contemporanea dell’amministrazione del sindaco Pompeo Molfetta, iniziata nell’aprile del 2015, salito a Palazzo dei Celestini forte di una schiacciante maggioranza in Consiglio. Nonostante ciò, a distanza di alcuni lustri, ha seguito per similitudine la fine della legislatura dell’ex sindaco Damiano Franco che, eletto con un suffragio di oltre il 70 per cento, fu, dopo alcuni anni, sfiduciato. Al sindaco, o al già sindaco Molfetta, sono stati i problemi caratteriali e politici a fare naufragare questa esperienza, nata in maniera trasversale ai partiti storici, all’insegna del civismo. A Pompeo Molfetta gli è stata rimproverata la mancanza di carisma nel trattare sia con i suoi alleati di governo, con i dipendenti che con i cittadini. Persona di indiscussa onestà e moralità Molfetta non è riuscito a connettersi con i suoi partener tanto da isolarsi e chiudersi nel “Palazzo”. La sua prima giunta l’ha persa completamente per strada. Ha iniziato con le dimissioni dell’ex assessore alla Cultura, Roberta De Netto, per proseguire con Manuel Marchionna, assessore ai Servizi sociali, con Palma Librato, Urbanistica e Lavori pubblici. Ed ancora Antonella Catanzaro e Alessandro Rubino ai Servizi sociali. Nel rimpasto effettuato nell’aprile 2018 ha perso Antonio Marotta e Tecla Pisanò. Tuttavia, il primo ad andarsene per incompatibilità di caratteri fu il suo stesso consigliere politico, Giuseppe Florio. Oggi qualcuno prova a difendere Molfetta. Tra questi il suo amico e collega Vito Lenoci che si è rifiutato di sfiduciarlo. “Non ho firmato la sfiducia a Pompeo Molfetta – ha spiegato il consigliere Lenoci - perché ho inteso rispettare fino in fondo e con coerenza il mandato che i cittadini mesagnesi mi hanno dato nella primavera del 2015”. Il dottor Lenoci ha tenuto a ricordare come “nell’arco di questi anni non ho ravvisato gravi inadempienze politiche del sindaco tali da essere sfiduciato. I problemi che pur ci sono potevano essere superati con un confronto schietto e leale”. Ed ha, quindi, aggiunto: “I cittadini mesagnesi avrebbero meritato una maggiore consapevolezza di questa sfiducia che sarebbe dovuta essere discussa nella sua sede naturale ossia il Consiglio comunale e non in un freddo studio notarile, dando modo a tutti di poter esprimere la propria opinione ed ai cittadini di poter comprendere”. La storia politica ed umana del sindaco Molfetta “avrebbe sicuramente meritato più rispetto istituzionale e mi sembra alquanto fazioso sfiduciare un sindaco per motivi caratteriali”. Secondo Lenoci “la città di Mesagne non meritava questo triste epilogo in un momento in cui il suo prestigio dentro e soprattutto fuori dal territorio era alto come non mai. Tutti usciamo sconfitti da questa vicenda”. Per Emanuele De Nitto, di Aticolo 1, “La verità è che nel 2015 c’è stato venduto un “prodotto” contraffatto. Hanno condiviso tre aspirazioni personali e lo hanno chiamato “civismo”. Ci hanno detto che la “catena di comando” Comune, Regione, Parlamento avrebbe aiutato la crescita di Mesagne ed invece, al primo inciampo, sono cominciate le reciproche recriminazioni. Altro che “Pompeo ha un brutto carattere mentre io parlo con tutti”. Il vero fallimento fu proprio quell’accordo, svenduto come civismo”.
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