#iononlaspengo8 “Colei che non si deve amare” di Guido Da Verona
Sommando le tirature delle edizioni del romanzo con l’autore in vita, si registrò un numero assolutamente elevato per quell’epoca – centotrentamila copie – con trentaseimila in una sola edizione e, come sempre, con commenti ampiamente “divisivi”. Ricordate Guido Da Verona (1881-1939), lo scrittore alla moda nei primi decenni del Novecento, il “fascista ebreo”, del quale si è parlato qualche incontro addietro, quando si scrisse che, nel 1920, vide la sua ottava edizione “L’amore che torna”? Ebbene, nello stesso anno vide la luce la 8ª e 9ª edizione di «Colei che non si deve amare», romanzo pubblicato per la prima volta nel 1911 (Baldini e Castoldi) e che in 9 anni conobbe altrettante edizioni, con altre due con l’autore in vita, 4 fino al 1960.
Il romanzo quindi fu inserito nel 2009 nella collana sui “Modelli di narrativa di consumo” dall’Editore Pellegrini, mentre si ha notizia, senza data, di un’edizione ungherese, con la milanese Sea che nel 1967, pubblicando i «Classici italiani dell'erotismo», in 157 pagine e con illustrazioni, raccolse stralci di due romanzi di Guido Da Verona: «Colei che non si deve amare» e «Sciogli la treccia, Maria Maddalena», nonché «Le sorelline» e «Le adolescenti» di Mario Mariani. Giova ricordare che la copia conservata nella nostra biblioteca civica “Granafei”, della quale parliamo, è una 9ª edizione (dal 131° al 180° migliaio), pubblicata a Firenze per Bemporad & Figlio Editori (coll. III H 087).
«Guido tocca un altro argomento tanto classico quanto scabroso: l’incesto», hanno scritto gli studiosi recenti, ricordando come «Arrigo del Ferrante, rampollo d’un negoziante di occhiali, è un giovane scapestrato che non ha voglia di lavorare. Ingravida la giovane figlia d’un farmacista il cui negozio è situato accanto a quello del padre, la fa abortire e promette di sposarla ma quando si sarà fatta una posizione. Nel frattempo – prosegue la trama - s’imbarca con un gruppo di perditempo e passa da un’amante all’altra fino a quando gli capita una cantante russa che lo introduce nella buona società.
Disattendendo la promessa fatta, il giovane informa il farmacista che non sposerà mai la figliola». E non finisce qui, perché Arrigo, «un giorno, tornato a casa per rivedere la famiglia, s’accorge di provare attrazione per la seconda delle sue sorelle, Loretta, “che era in camicia di sera, con i capelli e i riccioli e le unghie pulite, soave di cipria e portava scarpette a punta, scollate sotto la caviglia estremamente sottile”. Conoscendola meglio, il giovanotto scopre che la ragazza gli assomiglia e se ne innamora ricambiato. Loretta, che ha già un ammiratore nel conte Giuliani, abbandona la famiglia e va a vivere con il congiunto che adesso è l’amante d’una ricca borghese. I due giungono sovente “sull’orlo del peccato senza però commetterlo”». «Cucina grossolana, sfacciata e pepata», la definì Bacchelli, con Tommaso Scappaticci (Scrittori al bivio), che scrive testualmente: «Guido imbocca decisamente la via del possibile scandalo letterario, impostando la vicenda su un motivo, quello della contrapposizione tra perbenismo e sessualità, che, come nel caso dell’incesto in Colei che non si deve amare, aveva dimostrato di incontrare il consenso di un pubblico ghiotto di sensazioni forti», notando in Arrigo del Ferrante «una spuria ossatura dannunziana».
Del resto, il tema dell’incesto non è nuovo in letteratura e «nella sua disinvolta manipolazione di disparati stilemi letterari – è stato osservato -, Da Verona mescola motivi desunti da opere antiche e recenti, di intrattenimento o di impegno problematico, per cui non esita a riprendere anche i meccanismi del romanzo d’appendice, per la loro funzionalità ad agevolare il coinvolgimento del lettore e a rendere più stuzzicante la tematica erotico-passionale con gli espedienti del colpo di scena, delle improbabili combinazioni, dell’improvvisa rottura della logica concatenazione dei fatti». Ad onor del vero, però, in questo romanzo viene riconosciuto anche «colore espressivo» con «interessanti pagine» e una qualità formale che spinge editore ed autore ad iscriverlo al concorso Rovetta.
Resta la capacità di descrivere quella eventualità sempre prossima al colpo di scena, «ma che svanisce – però – con un colpo di teatro nelle ultime pagine». Anche questo romanzo, come quello precedente, apparteneva alla “Biblioteca Argentieri (serie A, Numero 416)”, famiglia della borghesia mesagnese che, in quegli anni del dopoguerra vedeva anche in queste espressioni, definite di “letteratura d’armistizio”, vedeva stabilirsi nuovi modi di lettura della realtà ed un mutare di capisaldi che, criticabili o no, entravano nelle considerazioni della vita quotidiana e anche su di essi si andavano coagulando forme di consenso in quella che andava affermandosi come società di massa. Anche sotto questo versante, i romanzi di Guido Da Verona offrono materia di riflessione.