La politica, purtroppo, non parla più di evoluzione, ma solo di rivoluzione. Conseguentemente non è un caso, che la politica incida sulle riforme istituzionali ma, cosi poco, su quelle sostanziali, mentre essa si limita con più impegno sui sistemi regolativi e meno su quelle integrative nel territorio. Le cause sono dovute alla crisi, all’euroscetticismo o alla perdita di una coesione sociale che ha portato a una ricaduta concreta della politica.
Chi l’avrebbe detto che agli albori del XXI secolo, avremmo avuto un’Italia con meno partiti e con un governo di fatto, privo di scelte alternative e gestito da movimenti politici presieduti da labili, sfilacciati, rissosi e sleali uomini politici che non hanno dimostrato, in modo evidente, né amore verso la politica né per il partito, tale da creare verso l’elettorato astensionismo, volatilità totale crescente?
Il presidente Matteo Renzi prima e Gentiloni poi, si sono trovati di fronte ad un mutamento improvviso del proprio partito democratico, la cui modificazione ne ha provocato una crisi endemica all’interno del Partito per divenire scontro e divisioni nella sua governance futura, creando in ultimo ripartizioni, accorpamenti e addirittura creazione di nuovi movimenti. La segreteria di Matteo Renzi, per tale causa, occorre dirlo, non ha avuto più né la capacità di mediare tra le forze all’interno del partito né di guidare i processi di mutamento della gestione del paese.
La perdurante crisi dal 2007 in poi che ha attanagliato la società attuale, ha inciso, e non poco, all’ennesimo sintomo di un logoramento delle istituzioni al loro interno, non permettendo al governo di portare avanti la garanzia di una stabilità per la governabilità e per un coerente disegno di riforma. La reggenza del segretario pi diessino Martina nell’ultimo periodo, ha cercato di realizzare, potremmo dire, una “linea del Piave” a difesa di una politica giusta e a scapito di quell’incertezza “exit strategy” che potrebbe essere risolutiva al prossimo Congresso del partito.
L’idea congressuale dovrebbe essere su quella per far dimenticare le antiche peculiarità del vissuto odierno per andare alla ricerca della capacità di pensare realmente alternative familiste e desideri che vadano incontro al nuovo trasformismo, spinto a credere al superamento di una società tornata a essere fragile, con pochi giovani e molti anziani. In questi ultimi anni la politica italiana ha vissuto la scomparsa dei socialisti prima e al susseguirsi poi dei cattolici fino alla fine del monopartitismo e del trasformismo. Il cambiamento ideologico politico è dovuto alla mancanza di profondità, di passioni e di virtù sociali, privi di orizzonti e di progettualità politiche, che ha consentito ad assetti politici e di Governo in linea a valori completamente dissimili da quelli tradizionali.
Nessuno, infatti, poteva prevedere una governance del Paese, sulla base di un contratto e di movimenti, che non hanno la stessa identità politica e che hanno sguarnito e delegittimato i partiti tradizionali e creato la nascita di partiti. Questo è il caso, tra gli altri, della Lega Nord di Umberto Bossi nel 1992, dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro nel 1998 e, oggi del M5S di Beppe Grillo.
Il trasformismo ha caratterizzato l’inizio di una nuova fase politica, che non sarà sicuramente di “addomesticamento”, cioè d’integrarsi nelle coalizioni o di governo, ma di competizione e di certo non più bipolare ma multipolare. La precisazione potrebbe essere nella “ghettizzazione”dei partiti “antisistema” e “neutralizzazione” di quelli “accomodanti o concilianti”, (partiti che pur mantenendo un’opposizione di principio per ragioni tattiche o contingenti, cooperano con le forze politiche tradizionali). Questi si orientano verso la “cartelizzazione” e quindi si coalizzano in forme di larghe intese. La cui dimensione strategica concettuale di partiti tradizionali e di antisistema, non consiste nell’affrontare la sfida del cambiamento, ma nell’ambiguità semantica di essere posta sulla qualità dei rapporti tra partiti, piuttosto che sulla loro lealtà democratica, visibile dai sentimenti di vicinanza/lontananza nella considerazione dell’espressione del voto.
Dopo il 4 marzo 2018, infatti, vi è un governo nel Paese, che si vanta di essere del cambiamento, ma in realtà ancora non ha dimostrato le sue potenzialità di essere “un Governo vero” e di riuscire a indicarne una via d’uscita visibile dal torpore di questa crisi perdurante dalla fine del novecento.
La causa è dovuta forse a una crisi istituzionale e al declino dei partiti nelle democrazie dell’essere espressività e volontà popolare sotto il profilo ideologico e dei loro orientamenti sotto il profilo strategico. Con il nuovo sistema di suffragio l’elettorato ha assistito alla divisione della democrazia Cristiana sia alla frantumazione, alla scomparsa di altre forze di governo (socialisti, liberali, repubblicani e socialdemocratici), e allo “sdoganamento” di partiti storici come il Movimento Sociale Italiano quanto alla fusione dei partiti come quello di Alleanza Nazionale e del Partito di Forza Italia di Berlusconi nel Partito della Libertà e alla nascita dei movimenti della Lega di Umberto Bossi e di 5 Stelle. Con le elezioni del 2013 e del 2018 si sono rilevati i segni di una perdita di consenso e il tracollo di Pd e Pdl da un lato, mentre dall’altro il successo elettorale che ha rimodificato profondamente il sistema partito italiano nel bipolarismo di un patto contrattuale di due movimenti M5S/Lega. Questi due movimenti, di cui uno in una coalizione di centro destra, sono stati più suffragati e formano insieme oggi la maggioranza parlamentare. Essa ha il potere della governance e quindi, il diritto-dovere di gestire gli interessi e di risolvere i grandi problemi del popolo italiano anche se i valori ideologici sono diversi e alternativi l’uno rispetto all’altro non solo all’interno della gestione del governo ma anche della coalizione stessa.
Talché diventa abbastanza penoso assistere spesso per la Lega, ai tentativi della precedente coalizione di destra con Forza Italia, che vuole inserirsi nel coabitare anch’essa al ruolo di governare insieme come punto di forza della politica di centro destra, mentre dall’altra il Pd cerca di spingere in modo meno irruente allo stesso gioco con il M5S nella formazione di una nuova coalizione di area sociale democratica alternativa.
Ciò che contraddistingue, rispetto agli altri paesi, è che due forze anomale hanno formalmente e sostanzialmente costituito un regime politico, che è contraddistinto da una grande stabilità politica, anche se segue nella storia, una grande instabilità dei Governi. È dimostrato, guarda caso, dal fatto che l’Italia ha avuto in 70 anni di elezioni, 18 legislature e 64 governi. Il Paese, secondo queste basi, vive in una sorta d’ingegneria costituzionale molto riduttiva, la quale non avrà mai vero consenso popolare e ideologie di riferimento, per ora sempre diversi, se non si avvieranno riforme istituzionali evolutive in una logica di confronto e di costruire una governance di lunga durata per un consolidamento, formato da partiti, di ideologie unisone.
In effetti, non vi è il cambiamento di un’atmosfera politica se si vogliono scavalcare i poteri del primo ministro Conte e se non si comprendono i poteri dei viceministri Luigi Di Maio e Matteo Salvini come quelli dei ministri Tria e di Savona, mentre a volte ergono alla luce altri ministri come quelli della Lezzi, di Giorgietti e di Toninelli. Tanti nomi legittimi ma incompatibili perché non si rispettano le cariche poiché sembrano tutti primi ministri. A volte non si comprende se il primo ministro è Conte o Di Maio oppure Salvini oppure lo stesso Grillo. Mi chiedo chi è il primo ministro? Il professore Conte? Luigi Di Maio o Matteo Salvini? Questo accade quando si ha la fortuna di vivere sotto una Costituzione democratica libera, anche se imperfetta (com’è sempre imperfetta qualsiasi Costituzione). Direi,però, che le cariche costituzionali vadano onorate anche alla luce dei riferimenti internazionali, cosi come si rispettano tanti slogan che sono utilizzati nelle campagne elettorali, anche se l’orientamento logistico odierno dei politici sarebbe più opportuno concentrarsi sulle necessità immediate per il bene comune e non se i sondaggi della Lega sono superiori a quelli del M5S e viceversa.
Il paese guarda esterrefatto a queste nuove manovre e non comprende giustamente, il linguaggio della politica che dovrebbe essere quello di assicurare il buon governo al paese e costruire le condizioni per una più forte solidarietà politica tra i partiti e movimenti della maggioranza. In esse, si comprende, che è abbastanza evidente l’impegno profuso ma, è evidente purtroppo, che questo non risponderà alle attese dei problemi del paese se il rapporto con il quadro politico non migliorerà anzi, peggiorerà soprattutto a livello europeo. Questa criticità deteriora la maggioranza e riverbera le forti tensioni, le quali esistevano, un tempo, nelle cadute dei governi, non solo all’interno delle coalizioni ma anche all’esterno del Paese.
Si comprende bene che la ricaduta è spesso data alla crisi sostanziale della formula elettorale e non all’incapacità politica che si è arrogato il diritto di definire questa formula, di costruirla con scelte o di presentarla alternativa alle attese. In essa si richiede la necessità di un cambiamento più consono alle nuove forme e scelte politiche. Da qui nasce un Governo 5 Stelle/Lega senza un’area ideologica omogenea sui programmi e su un contratto che lo potesse supportare: ecco quindi un Governo gialloverde, difficilmente gestibile, che presenta crisi di attendibilità e di delegittimazione delle istituzioni nei confronti dell’elettorato e del popolo italiano.
Incidentalmente ho voluto rilevare questo aspetto concettuale perché ritengo giusto, nonostante i travagli in corso, sciogliere alcuni grossi nodi, che interessano l’opinione pubblica sul rispetto dei diritti umani, sul progresso dell’economia, della finanza, del diritto alla Salute, sull’equilibrio dell’Unione Europea e delle Forze internazionali, da cui dipendono la pace e la stessa libertà. Sono vincoli pesanti, ma che chiedono di ricucire il risanamento. È giusto sapere il concetto di controllo per esempio sul Documento Programmatico di Bilancio e come si è veramente curiosi di stabilire il limite oltre il quale bisognerebbe preoccuparsi, visto che il commissario Juncker ha bocciato la Manovra. È onesto capire gli sbalzi dello Spread? È corretto il comportamento dei commissari europei a far riscrivere la finanziaria sul 2,4%? Pensa sul serio il ministro Tria che si possa o si debba dare la fiducia alla sua analisi del Documento Programmatico di Bilancio (DPB), secondo lui come per il governo, attenta in questa analisi: “Ci dispiace costatare questa défaillance tecnica della Commissione, che non influenzerà la continuazione del dialogo costruttivo con la Commissione stessa in cui è impegnato il Governo italiano”.
Non è dello stesso avviso il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia che giudica la Manovra del ministro Tria “troppo ambiziosa”, perché la stima della crescita nel 2019 non sarà, secondo lui, all’1,5% ma più bassa. La stessa criticità è anche per il commissario Junker, perché potrebbe essere pericoloso, intervenire per il risanamento del bilancio economico ricorrendo sul debito?
Ritengo che occorra procedere verso il bene comune come atto dovuto, rispettando il debito all’interno delle regole dell’Unione europea.
La costruzione di un programma è nell’affrontare i nodi reali di una potenza industriale nella quale si costatano numerosi squilibri tra classi sociali. La necessità è nel pensare a lungo termine a che cosa potrebbe accadere al sistema industriale italiano se non dovessimo avere forme nuove e diverse di capitalizzazione delle aziende senza immaginare il rischio di un’impresa industriale che remunerare capitali ovviamente più soddisfacenti di quelli esistenti nel nostro paese, anche se non logico seguire la contestazione solo nella criticità italiana e non in un contesto politico europeo.
È necessario quindi, superare le paure e dare opportunità alle industrie, seguendo i nuovi rendimenti in Cina, in India, in Brasile o in Europa per costruire competitività ma senza trascurare i vecchi mercati. Occorre un’Italia diversa, capace, inclusiva e competitiva. Se l’Italia sarà all’altezza, in termine di efficienza nel rispetto delle regole, ricucirà la dignità competitiva di un tempo nei confronti degli altri paesi dell’Unione europea e rafforzerà la sua forza di essere la seconda potenza manifatturiera internazionale e mondiale.
In questa visione è possibile soddisfare il tema della “pensione dignitosa”, per la salvaguardia del posto di lavoro e dei servizi nel come, senza cadere nella trappola della tempesta perfetta, tipica “venezuelana” come fare i correttivi sui decimali dopo la bocciatura della manovra da parte di Bruxelles e superare i noduli sulla disoccupazione che, secondo i dati Istat, ha raggiunto l’11,3% e sulla pressione fiscale (somma entrate tributarie e previdenziali rapportate al Pil) che del 55,4 per cento. L’Italia chiede di “volare alto” seguendo i processi evolutivi della collettività in sincronia con le esigenze del paese, con i suoi trend di sviluppo e con i suoi bisogni. Parafrasando quindi questa bocciatura: una “deviazione senza precedenti nella storia del Patto di Stabilità”, quale potrebbe essere la manovra correttiva del cambiamento del popolo di Di Maio e di Salvini?
Nel corso della conferenza stampa, il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha riportato ai giornalisti presenti queste parole: “È con molto dispiacere che sono qui oggi, per la prima volta la Commissione è costretta a richiedere ad uno Stato di rivedere il suo Documento programmatico di bilancio. Ma non vediamo alternative”. Continua con la dichiarazione nella voce di Pierre Moscovici, che: “Siamo di fronte a una deviazione chiara, netta e in un certo modo rivendicata. La Commissione Ue non mette in discussione le priorità del Governo come la lotta alla povertà, sono priorità che possono avere senso, ma ci importa l’impatto che queste misure hanno sul popolo, e questo ci porta all’opinione di oggi”, e nella finalità di un “dialogo costruttivo”.
Il commissario agli affari economici aggiunge, inoltre, che “ridurre il debito pubblico italiano è nell’interesse del popolo italiano” anche se la procedura potrebbe durare tra i 5 e i 6 mesi. Questa tempesta potrebbe essere “assurda” e di natura esistenziale, forse più vicina a quella “anima del nulla” che causerebbe il vuoto o un “piovere peggio” nella decrescita della democrazia, se i commissari europei non dovessero essere ascoltati dal ministro Conte.
Sembrerebbe un pessimismo sociopatico strabico, chiuso nel parossismo dell’”Occhio del ciclone” (Montale) e del Cigno Nero (della triade Di Maio, Salvini e Tria) o nel tiro della fune tra condoni al Nord e assistenzialismo al Sud, quando bisognerebbe evitare questo comportamento, fatto dallo spread, dai downgrading del rating (declassamento creditizio), dal deficit che esplode e dal reddito di pauperismo.
Molto spesso si parla di deficit come di disavanzo pubblico, quando si sa che in questa voce s’intendono le imposte, i contributi versati e gli interessi passivi, anche se le principali voci di spesa pubblica in Italia, includono le pensioni e l’assistenza sociale, l’istruzione, la sanità e gli stipendi pagati ai dipendenti pubblici. Si avrà l’avanzo primario o l’avanzo di bilancio solo le entrate sono maggiori delle uscite, il contrario invece fa riferimento al “disavanzo pubblico”.
Nel 2018, la spesa pubblica è di 848,9 miliardi di euro, di cui 62 miliardi di spesa per gli interessi sul debito. Nello stesso periodo, le entrate ammontano a 819 miliardi. Il debito pubblico vale dunque 29,9 miliardi di euro, dato dalla differenza tra le uscite e le entrate complessive, che rapporto al Pil, questo vale l’1,7%. Ciò dimostra che l’Italia è un paese rigoroso e che, escludendo la spesa per interessi, essa si trova in posizione di avanzo primario, meglio di qualsiasi altro paese anche della Germania.
La gravità è sugli interessi sul debito che l’Italia paga a chi detiene i suoi titoli di Stato (BOT, BTP, CCT). Questi causano un deficit pubblico, il quale brucia l’avanzo primario di ogni anno. La risultante registrata è la sommatoria di tutti gli anni precedenti, pari nel rapporto Deficit/Pil e che, relativo nel 2018, s’identifica al 3%. Questa soglia è considerata dall’Unione Europea, un pilastro da superare ed è sancita nei parametri del Trattato di Maastricht.
A marzo del 2018 la cifra record era di 2.302 miliardi di euro (131% del Pil). Di cui, secondo i dati della Banca d’Italia, sono detenuti dai piccoli risparmiatori e dalle imprese italiane (il 5%, 132 miliardi di euro), gli investitori residenti (il 31%, 381 miliardi di euro), gli investitori non residenti (il 35%, 738 miliardi di euro), le banche (il 26%) e infine le istituzioni finanziarie, assicurazioni e fondi (il 18%). La Banca d’Italia detiene il 16%. È interessante notare che, dopo lo scoppio della crisi e attraverso politiche monetarie non convenzionali (Quantitative Easing), la Banca D’Italia a febbraio 2015 (un mese prima dell’inizio del QE) aveva il 5% (106 miliardi), mentre tre anni dopo questa cifra raggiunge il 16% (372 miliardi).
Lo sviluppo chiede una crescita maggiore del 3%, ma se la produttività del paese rimane stagnante, l’unica via è di mantenere un deficit contenuto. Occorre porsi anche le domande: “Quale sarebbe il costo di un “non deficit” senza poter investire nelle opere e nel capitale umano?”; in che modo l’Italia ha superato gli effetti della Grande Depressione degli anni Trenta? Qual è la soluzione se non nell’alternativa d’intraprendere e di programmare un piano pluriennale di misure che riducano il Pil attraverso una strategia adeguata fatta non soltanto d’interventi finanziari, ma anche di misure che incidano nell’economia reale.
Non vorrei che queste comunicazioni fossero solo ciliegie, se il dibattito sulla fiducia della manovra, continua a svolgersi fra una presa di posizione e non, nell’interesse di un bene comune? E che cosa potrebbe succedere dopo la bocciatura se il governo giallo-verde avesse deciso di continuare a non cambiare la sua posizione?
Non è possibile dire che non accadrà nulla, quando da un lato il presidente Juncker prevede anomalie e sfaceli, causati da un Bilancio a debito: “un terrorismo economico e terrorismo finanziario” per l’Italia i Paesi dell’UE, mentre dall’altro non si trova un redde rationem tra le parti M5S di Di Maio e la lega di Matteo Salvini. I problemi non sono elusivi in politica europea ma anche all’interno del governo. Questi s’intravedono nella maggioranza divisa sugli scandali di natura politica come il tesoretto della lega, visita di Orban, salutata come “la montagna che vuole partorire il topolino”, di Putin, di Le Pen, il problema della Diciotti e del Ponte Morandi.
Le criticità si scorgono anche, in particolare, sulle questioni che interessano le grandi opere e l’alta velocità, il reddito di cittadinanza e il condono edilizio, le nomine che vanno dalla Rai all’Agenzia spaziale e nei temi etici sulle coppie gay e l’affido condiviso. Elementi dissonanti, considerati come “frammenti di corpo” (Pasolini) o forme di particelle che scuotono la collettività e che danno all’uomo un carattere antropologico. La linea ondivaga e saltellante, difforme alle promesse elettorali, preoccupa il paese, che chiede “responsabilità” e “governabilità dei processi”, invece dell’offesa alle istituzioni e alla protervia del neo liberismo, elementi scatenanti e propulsivi della dilacerazione, la quale si potrebbe verificare all’interno dell’Unione Europea. A fronte di questo status è giusto chiedersi se nella storia della Repubblica si è mai vista una vicenda istituzionale e politica di questo genere.
Dove sono finiti, mi chiedo i discorsi concreti di scelta? Perché non s’intravedono più nei dibattiti, nelle dissertazioni e nelle aringhe politiche, le prospettive per il bene comune, ma solo “l’ombra del vento” della propaganda e degli slogan da campagna elettorale? Perché non si accetta il dialogo con il sindacato Cgil/Cisl e Uil?
Che cosa può capire l’opinione pubblica da queste non risposte? Qual è la presa di posizione condivisa dai giallo-verdi? È finalizzata a condizionare lo svuotamento dell’Unione Europea, di cui l’Italia dovrebbe essere promotrice dell’“amor di patria”? Il richiamo viene dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che continua ad ammonire i politici e a sollecitarli al senso di responsabilità: “La Logica dell’equilibrio di Bilancio” non è quella di un astratto rigore o di aumentare la pressione fiscale nei confronti di chi ha un reddito fisso e quindi solo dei lavoratori e dei pensionati.
La ferma presa di posizione ha spinto il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker a essere “molto rigido” nei confronti dell’Italia nel momento che ha denunciato su: “Nessuna concessione a chi sfida le regole e l’elementare prudenza”. La posizione è posta sull’affidabilità della “logica contabile” e della confusione: “In Italia c’è confusione, sulla manovra hanno cambiato idea cento volte” fino a far temere “che qualcuno a Roma voglia far saltare il tavolo” europeo. La richiesta è, secondo il commissario Pierre Moscovici, nella riduzione del deficit “strutturale” e quindi in una discesa del rapporto tra debito pubblico e Pil nel 2019.
Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani invita il Governo alla riflessione perché: “Non si risolvono i problemi con le dichiarazioni di guerra a destra e a manca, anche perché l’ultima dichiarazione di guerra dell’Italia non ha portato molta fortuna ai cittadini”.
In quest’auspicio il presidente raccomanda che “Sarebbe più prudente lavorare per ottenere dei buoni risultati” e aggiunge, “Credo sia giusto modificare questa manovra per avere più crescita, meno pressione fiscale, più aiuti alle imprese e più aiuti per realizzare infrastrutture, altrimenti la guerra invece che farla a Bruxelles la si farà ai cittadini italiani”.
La democrazia è nella sua politica di comunione espansiva di sussidiarietà orizzontale e liberale, cioè in una forza positiva che rispetti le diversità, valorizzi la sussidiarietà e si riconosca nel ruolo della collettività orizzontale. Il desiderio è in una politica di “coedocomunità” (coesione educativa della comunità) imperante nell’aspirazione di essere collettività libera che vuole rompere ogni schermo di prossimità contributiva e partecipativa per “essere insieme e insieme con tutti”, a fronte del potere dinamico nichilista, che sconfina in un neo capitalismo asociale. La necessità è nella ricerca della verità che supera l’ego, prigioniero del labirinto delle falsità e del declinare al futuro, per essere speranza di vita dell’”essere prossimità solidale oltre il divenire del mutamento”.
Il clima di crisi, l’austerità, il neoschiavismo e la desertificazione di oggi, provati nei territori, si sono resi “larve sociali”, forme inespressive del corpo, proprio perché svelate, messe a nudo e sature dei desideri di vita poiché, come scriveva Pasolini, presto “nessuno potrà più distinguere un operario da uno studente, un fascista da un antifascista”. La voglia è dare voce “libera” all’espressività dell’uomo come forma di lotta e in antitesi al potere, “oppressione e repressione”, che lascia l’individuo solo in un vuoto assistenziale, volto alla desertificazione dell’assurdo nel proprio io.
Il nuovo potere è nel capitale repressivo, che rende la “vita liquida”, l’”amore liquido”e “la società liquida” (Bauman), e che manipola la finanza e aliena la coscienza sociale, il quale distrugge i valori morali della collettività sociale, ma questo cadrà se si darà forza alla ragione esistenziale che è nelle culture trasmissibili, nella ricchezza dei valori e nell’etica del divenire di un universo lungimirante “di politiche educative di coesione della comunità e della collettività”.
Thomas Piketty, definito il nuovo Marx, ne denunciava qualche anno fa, nel “Nuovo Capitalismo” della globalizzazione, le erosioni, la disuguaglianza e l’assurdo “meccanismo che rende il ricco sempre più ricco” e che ha creato la forclusione sociale senza considerare che la centralità dell’uomo sia nel diritto della Carta universale, che non s’identifica nel sussidio assistenziale ontologico di “una realtà esilente e deprimente”, ma nella sua ragione etica, scelta estetica post-moderna, motrice di “progresso e sviluppo”.
La causa è nella politica non solidale che produce miseria e occupazione fasulla e che, simile al pifferaio di Hamelin, vuole che i bambini, affascinati e attratti da una musica magica e tanto gradevole, sperino d’incontrare i paesi con tanti balocchi, senza il rispetto delle regole. Moscovici nella lettera, antecedente all’ultimo documento, consegnata a Tria riferiva che “il non rispetto delle regole è particolarmente serio”. Il monito arrivava anche da Draghi, che invitava a non “sfidare le regole europee” perché il rifiuto “non porta una maggiore prosperità”, ma “comporterebbe un prezzo alto per tutti” e potrebbe causare un inasprimento delle condizioni del settore finanziario danneggiando la crescita.
In Italia l’inasprimento, è stato subito con il governo Monti e poi con quelli di marchio Pd. L’Europa, però, fino ad oggi, ha garantito la richiesta italiana ma, adesso, ha bisogno di flexsecurity, di regole di crescita e non di promesse false. Non è accettabile catturare e ridare fiducia sociale e lavoro, attraverso il dire: “Sempre tutto quello che vuole sentire il popolo, è chiaro che nei sondaggi aumenti. Bisogna, però, se quelle stesse persone quando non riceveranno la pensione ti voteranno ancora”.
La forza è in uno stimolo propulsivo che ricorda il passato. Essa è “ radice e consapevolezza” olistica che segue la via epistemologica della memoria e in antitesi al “pregiudizio ontologico”. La via del buon senso è nella ricerca della saggezza che, guardando al bene comune, rifiuta a priori le perplessità della globalizzazione e il potere egotico della competitività industriale. Essa si codifica verso i percorsi armonici della cooperazione educativa della comunità, fondata sulle istituzioni democratiche, orientati al progredire del welfare sociale, creatore di modelli integrativi e di relazioni inclusive e scelte di valori.
Penso al “Godi e Divertiti!” del valore associativo delle collettività, della solidarietà, della prossimità e del perché non si riesce a ricucire la costituzione dell’Italia nazione unita nei valori di equità e di una”Europa Patria politica delle nazioni” come avviene in Cina. Bisognerebbe, quindi, fare ricorso alla memoria riprendendo i trattati e rileggerli per ridare all’Europa il suo vero ruolo spettante di essere promotore sociale, economico e finanziario.
Non ha senso avere un’Europa che stenta a crescere, diseguale o peggio sovranista irresponsabile e non accogliente. Dov’è l’Europa dei lumi? Dov’è il Bel Paese sociale e accogliente? All’Italia non servono i Robespierre del XXI secolo come non sono accettabili i grillismi anticostituzionali contro il presidente della Repubblica ma, ciò che occorre, è un grande scatto nel superare il divario diseguale sia nella politica interna sia in quella europea e internazionale. È evidente che si è, invece, per una politica internazionale verso l’Onu e la Nato più espansiva, più fiduciosa nell’Unione europea e anche se vi è un maggiore euroscetticismo fra i partiti di destra, la convinzione è che il passaggio all’euro è stato positivo.
Sotto il livello ideologico, l’attenzione deve essere relativa alla politica interna e all’agenda politica sulle riforme più urgenti per il paese: la disoccupazione, la sanità, la criminalità, la giustizia, le tasse, l’evasione fiscale, la scuola, l’immigrazione, la riforma federale dell’Italia, l’inefficienza della pubblica amministrazione, l’inquinamento dell’ambiente, l’arretratezza del Mezzogiorno, un miglior inserimento del nostro paese in
Europa, l’inflazione, la corruzione politica, il pluralismo dell’informazione. In particolare sui temi di politica economica l’affermazione è posta su una “società libera che non può fare a meno del mercato ma, anche, che bisogna frenare la privatizzazione dei servizi pubblici e che chiede con forza a ogni costo la sicurezza del posto di lavoro”.
La certezza è di non essere pragmatici nella tutela per dare “lavoro” e per ridurre la povertà nel nostro Paese. La materia del lavoro è insita negli articoli 39, (che riguarda la struttura, l’organizzazione e la gestione dei sindacati), l’articolo 40 come negli articoli 46 e 1, i quali spesso sono dimenticati. In essi sono connessi i temi sindacali, lo sciopero e le partecipazioni dei lavoratori e dei tecnici all’andamento delle aziende in cui lavorano. La Uil difende il lavoro e tutela le persone non autosufficienti come gli ammalati e i loro diritti. Sono problemi difficili e aspri ma essenziali per sapere che cosa sta succedendo in questi giorni per esempio sui temi dell’Alitalia, dei trasporti aerei e ferroviari, della scuola, della sanità e in molti ospedali. Argomenti che hanno bisogno di risposte e di regole di confronto, se si vuole che abbia la cogenza necessaria in difesa e a tutela dei lavoratori e della politica, intesa come bene comune.
Il tema occupazionale deve essere nel Mezzogiorno, il suo obiettivo “Centrale”, altrimenti come si ridurranno la desertificazione del territorio e le sue disuguaglianze? Come si avranno un reddito e una previdenza dignitosa futura per tutti? Questo non si ottiene in un sussidio assurdo che non risponde a un’etica responsabile del consumo e della valorizzazione delle norme costituzionali e in particolare agli articoli 1 e 3, che richiedono equa, dignitosa e solidale occupazione.
L’assistenzialismo è diniego e dilatazione dell’intermediazione politica, la quale crea gonfiamento dei ceti politico-burocratici, parassitismo, corruzione e alimentazione della criminalità. Il Sud e i cittadini non meritano tali disgrazie come non vogliono un colonialismo interno, che tanto male ha fatto fino ad oggi al Mezzogiorno. Occorre riprendere lo spirito del ’47, facendo ricorso alla “apparente” utopia dei nostri costituenti e alla “speranza progettuale”, fondata sui valori solidali e in un Patto sociale.
Nel Mezzogiorno, in Puglia, si è pensato a realizzare il modello contrattuale innovativo, basato sul “Patto per il Sud”, in difesa del posto di lavoro e per la sopravvivenza delle aziende del territorio. Perché, com’è accaduto a Brindisi nella primavera del 2017, non è possibile salire sui tralicci in difesa del posto di lavoro! La domanda dell’offerta è credibile, in base all’articolo 1 della Costituzione, di garantire al cittadino la possibilità di lavorare senza mettere a rischio la sua dignità, il proprio futuro e quella della famiglia, della moglie e dei figli?
Perché la politica economica non si arrende a essere assente di fronte a una condizione che continua a vedere il Sud deprivato del lavoro, dove i poveri aumentano cosi come i giovani che emigrano e le famiglie in cerca di lavoro? Questo si manifesta nel più generale rallentamento dell’economia italiana che riapre la forbice tra Centro-nord e Mezzogiorno. Il Pil dovrebbe attestarsi all’1,3% nel Centro-Nord e allo 0,8% nel Mezzogiorno. In questo scenario aumenta di più la popolazione che emigra. Solo nel 2016-2017 si registrano 146 mila abitanti in meno e negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti: la metà giovani di età, compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. È aumentata anche la povertà, che nel 2016 da 700 mila è divenuta 845 mila nel 2017.
L’esigenza è in un potere politico rispettoso che sia nella crescita e nell’occupazione per il Lavoro, e che si orienti in un fisco più leggero per le famiglie e per le aziende e riduca la pressione fiscale su imprese e famiglie. Essa non può essere a rischio se le misure intraprese avranno una valenza limitata e tali sono orientate prevalentemente ai consumi e poco, invece, al sostegno degli investimenti, unici in grado di determinare effetti duraturi sulla dinamica del Pil, specie alla luce della crescente propensione al risparmio.
La proposta della Uil, l’ADA (associazione per i diritti degli anziani) e la STU territoriale Appia Antica della Uil pensionati è in un “Nuovo sistema strutturale” di cambiamento per un’Italia che si vuole. Le sfide per gli anziani sono nel superare i problemi effettivi di “assistenza sanitaria, esclusione sociale e disagio psicologico che sono potenziali per la tenuta sociale ed economica e per quella del Welfare sociale come nella richiesta delle risorse di sostegno economico e del supporto nell’organizzazione familiare che necessita di partecipazione sociale e valorizzazione e trasmissione delle competenze. Il superamento nella aver fiducia a ricucire la ripresa che non sia un divario tra il Nord e il Sud del Paese, ma “il volano per il Paese, piuttosto che essere considerato e trattato come una zavorra”.
In questo quadro bisogna favorire non il riflusso ma il flusso dei giovani che sono in fuga dal Mezzogiorno, l’interrogativo è che cosa dovrebbe fare la politica per evitare questa situazione drammatica? Come bisognerebbe evitare l’accentuarsi di una divaricazione fra giovani con ottimi percorsi formativi e competenze spendibili e altri che rischiano di rimanere fuori mercato del lavoro a oltranza? Come si può spiegare la differenza tra il totale degli occupati, ritornati stabilmente ai livelli pre-crisi e il numero delle ore lavorate, che sono ancora inferiori rispetto al 2008?
Perché non si ritengono indispensabili i rinnovi contrattuali che danno sicurezza, produttività ed efficienza? Non sarebbe meglio investire sulla disoccupazione giovanile e in quella più adulta? Nel Documento di Economia e Finanza 2017 (DEF) e nel Programma Nazionale di Riforma (PNR) non si riscontrava una concreta esposizione delle strategie e delle modalità per ridurre le tasse attraverso interventi sul cuneo fiscale.
La proposta è nel ridare potere d’acquisto, sostenendo la domanda interna e riducendo la pressione fiscale sui lavoratori e sui trattamenti pensionistici, per “Una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art.1) ed evitare un Sud svuotato senza lavoro e opportunità. Un rilancio dello sviluppo potrebbe arrivare dai fondi europei, ma la spesa è ferma al palo. Solo l’1% dei programmi ha trovato attuazione.
Il sospetto è legittimo se pensiamo al senso d’insicurezza degli italiani, su cui si reggono molte proposte della nuova propaganda, della chiusura delle frontiere e al porto d’armi generalizzato. Non sono percezioni, ma se guardiamo la realtà, queste potrebbero essere incertezze e paure enunciate. Non è certo che demonizzando il male ”si risolva il problema”, anche se è vero che il sistema sociale dovrebbe essere profondamente riformato, perché sono convinto che in questi anni “siamo di fronte al capolavoro delle classi dominanti” e, come dice Ezio Mauro, viviamo in una “classe capovolta”, il cui desiderio è di cercare in modo lungimirante “la visione della luce che va oltre i confini alla risposta dei mutamenti culturali e politici del nostro pensiero in continuo divenire”. Il governo, il 22 ottobre 2018, dopo ore di negoziato ad alta tensione, si è concentrato sul Reddito di Cittadinanza ma per fare questo occorre “Abolire la povertà” sopprimendo le derive assistenzialistiche come dice il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia. È importante capire anche quali sono in essere le contraddizioni di quest’operazione; sul tema pensione, per esempio, il governo discute su Quota 100 (62 anni + 38 di contributi - una possibilità in più di uscita anticipata), ma quali sono le penalità, che potrebbero essere addirittura più alte rispetto alle misure già esistenti? Basteranno le risorse da collocare, tant’è che si parla di aggiustamenti e correzioni?
Infine la Flat tax, che è baluardo della Lega, perché Il taglio delle tasse è orientativo solo dal lato delle aziende del Nord e non considera le criticità per il sostegno del “ lavoro al Sud”? La Manovra potrebbe essere giusta se costruita per superare le defezioni e sviluppare la crescita; l’importante però, è che essa non sia elusiva e crei “decrescita e fallimento”, dovuto al debito.
L’indirizzo deve essere nel superare il clima di austerità mantenuto in questi anni, rilanciando l’economia attraverso gli investimenti e l’utilizzo delle risorse disponibili pagando meno tasse sul lavoro, rivalutando le pensioni e creando una legge sulla separazione dell’assistenza dalla previdenza.
La proposta è stata accolta in una piattaforma non solo nazionale ma anche locale. La linea guida è nella rinascita e nello sviluppo, necessari al rilancio strutturale dell’economia e del lavoro nel nostro Paese. Il bisogno è in una sorta di New Deal per risalire dalle ultime posizioni delle classifiche europee sia attraverso investimenti pubblici e privati in infrastrutture materiali e immateriali sia approntando nuovi modelli di produttività e di partecipazione anche per dare prospettive occupazionali ai giovani. Ora è il momento di mettere tutto nero su bianco, nella manovra “Sarebbe davvero opportuno che nei prossimi giorni ci fosse un confronto vero con le organizzazioni di rappresentanza sociale e del lavoro”.
È giusto quindi, che il Governo prefiguri una manovra che aumenti il debito per spese correnti, che ha dato un senso d’insicurezza facendo partire lo spread oltre il limite come:
* aumento del costo del debito pubblico e, quindi,
* più Spread = più tasse per i cittadini;
* più spread = meno risparmi per gli investimenti;
* più spread = meno crediti per le imprese e le famiglie;
* più spread = più rincari su servizi e bollette.
Il mercato giudica la manovra “dannosa e vulnerabile” in particolare per le banche a fronte dei punti sensibili, debito e sistema bancario e di rappresentare mere politiche di assistenza, che potrebbero condannare il lavoratore meridionale al ruolo di assistito perenne.
L’uomo del Sud è un lavoratore che ha enormi potenzialità da poter mettere in campo, se fosse sostenuto con corretti e opportuni interventi strutturali sulla sostenibilità sociale e ambientale e sulla solidarietà nazionale che sono in netto contrasto con le scelte autonomiste.
Il nuovo governo ha smarrito l’anima post-materialista che guardava al futuro post-industriale e a una società che superava le posizioni conflittuali del novecento in una rinascita del Paese che s’inseriva in una filosofia d’integrazione, di sviluppo sostenibile e di trasformazione green dell’economia connessa a interventi di opinione post-moderna, legati alla speranza di una politica innovativa, sociale, coerente, pulita e produttiva.
La Manovra deve favorire le politiche fiscali con strumenti importanti di redistribuzione e di sviluppo e questi si erigono anche con l’equità del sistema e con la lotta all’evasione attraverso un meccanismo che costruisca il futuro sociale del Paese basato su un sistema virtuoso di convivenza e di rispetto delle necessità e dei bisogni delle persone, in un’ottica di reciprocità, chiave di volta per una reale integrazione e coesione di comunità. Questa visione di “coedocomunità” chiede sviluppo, crescita e occupazione che sono la prima linea dell’economia e possono promuovere una nuova struttura produttiva rinnovando un modello di sviluppo e creando nuova occupazione.
Il bisogno è in un modello di Governance delle politiche industriali e di sviluppo, che incoraggi e stimoli investimenti privati in settori strategici e occupazione di qualità, eliminando il divario di costi rispetto al centro-nord e rendendo operative le Zone Economiche Speciali, garantendo la qualità del lavoro, la tutela dell’ambiente e il diritto fondamentale alla salute e sicurezza. La richiesta è in politiche attive sul funzionamento del Fondo d’Integrazione Salariale (Fis), sul rafforzamento della Naspi e sul potenziamento della copertura per i lavoratori stagionali. Il potenziamento delle politiche attive del lavoro è per un rafforzamento istituzionale che coinvolga le Regioni e sia esigibile per la garanzia di politiche di coesione comunitarie e in contra
Il pensiero va alle politiche che garantiscono i servizi per i livelli essenziali delle prestazioni, che sostengono i giovani negli interventi legati alla transizione scuola-lavoro e che percorrono un sistema strutturale innovativo del nuovo mutamento economico e nel cambiamento del sistema previdenziale.
Com’è possibile avere la tutela contributiva se non vi è la separazione della spesa previdenziale da quella assistenziale? O avere una pensione contributiva di garanzia per i giovani magari attraverso un assegno di coesione fiscale?: senza lavoro non c’è pensione e i lavori precari non garantiscono una pensione dignitosa. Questi sono diritti esigibili come l’approvazione della legge quadro sulla non autosufficienza e nel contrasto alla povertà, le politiche d’inclusione sociale (Rei).
Il Governo dovrebbe uscire dal vicolo cieco della campagna elettorale perenne e guardare con onestà intellettuale la complessità dei problemi, accogliendo il dialogo, il confronto e la sintesi, che sono frutto di una dialettica costruttiva per il bene comune di tutto il Paese. La politica deve avere rispetto del Paese e della sua comunità che soffre una disoccupazione giovanile pesante e che oggi è aggravata dal bisogno di soluzioni concrete e non da teatrini squallidi accompagnati da situazioni surreali, come il contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro, definito “uno specchietto per le allodole”, solo, per fare cassa.
Il governo dovrebbe innanzitutto prevedere progettando il futuro, tenendo presente quali potrebbero essere gli effetti futuri del progresso tecnologico sull’occupazione giovanile? Com’è possibile conciliare produttività e reddito di cittadinanza?
A questa necessità occorre fornire una base scientifica mettendo al centro quel delicato meccanismo di equilibrio tra domanda e offerta che è nel passaggio dalla società industriale a quella postindustriale fornendo le basi per ipotizzare come cambierà il lavoro, i suoi futuri possibili e i suoi scenari probabili.
La comunità non ha bisogno di una manovra irrazionale che si scontri contro un muro ecofinanziario.
La necessità è in una manovra etica del lavoro, orientata su un’innovazione contrattuale in base al plus valore produttivo e non sul sussidio assistenziale, che sia essenziale e rispettosa della Costituzione e che sia “una condizione essenziale dell’esercizio dell’effettiva sovranità del Paese”. Essa ha le sue radici in una politica di coesione educativa di comunità “coedocomunità” di prossimità progressiva, solidale, equa e accogliente nel rispetto dei diritti umani e d’integrazione sociale e che, come recita il secondo comma dell’articolo 1 della Costituzione, ha il diritto della sovranità che spetta al popolo, ma che essa si esercita nei limiti previsti dalle leggi, quindi impensabile in un federalismo fiscale non equo e selvaggio delle Regioni che sono senza situazioni paritarie di partenze.
In questo penso a un discorso di Ugo La Malfa, pronunciato alla Camera nel gennaio del 1961, il quale affermava: “Se l’alta congiuntura concentra i suoi effetti solo nelle zone sovrasviluppate, perché le zone sovrasviluppate attirano spontaneamente i maggiori investimenti, i maggiori capitali e le concentrazioni di ricchezza, ne soffrono le zone sottosviluppate”; poi con forza affermava anche che “il potere politico deve tempestivamente correggere queste spontaneità” e aggiungeva che “solo se si fa questa correzione, si può dire di avere compiuto il proprio dovere per il paese”.
Bisogna essere consci dell’Unione europea e quindi dell’equilibrio e di una vera pace tra i popoli in guerra.
È illusorio inasprire il clima di sfiducia del futuro dell’Italia nell’Unione Europea. Un clima di fiducia reciproca è indispensabile; penso, a tal proposito, alle parole pronunciate di stimolo, di equilibrio e di responsabilità, dal presidente Mattarella da sintetizzare in captandam benevolentiam nostra et alienam, il quale invita “a leggere la realtà e a fare ventaglio delle opinioni legate all’Europa come patria, a coglierla nella concezione positivista postmoderna del costruttivismo e del radicale realismo nella visione che si affrontino le riforme istituzionali soltanto dopo aver affrontato le riforme di sostanza enunciate senza un carattere autoritario o decisionistico, fuori dal pensiero libero, ma nella prospettiva della ricerca della verità come esistenza del presente e prova del passato”.
Non si chiede un Governo delle nuvole, ma di segnali di vita, di ottimismo, di capacità a superare i grandi problemi e le grandi criticità. L’Italia per la STU Appia Antica e ADA di Brindisi non ha bisogno di ectoplasmi, di governi di occupazione delle poltrone, ma di uomini di governo con capacità di governare e che non siano sintesi di un pensiero “sepio sapiunt phrygis” (che fa mettere il giudizio troppo tardi), ma di una democrazia libera che penetri in un nuovo civismo della politica di coesione coedocomunitaria.
Mesagne 1 novembre 2018
Dal saggio, del Prof. Tindaro Giunta scaturisce una disamina esauriente, completa e distaccata, da giudizi di parte, su quelle che sono stati gli ultimi avvenimenti che hanno caratterizzato la politica italiana. Non mancano spunti, riflessioni e soluzioni per riportare un certo equilibrio nella "governance" attuale. C'è la volontà di un'anima appassionata, da sempre sensibile al sociale, vicino ai poveri e agli emarginati. Uno studio considerevole, una ricerca storica non indifferente, un resoconto ricco di esperienza vissuta nel mondo del sindacato e fra la gente comune. Un lavoro, quello del Prof. Tindaro che merita rispetto a prescindere dai dissensi che può sollevare il suo scritto che rimane, comunque, sempre, personale.
Franco Galasso