Mesagne. Io non sfrutto? La ricerca dice il contrario (Scarica il dossier in Pdf)
L’indagine “Cercasi Schiavo” sul lavoro turistico di Mesagne, promossa, promossa dall’associazione Mesagne Bene Comune, ha messo in evidenza le criticità che lo sviluppo turistico comunque comporta per i lavoratori coinvolti nel settore. Negli ultimi anni, infatti, alpari di una tendenza generale che vede sostanzialmente una crescita continua dei flussi turisticia partire dal secondo dopoguerra ad oggi - con la significativa eccezione della pandemia –possiamo dire che anche a Mesagne assistiamo a una crescita del settore. Nel corso del rapportoabbiamo preso come indicatori sviluppo turistico la crescita delle strutture alberghiere (propriamente dette, o nella forma più comune per la Puglia di BnB), impiegando dati fornitida InsideAirbnb e dallo Sportello Unico delle Attività Produttive del Comune di Mesagnerispetto agli esercizi pubblici avviati nella città. Ciò che emerge da questa prima esplorazionecomplessiva è che, nonostante la città di Mesagne sia ancora distante dalle “performance” dilocalità turistiche maggiormente consolidate, come ad esempio la Valle d’Itria o la penisolaSalentina, proprio grazie a questa vicinanza - oltre che a una ripresa dei flussi turistici post pandemia - beneficia anch’essa di una crescita delle attività alberghiere e di ristorazione.Eppure, tale crescita sembra incontrare delle difficoltà nella redistribuzione della ricchezza sul territorio, particolarmente per quanto riguarda le condizioni di lavoro che, anche nella città di Mesagne, mostra i tratti di un lavoro povero, spesso soggetto a turni massacranti, ma che soprattutto si svolge in larga parte fuori dai perimetri posti dai vincoli normativi econtrattuali.
Questo ci aiuta a spiegare anche il particolare successo dell’inchiesta che haottenuto, grazie anche a una diffusione capillare e a una campagna accattivante e provocatoria,82 rispondenti. Considerando la scarsità di studi sino ad ora condotti sul tema del lavoroturistico, particolarmente per quanto riguarda l’Italia e, ancor di più, il Sud del paese, si trattadi una base informativa particolarmente consistente e alquanto rara. Sebbene si tratta diun’inchiesta nata con intenti diversi da quelli di costruire una conoscenza scientificaconsolidata, si tratta quindi di una base dati particolarmente preziosa che può consentirci di“grattare” la superifice del problema per cogliere gli aspetti strutturali che la caratterizzano.Anzitutto, a differenza dei tratti solitamente associati alla figura “tipica” del lavoratoreturistico, solitamente giovani in cerca di arrotondamenti stagionali, l’immagine che escedall’indagine appare assai più articolata. Non solo, infatti, la maggior parte dichiara di svolgerequesto lavoro in maniera continuativa, ma è possibile individuare una composizione fatta diindividui di ogni età, inclusi anche molti over 50 che probabilmente trovano nel lavoro turisticoun riparo da un mercato del lavoro sempre più inaccessibile per quel tipo di lavoratori, o dacondizioni di disoccupazione di lunga durata. Sebbene poi il lavoro propriamente detto “anero”, ossia senza alcuna forma contrattuale, riguarda solo il 20% dei rispondenti, va fattonotare come questo non voglia dire che le tutele contrattuali siano rispettate. La maggior partedei lavoratori, infatti, dichiara di trovarsi nella condizione di mezzo, con la presenza cioè di uncontratto formale di lavoro, ma che viene rispettato soltanto in parte. Questo porta a rivederela questione del rapporto tra lavoro formale e informale, che solo raramente si pone in manieracontrapposta, ma in molti casi sovrapposta, spingendoci a parlare piuttosto di diversi gradi di“informalizzazione” che insistono all’interno della dimensione formale.
Detto in altri termini,in molti casi il contratto rappresenta piuttosto uno strumento per il datore di lavoro in caso di41controlli, mentre in molti casi il rapporto di lavoro viene regolato per via informale, più chealtro attraverso accordi imposti unilateralmente come mettono in evidenza i risultatidell’indagine esposti in precedenza. Ciò anche se, anche in questo caso distanziandosidall’immaginario comune sul lavoro turistico come lavoro stagionale, la maggior parte deirispondenti dichiara di operare in maniera continuativa e non stagionale. Questo evidenziaancora una volta il legame tra la crescita del settore e una mancata redistribuzione dei benefici:nonostante in molti casi le attività turistiche (ristoranti, alberghi, BnB) prestino ormai serviziotutto l’anno, questo non corrisponde necessariamente a maggiori tutele per i lavoratori delsettore.Appare invece drammatico il quadro delle condizioni di lavoro. La maggior parte deilavoratori dichiara di percepire uno stipendio di gran lunga inferiore a quanto attualmenteprevisto a livello contrattuale e normativa, con l’84% dei ripondenti che dichiara di ricevereuna paga inferiore ai 6 euro l’ora e ben il 31% che non raggiunge neanche i 3 euro l’ora. Forse ancora più allarmente è poi la tendenza a vedere diminuito il compenso orario all’aumentaredelle ore di lavoro. A differenza di quanto previsto dai vincoli normativi, chi più lavora, menoguadagna, fino al punto di giungere a orari di lavoro massacranti, la norma è infatti quella dilavorare più di 8 ore al giorno fino a casi che superano addirittura le 13 ore giornaliere, e astipendi poverissimi.Comprendere perchè ciò accade non è poi così difficile: considerando che il settoreturistico rappresenta uno dei casi più tipici di settori labour intensive - cioè a scarso apportotecnologico e ad alta insentità lavorativa - l’unico modo per poter aumentare i profitti è appuntoquello di allungare il più possibile i turni di lavoro. Se prendiamo ad esempio il caso dellaristorazione, ci sono solo due modi per aumentare il numero dei coperti. Il primo, èallargandosi, come è accaduto infatti con i dehor, in molti casi concessi in via straordinariadurante la pandemia e poi in molti casi divenuti la norma. Il secondo è, appunto, allungandogli orari di lavoro fino al punto di sfumare i confini del turno del pranzo e quello della cena, afavore di un turno unico sempre più prolungato. Non è diverso il caso dei bar, i quali in molticasi espandono la propria attività offrendo servizi diurni e notturni, con orari di chiusura semprepiù prolungati. Non sorprende poi che la tendenza a guadagnare meno e a lavorare di più colpisca inmodo particolare quei lavoratori che si trovano nella zona grigia o nera di impiego.
Comeconfermano le testimonianze rilasciate dai lavoratori, per molti di loro il compenso vienepattuito “a giornata” lavorativa, anziché a ora come pure prevederebbe la contrattazione. Ilrisultato quindi è che mentre l’orario di lavoro tende a dilatarsi, il compenso “forfettario” si vain realtà riducendo proporzionalmente al numero delle ore lavorate. Una pratica che, in questosenso, mostra una specifica struttura culturale messa in atto degli imprenditori del territorio chefinisce a penalizzare chi lavora di più, invece che premiarlo. Non sorprende quindi l’alto datodi frustrazione registrato dal questionario che, come mostrato in precedenza, mostra lavoratoriche nella stragrande maggioranza dei casi si sentono insoddisfatti dei compensi a fronte delleore di lavoro che effettivamente si trovano a svolgere.Discorso a parte invece merita la questione di genere che, come illustrato in precedenza,impatta in modo significativo anche nell’ambito turistico. Non solo le donne sono menopartecipi degli uomini, soprattutto in quelle classi di età in cui di solito avviene la maternità eche sembrano corrispondere a un’uscita delle donne da questo settore anche a causa degli alti42ritmi di lavoro che vengono imposi, ma su di loro le tendenze sopra illustrate si vannointensificando. Le donne sono infatti la maggioranza tra i lavoratori a nero, così come sono lamaggioranza tra coloro che guadagnano meno di 3 euro l’ora. Solo una parte estremamenteminoritaria, infatti, è in rapporti di lavoro pienamente formalizzati e con salari superiori allasoglia di povertà. Ancora una volta, quindi, le donne appaiono maggiormente svantaggiate deicolleghi uomini e, come riportato nelle loro storie, sono anche le più esposte a fenomeni dimobbing o di molestia sul luogo di lavoro. La condizione di vulnerabilità appare cosìulteriormente amplificata dalle tendenze del lavoro turistico, dimensione che meritasicuramente maggiori approfondimenti per ulteriori studi su questo settore anche al di là delperimetro della città di Mesagne.Frustrati, ma anche molto soli, questo è ciò che emerge invece dalle risposte che ilavoratori hanno fornito rispetto all’azione di sindacati e amministratori. In molti casi questivengono percepiti come dalla parte dei ristoratori, o comunque distanti dal settore e dalleproblematiche che lo caratterizzano. Non è dissimile l’esito per quanto riguarda il ruolo degliispettori: in molti casi i lavoratori denunciano scarsi controlli o comunque insufficienti.
D’altrocanto, come emerge in molti casi dai racconti dei lavoratori, sembrano essere numerosi gliostacoli alla denuncia dei lavoratori. La condizione di informalità, infatti, non solo conduceverso condizioni di lavoro vessatori, ma esclude in molti casi anche dalla possibilità di accederealla protezione sociale nei casi di perdita del posto di lavoro o di infortunio, malattia, maternità,o altre condizioni di interruzione della prestazione lavorativa. In questo, si fa evidente anche ilpeso di un ritardo generale della protezione sociale che ancora appare incardinata attorno aitratti tipici dell’operaio massa di epoca fordista. In questo senso, l’assenza di una tutelauniversale della protezione sociale svolge un ruolo fondamentale nello scoraggiare le denunceda parte dei lavoratori. Se a questo aggiungiamo poi la recente abolizione del reddito dicittadinanza, ci rendiamo quindi conto di come appaia sempre più irrealistico immaginareazioni di denuncia da parte dei lavoratori che, probabilmente, nel migliore dei casi preferiscola pratica delle dimissioni.Un altro aspetto che ci preme sottolineare in sede di conclusione è come lo scarso rispettodei vincoli normativi e contrattuali costituisca anche un impedimento nei confronti di forme diimpresa turistica più avanzate. Il muoversi continuamente sui confini della legalità finisce perprodurre una competizione al ribasso che in molti casi impedisce a coloro che intendono fareimpresa rispettando la normativa di farlo. Le pratiche di informalizzazione del lavoro - ossia diun rispetto soltanto parziale dei vincoli cointrattuali e normativa - rappresentano quindi un datostrutturale che difficilmente riesce ad essere superato senza che vi sia alcun intervento pubblicoin grado di stimolare e agevolare modalità alternative di operare nel settore.Una possibile strada da perseguire in questo senso è quella già intrapresa da alcune grandicittà che hanno ultimamente sperimentato pratiche volte a scoraggiare comportamenti illeciti ea promuovere, invece, quelli virtuosi.
Ad esempio, è questo il caso di Bologna, dove già dal2018 è stato inserito nel regolamento dei dehors la possibilità di ritirare la concessionecomunale per quelle attività nelle quali vengono accertate irregolarità lavorative. Ciòcostituisce una doppia sanzione: da un lato viene ridotto il numero di coperti che possono esseremessi a disposizione dei clienti, dall’altro, invece, si offre ai consumatori un indicatore “visivo”che offre la possibilità di scegliere con maggiore consapevolezza gli esercizi nei qualiconsumare. Una strada simile è inoltre stata perseguita dal comune di Napoli, con un accordo tra il comune e l’ispettorato del lavoro che allo stesso modo sottrae la possibilità di accedere alsuolo pubblico per quelle attività nelle quali vengono riscontrate irregolarità. In entrambi i casi,ciò che viene messo in evidenza è come le amministrazioni territoriali, seppur non detengonogli stessi strumenti di regolazione che si trovano in capo alle leve nazionali, dispongonocomunque di leve importanti per poter far accompagnare allo sviluppo economico, anche lacrescita del benessere dei lavoratori del settore. Sono infatti queste a concedere l’occupazionedel suolo pubblico, a determinare gli orari di apertura, o, in una logica rovesciata, a poterconcedere delle premialità e delle concessioni agevolate per quelle attività che mostranomaggiore attenzione nei confronti del rispetto delle normative lavoristiche. Forse non sonostrumenti in grado di risolvere problematiche che abbiamo visto essere ampie e articolate, masi tratta indubbiamente di un punto di partenza ormai consolidato dal quale poter invertire moltedelle tendenze individuate nel corso di questo lavoro di inchiesta.
Sicuramente, però, c’è da moltiplicare gli sforzi di inchiesta se si vuole conoscere unsettore come il turismo che se da un lato sta diventando un asse sempre più centrale del nostromodello di sviluppo - in particolare per quanto riguarda il Sud - dall’altro appare ancora oscuronelle sue logiche di funzionamento così come nei suoi impatti per i contesti in cui operano. Inquesto senso, il tema del lavoro turistico sembra subire una sorta di doppia discriminazione. Inprimo luogo, viene spesso sottovalutato da un dibattito acritico che vede la crescita degliindicatori economici come equivalenti al benessere del territorio, equivalenza che nel corso diquesto rapporto di ricerca abbiamo più volte smentito. In secondo luogo, appare trascuratoanche da quelle analisi critiche legate alla tradizione del movimento operaio che l’hanno spessovisto come lavoro di natura “servile” o comunque interstiziale. La crescita dei flussi turistici,così come dei volumi di mercato, impone di superare questa diffidenza per osservare invececome le molteplici trasformazioni del nostro tempo - legata alla finanziarizzazione o alladigitalizzazione del settore turistico, soltanto per citarne alcune - ne fanno un ambito non solosempre più significativo, ma anche sempre più carico di contraddizioni e tensioni sociali.L’inchiesta fin qui esposta rappresenta soltanto un primo e piccolo passo, ma nella direzionegiusta: quella di uno sviluppo turistico che sia a vantaggio dei molti che ormai operano inquesto ambito, e non soltanto dei pochi che oggi sembrano trarne vantaggio.
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