Qualcuno potrebbe domandare quale senso abbia oggi l’interesse verso un passato così lontano.
Per noi italiani è necessario ricordare per un motivo molto semplice: fu allora che l’Italia scelse tra la libertà e la dittatura, tra l’uguaglianza dei diritti e l’ingiustizia. Fu allora che l’Italia divenne un paese democratico. La Resistenza fu un moto spontaneo di popolo realizzato in modo allargato, senza alcuna pretesa di egemonia da parte di nessuno, un patrimonio ed un retaggio di tutte le forze democratiche nel loro complesso. Fu la Resistenza dei nostri soldati a Cefalonia, in Corsica, nei Balcani e nella penisola italiana con la rinascita e la ricostruzione dell’Esercito italiano. Fu quella dei nostri soldati prigionieri nei lager nazisti che non si piegarono ad accettare di collaborare con i tedeschi. Fu la Resistenza della popolazione civile che aiutò soldati e partigiani a nascondersi nei cascinali ed infine, non meno importante, la Resistenza delle formazioni partigiane al nord, composta da molti comunisti, liberali-socialisti di Giustizia e Libertà e giovani di ogni fede politica, cattolici, socialisti, monarchici, liberali, e moltissimi giovani che volevano evitare la chiamata al servizio di leva imposta dal Bando Graziani del 19 febbraio 1944.
Tuttavia, sembra che discutere in termini convenzionali delle drammatiche vicende italiane accadute tra il 1943 e il 1945 senza essere investiti da ingiurie sia consentito solo a pochi e se altri ci provano vengono fulminati con le accuse di tradimento. Quella parte della sinistra che la usa non dovrebbe più adoperare questa parola perché rimanda ai tempi più bui dello stalinismo. Però purtroppo una parte di essa non riesce proprio a liberarsi di questo retaggio.
Chi caldeggia giustamente di ricordare quei nefasti avvenimenti dovrebbe coinvolgere tutte le forze democratiche del paese e festeggiare uniti, perché l’obiettivo comune è quello di evitare il ritorno del fascismo e della sua dittatura. La guerra civile esplosa in quel periodo storico non deve essere richiamata solamente con lo sventolio di bandiere e con i canti patriottici ma bisogna ricordare anche le stragi nazi-fasciste e le opinioni di quella parte della popolazione che accusa i partigiani di avere provocato alcune rappresaglie con i loro attacchi non avendo valutato l’utilità ed il vantaggio strategico che potevano derivare da una clamorosa azione di guerriglia.
Ricordare che alla violenza si è risposto con la violenza, l’odio ha generato altro odio, le stragi degli uni sono state seguite da quelle degli altri. Rammentare la strage di Porzus e le foibe nella parte nord orientale del nostro paese.
Io ho accettato di buon grado l’invito dell'ANPI di cantare insieme Bella Ciao alle ore 15 del 25 aprile. Questa canzone, come scrive Giampaolo Pansa, «anche a me piace, con quel motivo musicale agile e allegro che invita a cantarla. E poi mi aiuta a ricordare i tanti ragazzi per bene morti in una guerra spietata, da una parte e dall’altra. Anche di quella parte che Bella ciao non l’avrebbe mai cantata. E’ una canzone che non è mai stata dei partigiani come molti credono, però molto popolare». Infatti alcuni partigiani cantavano Avanti popolo alla riscossa, bandiera rossa trionferà ma anche Fischia il vento e infuria la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar a conquistare la rossa primavera dove sorge il sol dell’avvenire. Il «sol dell’avvenire» era l'astro che sorgeva dalla Russia sovietica, fonte di sogni e di promesse. Alcuni fuoriusciti, a differenza di coloro che andarono in Francia e in Lussemburgo come Santo Semeraro, Eugenio Santacesaria e Giovanni Poci, erano andati esuli nell'Unione Sovietica, vista come la terra promessa, l’Eden terrestre, ma chi di loro dissentiva …. non fece più ritorno.
In questo 25 aprile voglio ricordare un partigiano mesagnese morto a Milano il 26 aprile di 75 anni fa durante i giorni dell’insurrezione, caduto lottando contro i tedeschi. Il suo nome è ricordato da una lapide che si trova a Milano in via Bordoni, angolo via Viviani, dove ogni anno viene deposta una corona di alloro e di fiori. Il suo nome è ricordato anche da una vasta letteratura ed è inciso sulle colonne della Loggia dei Mercanti nei pressi del Duomo di Milano, tra i Martiri della Libertà.
Parlo di Federico Profilo, un giovane mesagnese che per formazione familiare e per le sue scelte personali condivise con altri giovani l’adesione alla Repubblica sociale, e queste scelte furono ispirate dal convincimento di fare il proprio dovere. Ma egli reputava indegne le leggi razziali, nonostante facesse parte di una compagnia repubblicana addetta alla protezione della sede edegli uomini del Partito nazional fascista repubblicano. Nella seconda metà dell’anno 1944, frequentando l’Università di Milano, dove era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, incontrava i giovani «rossi» e con loro consumava delle spaghettate e, mentre discutevano, egli si rendeva conto di quanto inutile fosse quella guerra civile.
Durante un colloquio telefonico avuto il 31 dicembre 2000 con il signor William Cremonini di Bologna, già sergente della Compagnia Bir el Gobi, questo è il nome del gruppo combattentistico al quale Federico (Fritz) apparteneva, ho avuto alcune notizie interessanti: «Federico Profilo già nel novembre del 1944 era in contatto con partigiani moderati, con il Bonfantini [Corrado Bonfantini, Comandante generale militare delle Brigate Matteotti] e con Carlo Silvestri [redattore del Corriere della sera, amico di Filippo Turati, fiero accusatore di Mussolini al tempo del delitto Matteotti, e per quella colpa aveva pagato con qualche mese di carcere ed il confino per parecchi anni. Ma all’epoca della Repubblica Sociale fu interlocutore e confidente di Mussolini]. Infatti allora il Profilo mi disse: vieni con me che te li presento, ma io non accettai. La stessa proposta mi venne fatta da un altro importante personaggio femminile».
Cremonini (da poco tempo mi interessavo di quel periodo storico) mi informava ancora che Mussolini stava creando un ponte con i socialisti moderati per un passaggio indolore dei poteri e che stava operando una trasformazione del partito, tanto che al Cremonini venne il dubbio se Profilo avesse ricevuto ordini in tale senso. Secondo il sergente Cremonini, Profilo sapeva già come sarebbe finita e preparava tutto per il trapasso del potere. Lo stesso mi ha raccontato che della compagnia Bir el Gobi facevano parte una cinquantina dei Giovani Fascisti reduci della guerra in Africa che erano nati nel 1922, ai quali si univano 130 o 140 altri giovani come Profilo. Altri pugliesi erano Gino Laghezza di Francavilla Fontana, Angelotti Francesco, Corrado De Candia, Enzo De Benedictis, barese, che diviene autista e scorta di Pavolini, Francesco Insalata, Michele Padolecchia, Gino Prudentino, Giuseppe Amico, Vito Schiavone e tanti altri. In tutto sono 180 componenti ripartiti in quattro plotoni. Il comandante della compagnia si chiamava Filippo ("Pippo") Ciolfi, nato nel 1921, ed era stato un moschettiere del Duce.
Dopo il 25 aprile 1945, Pippo Ciolfi era stato condannato dal Tribunale di Vercelli alla pena di morte commutata alla pena di 30 anni e dopo alcuni anni di latitanza amnistiato finalmente dalla legge Togliatti. In seguito sarà uno dei pionieri del fumetto popolare italiano, fondatore della Eura Editoriale e fino a qualche anno fa direttore responsabile delle riviste Lanciostory e Skorpio.
Da Camerati a Partigiani è il titolo di un articolo apparso sul quotidiano l’Unità di un 25 aprile. Lo scritto occupa tutta la pagina culturale del quotidiano ed è firmato da Piero Vivarelli (1927-2010), regista cinematografico. Dopo il 15 aprile 1945, questo repubblichino della X Mas diventa comunista, anzi egli si vantava di essere stato il primo italiano a ricevere la tessera del Partito Comunista Cubano. In una lunga intervista telefonica fatta il 19 gennaio 2001 mi raccontava che Mussolini era «morto anche “grazie” a Fritz [il nostro Federico Profilo]. Perché se la compagnia “Bir el Gobi” fosse stata intorno a Mussolini, egli sarebbe riuscito a consegnarsi agli alleati».
Ma proseguiamo con ordine.
Federico Profilo nasce a Mesagne il 28 settembre 1924 da Felice, avvocato e Consigliere Nazionale effettivo in qualità di rappresentante del Partito Nazionale Fascista nella Corporazione della Chimica, e da Lina Gioia. Frequenta la primina e nell’anno scolastico 1930-31 la seconda classe della scuola elementare con l’insegnante Eupremio Fortunato Sconosciuto. A scuola i giudizi che lo riguardano sono lodevoli, viene ammesso a frequentare il primo ginnasio nel Collegio Argento di Lecce conseguendo la maturità classica nella sessione estiva del 1941. Nel mese di settembre del 1941 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma, dove frequenta il primo ed il secondo anno. L’annuncio dell’Armistizio dell'8 settembre lo vede a Roma. Dopo alcuni giorni si presenta alla Caserma Cadorna per arruolarsi nei Reparti G.G.F.F., il cui comandante è appunto il tenente Filippo Ciolfi.
Nel mese di ottobre 1943, dopo la liberazione di Mussolini e la fondazione della Repubblica sociale, parte insieme al ragioniere Fabrizio Ciolfi (padre di Filippo), primo Amministratore generale della Repubblica sociale, a bordo di un’auto Alfa Romeo 9200, nel cui cofano sono stipati la cassaforte del partito e tanto materiale di cancelleria, per andare a Maderno sul lago di Garda dove la sede del Partito è stata stabilita presso l’albergo Milano. Come uomo scorta ed autista del Rag. Ciolfi, Federico viaggia ogni giorno con l’amministratore e si reca a Brescia, Venezia, Padova, Salò, Milano, Verona, Vicenza, Treviso e negli altri paesi intorno. In questi giorni spedisce lettere e cartoline a Lina, la sua fidanzata di Mesagne. Diventa scorta –autista del tenente Ciolfi, al quale insegna anche a guidare l’automobile. A Verona assiste alla prima assemblea del Partito e trova anche il tempo per fare alcuni esami all'Università di Bologna: Economia, Filosofia, Diritto bizantino ed agrario, Storia e dottrina del fascismo (evidentemente, lontano da Roma, in seguito a richiesta poteva sostenere gli esami presso l'Ateneo di Bologna). Ha spesso la nostalgia di casa, dei propri cari che sono dall'altra parte della linea. Nel mese di dicembre del 1943 chiede dei certificati all’Università di Roma per potersi trasferire all’Università di Milano, dove si iscrive al 3° anno accademico 1943-44 e poi l’anno successivo al 4° anno di corso, con numero di matricola 5263. Il 1944 trascorre come sempre in giro per le varie città e paesi con puntate anche all’Università di Milano.
Durante l’estate la Compagnia è utilizzata per un ciclo di operazioni anti partigiane in Piemonte. Nel mese di novembre del 1944 la sede del Partito viene trasferita da Maderno a Milano e dislocata a Villa Necchi in via Mozart: da una porticina del giardino della villa si poteva accedere alla Prefettura. Contemporaneamente si trasferisce anche la Compagnia che prende alloggio in un ampio stabile affiancato a Villa Necchi, sede dell’Istituto Nazionale dei Ciechi. A questo punto si intensificano la frequenza dell’Università da parte di Federico ed i suoi continui incontri con i giovani rossi.
Nel mese di ottobre 1944, Piero Vivarelli, componente della X Mas, riceve una licenza premio e si reca a Milano per trovare la madre, la quale in qualità di ufficiale del Servizio Ausiliario femminile è stata assegnata alla segreteria particolare di Alessandro Pavolini a Villa Necchi, e qui egli fa la conoscenza di Federico Profilo.
Il regista scrive nelle sue memorie Più buio a mezzanotte non viene: «…anche quei ragazzi sognavano di essere impiegati presto al fronte. Non per niente il reparto si stava addestrando e armando di tutto punto. Fu Fritz, allievo ufficiale in forza alla Bir el Gobi, con il quale avevo fatto subito amicizia, a chiarirmi che, secondo lui, le cose sarebbero andate diversamente. Un mattino, dopo che avevamo tutti e due faticosamente completato le pratiche per l’iscrizione all’ateneo milanese (Legge, manco a dirsi), andammo insieme a Piazza San Babila dove, al Bar Pedrinis, gestito da uno svizzero, si poteva gustare un ottimo aperitivo, un cocktail chiamato Gin Rosa e chissà perché dal momento che di gin non ce n’era neanche un goccio.
Fritz era un singolare tipo di giovane intellettuale fascista. Lontano parente di Achille Starace [al quale era legato da un rapporto di comparaggio], discusso segretario del PNF negli anni d’oro del consenso, veniva dalla Puglia e, al momento del tracollo, dopo l'8 settembre, era fuggito al nord per continuare una guerra alla quale, come decine di migliaia di altri ragazzi, non aveva mai partecipato.
Prima di entrare nelle file della Bir el Gobi, aveva “girovagato” per diversi reparti, sempre in cerca del combattimento contro l’invasore [in questi mesi l’invasore erano gli alleati]. Ora però tutto il suo grande entusiasmo iniziale pareva alquanto mitigato. Anche per lui, illusioni e ideali si stavano dissolvendo come nebbia al sole, fugati da una realtà che non poteva fare a meno di vedere. In Università, Fritz aveva conosciuto e cominciato a frequentare ragazzi che non avevano fatto la nostra scelta, ma con i quali non poteva fare a meno di sentirsi spesso in sintonia… però ero sempre convinto che il combattimento contro gli invasori fosse la panacea di tutti i mali e dissi a Fritz: "fra poco andrete al fronte. E’ questo che conta"…
“Con lui abbiamo raggiunto un certo accordo. Perché vuoi continuare a fare il Don Chisciotte in una causa che è persa perché sbagliata? Eppure dici di capire in quale tragedia il fascismo abbia trascinato l’Italia…”.
“Il fascismo era una tragedia anche senza la guerra. Questo è il punto che gli italiani si vergognano di capire”. Detti un cazzotto sul tavolo che fece traballare bicchieri e spaghetti. Il filosofo [uno degli universitari “rossi”], da accorto politico, riprese subito il filo del suo discorso. “Bravo. Hai capito un sacco di cose, però ti ostini a stare dalla parte sbagliata…”».
Alla fine di aprile Vivarelli apprende dalla radio la notizia che Mussolini e Pavolini sono stati passati per le armi e pensa alla Bir el Gobi. «Dovevano essere loro a proteggere Mussolini. Erano armati fino ai denti e ben addestrati. Come potevano essere stati annientati dai partigiani? Avrei saputo qualche tempo dopo che la Bir el Gobi grazie alle trattative di Fritz se ne era fottuta di Mussolini, consegnandosi ai partigiani, e che lo stesso Fritz, accettando di andare a sparare contro i tedeschi, era stato uno dei Caduti per la Liberazione di Milano».
Piero Vivarelli nel suo articolo comparso su l’Unità scrive: «a questo punto mi è d’obbligo ricordare che non tutti quei giovani che scelsero di combattere dalla parte sbagliata, con l’evolversi degli avvenimenti e vivendo la storia dal suo interno, fossero rimasti convinti di aver scelto bene. Molti di noi sono diventati antifascisti e comunisti proprio perché hanno visto con i loro occhi una realtà… Ciò che conta è che Fritz Profili, il giovane volontario della Bir el Gobi, era uno di questi giovani… Ricordo che un giorno, verso la fine di gennaio [1945], Fritz mi propose di passare direttamente con un raggruppamento partigiano che ci avrebbe accolto a braccia aperte. Non mi parve il caso. Anche lui non ne fece niente. Intanto però, il suo antifascismo guardandosi attorno cresceva. Mi disse che ne aveva parlato con il capitano Ciolfi, anche lui titubante».
Il pomeriggio del 25 aprile per iniziativa di Federico, gli ufficiali, i sotto ufficiali e i graduati concordano di consegnarsi al raggruppamento autonomo Diana facente parte delle Brigate Matteotti e che si trovava alloggiata presso una scuola elementare in via Pastrengo. Caricati armi e tutto ciò che rimaneva della compagnia, tra 60 e 80 elementi, su due o tre camion, un suo commilitone che ho intervistato non ricordava bene, e si diressero lentamente per le vie di Milano presso la sede partigiana. Eppure Federico se avesse voluto salvarsi avrebbe potuto fare già prima in modo egoista questo passaggio, ma il suo commilitone tra le lacrime mi diceva “E’ stato Federico che per salvare tutti i suoi compagni li fa arrendere alla Brigata Diana”.
Il 26 aprile di buon mattino, il Raggruppamento Diana, si porta verso l’allora piazza Fiume, oggi Piazza della Repubblica, dove sorge ancora un grattacielo, in quel tempo sede del Comando piazza tedesco e della Gendarmeria tedesca. Vanno per catturare i tedeschi che lo presiedono. Federico si posiziona in via Bordoni angolo via Viviani, vicino vi sono le macerie della Breda. Un giovane si trova a sparare con una mitragliatrice Breda verso il grattacielo, ma la sua arma si inceppa, Federico si distrae per raggiungere l’amico e tutti e due vengono uccisi. In questa operazione muoiono quattro partigiani e il loro funerale viene celebrato l'1 maggio 1945, nella stessa data si tengono i funerali dei 36 partigiani caduti nelle giornate dell’insurrezione di Milano.
Le bare dei quattro deceduti vengono portate con una immensa partecipazione di folla attraverso le vie milanesi del quartiere Garibaldi: il corteo parte da via Pastrengo e arriva alla Chiesa di Santa Maria della Fontana, dove sono celebrate le esequie. Federico fu sepolto insieme con gli altri nel Campo della Gloria del Cimitero Musocco di Milano, ma dopo alcuni anni i genitori preferirono far traslare la salma nella tomba di famiglia del cimitero di Mesagne.
Gloria ed onore a Federico Profilo, un patriota che ha amato sempre il suo paese e con il coraggio dello spirito critico lo ha riscattato dagli orrori dell'occupazione totalitaria.
A Federico fu attribuita la qualifica di partigiano con brevetto n° 2597 in data 11 novembre 1946 e gli è stato conferito il diploma Alexander n° 230650.
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Nella prima foto
Milano, via Viviani, 12-angolo via Bordoni. Il luogo dove cadde Federico Profilo.
Il testo della lapide è il seguente:
il 25-4-1945
CADDERO PER LA LIBERTA'
PROFILI FEDERICO FRITZ
RIGHETTO GIULIANO GIUGI
MENDEZ GIACOMO
SOLARI CELSO
IGNOTO
GLI ABITANTI DEL RIONE
E I COMPAGNI MEMORI POSERO
26-4-1946
E' opportuno precisare che Solari Celso muore il 26 aprile in "corso 22 marzo 1945", come gli altri quattro elencati che muoiono in quel luogo nello stesso giorno.