Mi è accaduto quando ho scritto un contributo sul generale Messe, nel quale ho riportato integralmente un articolo pubblicato sul Corriere della Sera da un noto giornalista. Il suo scritto aveva il dono della sintesi e della completezza, a quale scopo rielaborarlo? Anche se ad altri può sembrare un copia incolla.
Per completare il suo articolo tanto appassionato aggiungo alcune notizie sugli eventi politici che coinvolgono il generale negli anni del dopoguerra.
È stato scritto ultimamente che nei mesi tortuosi dell’immediato dopoguerra Giovanni Messe (onorato da Ernest Hemingway in un suo racconto dal titolo La scomparsa di Pickles McCarthy e con dei riferimenti anche nel suo romanzo capolavoro Addio alle Armi), fu coinvolto in alcune organizzazioni filomonarchiche, in particolare l’Armata Italiana di Liberazione (AIL), alla quale avrebbero aderito molti grandi nomi della vita democratica italiana, tra i quali lo stesso De Gasperi e di straforo il futuro presidente della nostra Repubblica, Giuseppe Saragat. Questa organizzazione, parte del Fronte anticomunista, riceveva inoltre il sostegno finanziario e politico della più grande potenza democratica della Storia, il governo degli Stati Uniti, il quale confermava la sua fedeltà al nuovo assetto liberale portato nell’Europa occidentale dai soldati angloamericani. Sulla base dei documenti consultati, quasi tutti frutto di informative prive di conferma e smentite in larga parte, Messe risulta a capo dell’AIL, ma altre volte lo si dice a capo di altre organizzazioni. Il generale presentò le sue dimissioni dall’AIL agli inizi del 1949, la quale si scioglie ufficialmente nel mese di aprile 1949, dopo avere assicurato all’Italia la stabilità della democrazia e la sua appartenenza al mondo libero.
Si continua a pubblicare le immagini che ritraggono il generale mesagnese al cospetto del Duce, forse supponendo che in quegli anni un alto ufficiale del regio esercito avesse un altro capo di governo, di suo gradimento, al quale fare rapporto sul suo operato. Qualcuno riporta come affermazioni conclusive lo scorcio di un suo discorso di occasione nel quale si proclama «fascista», senza contestualizzare l’auditorio politico al quale il suo discorso si rivolgeva in quel lontano giorno di febbraio del 1947. Nella sua lunga carriera il generale aveva fatto una sola volta questa ammissione, legata alle scelte reali, dopo la sua resa in Tunisia nel 1943, ed essa mai più si ripeterà nella sua vita pubblica.
«Perché il Re che ho l’onore di servire accetta un capo di governo fascista. Se lo accetta il mio Re, naturalmente lo accetto anch’io».
Questa dichiarazione risponde liberamente ad una domanda formulata dal generale neozelandese Freyberg forse in violazione della Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra del 27 luglio 1929 e dell’articolo 9 del Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aia del 1907.
Alcuni continuano a legare il suo nome, dopo le confutazioni della storiografia militare, alle operazioni più discutibili avvenute in Etiopia o sui fronti balcanici ed orientali per opera delle forze italiane.
La guerra per l’invasione dell’Etiopia, come quelle di aggressione alla Grecia ed alla Russia, sono state il frutto di una decisione politica contro la quale un ufficiale non aveva alcuno strumento per opporsi e se era chiamato ad obbedire il suo antico giuramento gli imponeva di obbedire. Un concetto antico, ormai avulso dalla nostra coscienza priva di linearità e di onore. La decisione di impiegare i gas di iprite sulle campagne etiopiche è stata assunta anch’essa dai più alti livelli del governo italiano e l’ordine conseguente non è stato ricevuto da Giovanni Messe, dal quale nessun ordine è partito per il loro impiego. In relazione alla sua condotta sui campi di battaglia europei e russi è sufficiente tenere presente che il nome del generale non figura in alcuno degli elenchi dei presunti criminali di guerra italiani prodotti dai paesi balcanici al più alto consenso delle Nazioni Unite. Nemmeno nei giorni più accesi della diatriba o dello scontro politico il nostro generale è stato accusato di avere violato, o di avere impartito un ordine contrario alle leggi ed agli usi della guerra. Associare il suo nome alle azioni ordinate e compiute da altri ufficiali è enormemente scorretto, se si parla di una persona scomparsa cinquant’anni or sono e che non è nelle condizioni di difendere il suo onore di soldato.
Davide Conti, uno degli storici della sinistra italiana che da tanti lustri si ostinano a tenere in vita un passato che continua a tenere prigioniero il nostro presente, dedica a Messe un lungo capitolo della sua opera Gli uomini di Mussolini e lo inserisce tra gli uomini del Duce e non tra i suoi generali, adoperando una aggettivazione ed un corredo espressivo ricorrentemente denigratori. Un evento fondato su un assioma viziato dalla parzialità della narrazione, la quale ribalta la visione della storia e la rivolge contro alcuni ufficiali del regio esercito, colpevoli di avere cercato di conservare e di preservare dal loro punto di vista, nei mesi che hanno preceduto il referendum del 1946, l’istituzione alla quale avevano giurato fedeltà quasi dieci lustri prima.
L’autore scrive che «il 5 novembre 1943, a seguito dell’armistizio e degli accordi tra Alleati e governo Badoglio, su richiesta di quest’ultimo, Londra acconsentì al suo rientro in Italia». Il 18 novembre1943, Messe fu nominato capo di Stato maggiore generale per continuare la guerra contro la Germania. Parla dell’incarico conferito a Messe per accertare le responsabilità della mancata difesa di Roma dell’8 settembre 1943 e per l’epurazione di altri ufficiali.
Egli attribuisce a Messe gli scarsi risultati, ma il 5 ottobre 1945 nei confronti dei Marescialli Badoglio e Messe «il Dott. Scoccimarro deliberava non si addivenisse ad alcun deferimento in quanto a favore di Badoglio e Messe stava l’azione svolta contro i tedeschi nella Guerra di Liberazione». La professoressa Maria Teresa Giusti confuta i presunti scarsi risultati sull’epurazione attribuiti a Messe, dichiarando che «il suo tentativo di epurare l’esercito naufragò miseramente con l’emanazione da parte del guardasigilli Palmiro Togliatti di una amnistia, promulgata il 22 giugno 1946, per i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazione con il nemico e reati annessi, come il concorso in omicidio. Si trattò di un colpo di spugna, risultato dell’impossibilità e della scarsa volontà di epurare la pubblica amministrazione e l’esercito».
Noi non sappiamo quanto questa decisione togliattiana non fosse imposta dalla sua necessità di «epurare» la memoria di venti anni di connivenza nascosta con il regime mussoliniano da parte di molti uomini onorati della sinistra italiana. Maria Teresa Giusti osserva: «Condanne, anche lievi, o una presa di posizione chiara e decisa, con l’allontanamento dalle carriere pubbliche, militari e politiche degli ufficiali compromessi con il fascismo, avrebbe indicato la presa di distanza dal passato regime per ricostruire la vita civile della nazione su basi completamente nuove».
Questo atteggiamento, ostacolato dal capo comunista, «avrebbe consentito all’Italia di vantare pretese sulla consegna dei criminali di guerra tedeschi, avrebbe “pacificato” gli italiani, stretti nella perenne contrapposizione fascismo-antifascismo e, soprattutto, avrebbe consentito di rendere giustizia anche alla maggioranza dei soldati e degli ufficiali italiani che, come Messe, non si erano macchiati di crimini e avevano sempre servito con rispetto e dedizione la Patria».
Vogliamo ricordare che il 25 aprile, una data che dovrebbe essere simbolo di libertà, democrazia e rifiuto della dittatura, valori in cui tutti gli italiani sono chiamati a riconoscersi, ma che purtroppo non è sempre riconosciuta perché la sinistra italiana si è appropriata della memoria e dei valori della Resistenza e della liberazione italiana, dalla quale tutti i protagonisti sono usciti vincitori. Con questa affermazione non voglio essere frainteso con il vecchio discorso che «chi non è con me è contro di me»: io sono antifascista e voglio esprimere il mio pensiero in uno Stato in cui vi è libertà di parola, poiché solamente in questo modo, con la storia raccontata in modo obiettivo, è possibile superare, senza dimenticare, un passato che continua a lacerare il nostro presente.
La storia ci insegna che tra le fila dei partigiani figuravano molti comunisti e socialisti, ma anche cattolici, monarchici, democristiani, liberali e a questi si devono unire i militari dei quali molto spesso ci si dimentica, vale a dire l’Esercito riorganizzato da Messe, che riuscì, nonostante la cattiva intenzione degli Alleati di usare i nostri soldati solo come “facchini” per il carico e lo scarico degli aerei da trasporto e delle navi Liberty, a formare il I Raggruppamento motorizzato, che nel novembre 1943 contava cinquemila uomini, confluito poi nel Corpo Italiano di Liberazione, composto da 25000 uomini, il quale raggruppava sei divisioni, cinque delle quali partecipavano all’offensiva per la Liberazione dell’Italia.
I giorni compresi tra l’8 ed il 16 dicembre 1943 costituiscono la settimana del “battesimo di sangue” per il rinato Esercito Italiano. I fanti e i bersaglieri del I Raggruppamento motorizzato combattono duramente e riescono dopo il secondo tentativo ad espugnare Monte Lungo, punto chiave della linea difensiva tedesca. I soldati italiani dimostrano agli Alleati il loro spirito di sacrificio e, grazie alle sollecitudini di Messe, li persuadono ad allargare la loro partecipazione nella Guerra di Liberazione. Nonostante le chiare convinzioni filomonarchiche e la sua strenua posizione anticomunista (quando questa parola coincideva con quella di stalinismo), la storia non può dire che egli non abbia contribuito a questa lotta di Liberazione (lo ha dichiarato il Dott. Scoccimarro, esponente di rilievo del P.C.I.) e deve ricordare gli uomini con le stellette che in quei venti mesi hanno versato un enorme tributo di sangue battendosi per i valori della Libertà e della Democrazia.
Davide Conti aggiunge che prima del referendum del 2 giugno 1946 furono organizzate delle strutture paramilitari, l’AIL ed i RAAM. Alla fine di maggio del 1946, il quotidiano l’Avanti denunciava «il patto di sangue tra il militarismo e le destre», individuano «in Messe la figura di riferimento negli ambienti monarchici nel Paese». Su richiesta del Ministro della Guerra in riferimento alle accuse mosse dal giornale socialista sulla preparazione di un’azione militare il generale mesagnese smentì con decisione.
«Signor ministro, ho letto quanto il giornale l’Avanti del 28 maggio ha pubblicato sotto il titolo Il patto di sangue tra il militarismo e le destre. Smentisco nella maniera più assoluta la mia partecipazione a riunioni o patti del genere. Cordiali e deferenti saluti. F.to Giovanni Messe».
L’attività clandestina di queste strutture accusate di volere creare disordini o, secondo gli informatori, di organizzare un colpo di stato, sarebbe consistita «nella lotta contro i socialcomunisti, nella intenzione di provocare campagne di stampa e incidenti atti a dimostrare che l’attuale regime repubblicano non ha ragione né forza di esistere, spianando la via ad un ritorno della monarchia o di una dittatura» di carattere militare. Messe viene ancora accusato di essere stato il comandante dell’organizzazione monarchica Raam, la quale è pronta a provocare «una insurrezione armata con l’aiuto dei partiti politici a lei legati. Al suo comando viene indicato il generale Giovanni Messe».
Messe non auspicava la dittatura militare ma si opponeva ad un governo comunista, auspicava un regime istituzionale favorevole al Patto Atlantico e non un governo che portasse l’Italia verso l’est europeo. Dopo l’esclusione delle sinistre dal governo, il pericolo rosso si acuisce ed il rischio di una rivolta armata di socialisti e comunisti diviene sempre più concreto, fino ad ipotizzare un colpo di mano locale dei comunisti nelle città operaie di Torino e di Milano.
La nascita del quarto governo De Gasperi senza il PCI ed il PSIUP rappresenta una rottura politica con il passato cosicché nessuno parla più di un colpo di stato da parte della destra e Conti riconosce che «il Fronte Anticomunista non ha più pregiudiziali contro il governo presieduto dallo stesso on. De Gasperi. E poiché da notizie certe il colpo di stato è ritenuto imminente […] il Fronte Anticomunista pone da questo momento le proprie forze attive…a completa disposizione del governo De Gasperi. Poco prima della deliberazione del Fronte Anticomunista, era stata l’AIL a ufficializzare, nella riunione nazionale dei suoi quadri il 22 giugno a Roma, “la condanna delle ideologie totalitarie di qualsiasi colore e tendenza”, proclamando il suo obiettivo di “consolidare la democrazia e le istituzioni democratiche”».
Contro le nuove rivelazioni, emerse «utilmente» in questi giorni, ci permettiamo alcune brevi riflessioni.
Secondo il parere di tanti storici italiani ed anglosassoni, Messe è stato un ottimo ufficiale durante la Grande Guerra e durante la Seconda Guerra mondiale, forse l’ufficiale italiano più abile e più preparato, il più leale verso i suoi soldati.
Dopo l’armistizio ricostruisce l’Esercito Italiano e lentamente lo fa diventare esercito cobelligerante, il quale contribuisce alla liberazione della penisola insieme alle forze partigiane di ogni fede politica ed alle forze politiche democratiche recentemente risorte.
Giovanni Messe era un militare apertamente filomonarchico ed anticomunista, il quale conosceva bene, come tanti suoi colleghi - i più lo hanno saputo molti anni dopo - quello che avveniva nei campi di concentramento della Russia sovietica ed anche per questo non accettava che l’Italia finisse sotto il giogo della Russia staliniana. La sua adesione al partito monarchico, così come quella di tanti altri ufficiali, non deve suscitare meraviglia, se si considera che la loro formazione e la loro vita militare si è compiuta all’ombra del Quirinale, non di Piazza Venezia. A questo effetto, basti ricordare le ultime parole pronunciate dal Generale Della Rovere nel film omonimo di Roberto Rossellini…
La sua adesione a questa o a quella organizzazione di natura politico-militare filomonarchica nei giorni del passaggio alla Repubblica democratica è stata dettata come una contromossa di tipo militare contro il timore, generalmente condiviso e molto reale, che alcune antiche formazioni politiche democratiche preparassero delle iniziative «poco democratiche» e del tutto illegittime contro l’indipendenza e l’integrità territoriale del nostro paese e contro l’assetto costituzionale della neonata Repubblica italiana, operando di intesa con i rappresentanti di una grande potenza europea intenzionata a fagocitare la metà dell’Europa liberata dal nazifascismo.
Come Davide Conte riconosce bene, contraddicendo un poco le sue intenzioni di apertura, le organizzazioni filomonarchiche si sono prontamente schierate con il nuovo regime democratico appena scongiurato l’imminenza del pericolo rosso e con le loro scelte hanno inibito una deriva militarista nel paese. I suoi rappresentanti, tra i quali e per primo il generale Messe, hanno negato ogni tentativo di ordire un colpo di mano paramilitare contro il nuovo ordinamento democratico della nazione.
Enzo Poci
La seconda parte sull’attività parlamentare di Giovanni Messe, senatore della Repubblica nella II legislatura e deputato nella III e IV, seguirà nei prossimi giorni.