psicoterapia Esistenziale” dove si prende in considerazione anche l’idea di essere d’aiuto ad una persona che non abbia una vera e propria patologia.
Acquista così un suo specifico senso l’affermazione di Gaston Bachelard relativa alla sua ‘invidia’ nei confronti degli psichiatri di impostazione esistenziale-fenomenologica che hanno a che fare con reali e singolari ‘casi’ di vite con tutto il ricco portato di vissuto non facilmente inquadrabile in schemi, modelli costruiti au dehors e che rendono ‘caduchi’ i criteri che si adottano per interpretarli; se Gianfranco Buffardi sulla scia di Husserl parla della necessità di effettuare una epochè nella prassi terapeutica, per parafrasare Bachelard, si può dire che occorre essere nei confronti dei fatti umani ‘anabattisti’, cioè partire ogni volta da zero nei loro confronti, mettere da parte le nostre presunte conoscenze sino ad abiurarle per cercarne di coglierne il reale significato e l’esprit unico che li caratterizza. Ed il convegno sulla Terapia Esistenziale che si terrà tra qualche mese può essere una occasione per arricchire il nostro bagaglio di ulteriori risorse cognitive ed operative tese a tale scopo.
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