Allora Govoni – che ha meritato un posto nel «Dizionario biografico degli italiani» ed anche nella «Letteratura italiana del Novecento» curata da Alberto Asor Rosa per Einaudi – aveva 31 anni, essendo nato nel Ferrarese il 29 ottobre 1884 ed aveva già pubblicato «Le fiale» e le «Armonie in grigio et in silenzio» (1903), «Fuochi d’artificio» (1905) e «Poesie elettriche» (1911), manifestando inizialmente una predilezione per i temi crepuscolari, anche se – come bene osservò Salvatore Guglielmino – «farà frequentemente posto a temi e suggestioni derivanti dalla vita dei campi e paesistici, ma si caratterizzerà per una straordinaria capacità di evocatore d’immagini».
E nella raccolta custodita della nostra «Granafei», il percorso artistico della selezione parte dall’«Armonia in grigio et in silenzio» (1903) dove vi sono i noti versi del «Crepuscolo sul Po»: «Come un frutto maturo cade il giorno./ Dal ponte che cavalca il fiume suona il corno.// Con uno strepito di gran cascata/ un treno fora il vuoto su la via ferrata//…», versi che evocano, appunto «la freschezza inesauribile del cacciatore d’immagini».
Carlo Bo individuò nella «stupefacente natura di scrittore» del nostro autore il «punto determinante» nella poesia govoniana: «una natura talmente ricca e sovrabbondante da impedire una classificazione esatta o – caso mai – portata piuttosto a sollecitare una continua collusione con le ragioni del tempo» e questo ha portato a dire che «malgrado ne venga riconosciuta abitualmente l'importanza nel panorama delle lettere italiane della prima metà del Novecento, il Govoni fatica a trovare opportuna collocazione: non abbastanza per figurare fra gli elenchi dei "maggiori" tout court, troppo importante (o ingombrante), viceversa, per farne semplicemente un minore, se pure di lusso». Di lui si è parlato di un’«esperienza poetica, sempre sospesa "fra"», dove i due termini di questo stare sospesi sono di volta in volta Pascoli e D’Annunzio, i crepuscolari e i futuristi, i parnassiani e i simbolisti, gli avanguardisti ed i preermetici. Riccardo D’Anna, nella sua ben strutturata voce per il «Dizionario Biografico degli Italiani» ricorda che Portelli lo bollò come «poeta fascista». È altrettanto noto, tuttavia, che il 1° settembre 43, a pochi giorni dalle note vicende che determinarono le sorti dell’attuale nostra esperienza nazionale, egli, scrivendo a Papini, al quale era legato da lunghissima e sincera amicizia, riconobbe «apertamente l'errore di aver creduto, per un certo periodo, in Mussolini, e di avergli reso “poetici omaggi”». Ma D’Anna osserva ancora: «a prescindere dall'ambigua posizione politica assunta dal Govoni, dovettero, comunque, esserci non poche discordanze con il primogenito Aladino, militante della Resistenza romana, che, nel 1944, trovò la morte nell'eccidio delle Fosse Ardeatine». E conclude: «Una commossa addolorata rievocazione dell'episodio si ha in La fossa carnaia ardeatina (Roma 1944) e in Aladino. Lamento per mio figlio morto (Milano 1946). Certo è che, biograficamente, per il Govoni la morte del figlio rappresentò “il culmine tragico di una vicenda di delusioni e sconfitte” sia sul piano pubblico, sia sul piano della tragedia privata».
Da quel «Lamento» leggiamo insieme: «Quanto poté durare il tuo martirio/ nella sinistre Fosse Ardeatine/ per mano del carnerfice tedesco/ ubriaco di ferocia e di viltà?/ Come il lungo calvario di Gesù/ seviziato, deriso e sputacchiato/ nel suo ansante sudor di sangue e d’anima/ fosse durato, o un’ora o un sol minuto;/ fu un tale peso pel tuo cuore umano,/ che avrei sofferto, o figlio, e conosciuto/ tutto il dolor del mondo in quel minuto».
Gugliemino osservò: «Dalla tragica esperienza nasce una poesia diversa». All’epoca della pubblicazione custodita nella nostra biblioteca «Granafei» non immaginava, Govoni, cosa gli avrebbe riservato la vita e come le vicende della storia avrebbero sconvolto la sua esistenza e quella di chissà quanta gente: sarebbe morto nel 1965, ma cinquant’anni prima, proprio inserendoli nella raccolta che ci occupa, avrebbe pubblicato «L’inaugurazione della primavera» e, ne «La primavera del mare» avrebbe scritto: «Anche il mare ha la sua primavera:/ rondini all’alba, lucciole alla sera».