Corsi e ricorsi della storia: una lettera di Francesco Muscogiuri del 1892

Enzo Poci - Società di Storia Patria per la Puglia Gennaio 09, 2018 5210

muscogiuri francescoSiamo ormai nella campagna elettorale del 2018, o alla sua vigilia, gli animi dei politici e dei loro attivisti si agitano… ma molte persone sono deluse come vanno le cose nel nostro Paese: tantissima disoccupazione, ogni giorno nuovi scandali ed esose tasse da pagare.

La storia, MAESTRA DI VITA, ci presenta apparentemente i suoi corsi e ricorsi, forse il suo corso perpetuo, disperato e malvagio, quel vento di tempesta che riversa costante la sua forza rovinosa sulle nostre terre calpestate dai politicanti mai paghi delle loro promesse false o sazi della pazienza nostra.

Possano i cittadini con il loro voto, come Francesco Muscogiuri scrive nella sua lettera, «MANDARE AL PARLAMENTO UN UOMO CHE SAPPIA INTERPRETARE I VOTI E I DOLORI DI QUESTE CONTRADE, ALLE QUALI IL GOVERNO NEGA IL PENSIERO, LA FORTUNA, IL SORRISO E IDDIO LA PIETA’». Nel 1892 il Professore Francesco Muscogiuri propone la sua candidatura quale deputato per il Collegio di Brindisi nel Parlamento Nazionale, ma si ritira molto presto dalla lotta politica ed invia la lettera che segue a Nicola Bernardini, direttore de Il Meridionale di Lecce, che viene pubblicata dallo stesso giornale il 29.9.1892:

«LA PROSSIMA LOTTA POLITICA NEL COLLEGIO DI BRINDISI. Riceviamo e pubblichiamo». Muscogiuri descrive velocemente nella sua lettera, il quadro della politica italiana nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, avviato dalla passione romantica, ma che si chiude con il sopruso ed il vassallaggio servile del parlamentare meridionale intrecciati con il malaffare bancario (lo scandalo della Banca Romana reso pubblico nel 1893). L’alleanza antistorica con gli imperi centrali, seguita dall’arroganza coloniale, sono l’effetto dell’ultima politica italiana, verso la quale egli oppone la chiara e «moderata intransigenza» della sua scelta politica, alta e rigorosa, che è rivolta al progredire culturale e sociale del Paese ed alla conservazione del suo pregio internazionale guadagnato durante la sanguinosa stagione risorgimentale e dal governo della Destra storica.

Il decoro signorile, il riguardo generale verso il prossimo da parte del nostro Muscogiuri, docente e saggista attento, buon vanto della cultura salentina dell’ultimo Ottocento, sono un dono di pubblico dominio, insieme con la sua generosità che lo porterà a lasciare ai poveri il suo vasto patrimonio immobiliare che nel 1919 darà una rendita annua di oltre tremila lire: una somma ingente in quei giorni lontani! Una metà della rendita annua dei suoi beni sarà ripartita in sussidi di «centocinquanta ciascuno da distribuire nel Natale di ogni anno a famiglie di operai e contadini poveri e disgraziati, cui manchino la biancheria da letto e le coltri, e il cui focolare sia spento in quel giorno di letizia per tutti»; l’altra metà destinata a finanziare ogni anno gli studi artistici delle giovani promesse di Mesagne.

E’ un esercizio vano della memoria ricordare la fine triste che i suoi fondi ed il luogo del suo ultimo riposo hanno patito, prosciugati dalla politica paludosa ed infausta che le parole di questa lettera pubblica condannano senza una speranza di appello e di riscatto, nei termini pirandelliani e ontologici più disperati. Il brano rimane una piccola gemma di prosa epistolare, asciutta e limpida. I suoi periodi, brevi e nervosi, manifestano intera la dura ma bella lezione animata dallo slancio ideale sostenuto dalla scrittura robusta e schietta che il letterato mesagnese, prestato per un momento all’azione della politica onesta e progressiva, ha ricevuto dal suo maestro più caro, Francesco de Sanctis. E dopo questo nome, io taccio…

                      

Mesagne, 27 settembre 1892

Caro Bernardini,

mi domandi se, fra tante affermazioni e smentite, sono o non sono un candidato. Veramente prima che queste elezioni prendessero l’aspetto di traffico nel disprezzo di qualsiasi ideale avevo il proposito di porre la mia candidatura nel collegio di Brindisi. Mi confortavano nell’alto fine la maggior parte dei miei concittadini e molte persone ragguardevoli e amici di Brindisi, di Latiano e del mandamento di Salice. Ma ho dovuto ritrarmi dalla lotta, non so se più attonito o disgustato. Disgustato di vedere un Ministero, che pur non avendo dato al paese alcuna prova di sapienza politica ed essendosi mostrato abile solo nell’agguato parlamentare, chiede alla nazione impoverita una Camera servile, un branco di giannizzeri, che si uniformino ai suoi ignoti disegni; disgustato di vedere una fungaia di candidati moderati progressisti e radicali, che affratellati nella dolce ambizione di salire, si naturalizzano ministeriali e intonano una peana al governo; attonito infine di sapere che gli elettori di questa mia diletta provincia, già fieri e indipendenti, non si piegano più, come un tempo, alla forza della ragione ma alla ragione della forza. E così sia. Io volendo rimanere qual ero, né sapendo accomodarmi alla circostanza, mi ritraggo dalla lotta, e fo voti che anche questa putrefazione, come dice il De Cesare, ridondi a fortuna della Patria. E poiché dopo questa mia dichiarazione, che pubblicherai nel Corriere, il silenzio si farà sul mio nome, permetti che io rilevi una frase che, comparsa la prima volta nella Tribuna, ha fatto il giro di molti giornali. Han detto che io sono moderato intransigente. Ecco: se moderato vuol dire non aver più fede nelle vane e tumultuarie riforme politiche, e averne invece molta nella risurrezione di un partito che dette Roma all’Italia e la prosperità alla Nazione, e che superando infinite difficoltà politiche e finanziarie e trovando nella indipendenza diplomatica, l’isolamento non già, ma la considerazione delle grandi potenze d’Europa, lasciò lo Stato ordinato all’interno e rispettato all’estero-sono moderato, e me ne tengo. Ma se si chiamano radicali coloro che invocano la semplificazione degli ordinamenti amministrativi, il ritiro delle truppe dall’Africa sterile e fatale, il distacco dalle potenze centrali e la politica delle mani libere, la riduzione delle spese militari e il miglioramento delle oneste classi lavoratrici sotto l’impero di una legislazione democratica, sapiente e progressiva-sono per questo verso un radicale anch’io, meno clamoroso forse dei radicali di professione, ma non meno fervido e sincero di essi. Questo sono e questo penso. A quei molti o pochi elettori del mio collegio che conoscono già e apprezzano questi intendimenti, e che avrebbero onorato il mio nome del loro suffragio, tanto più nobile e solenne quanto meno sollecitato ed imposto, rendo grazie vivissime. Possano essi mandare al Parlamento un uomo che sappia intrepretare i voti e i dolori di queste contrade, alle quali il governo nega il pensiero, la fortuna, il sorriso e Iddio la pietà.

Ti stringo cordialmente la mano.

aff.mo
Francesco Muscogiuri

 

 

Ultima modifica il Martedì, 09 Gennaio 2018 14:25