il prossimo 31 luglio lo spettacolo che prende il nome da una città etiope - “Debre Berhan, una montagna di luce e speranza” - invita a qualche riflessione. Allestita dalla compagnia teatrale Atto Terzo in nome e per conto della Fondazione Anna Milanese e organizzato dalla romana Mito Group, la piece, una felice ibridazione tra la prosa, la poesia ed il musical, ha consumato il suo esordio per pochi intimi sul palcoscenico del teatro comunale di Mesagne lo scorso 18 giugno, una sorta di prova generale prima del debutto dinanzi ad un pubblico più largo ed in attesa di un tour che la porterà in giro per l'Italia. In occasione di quella prima serata portai con me una spettatrice piuttosto ostica, mia figlia Giulia: 6 anni, bambina sensibile ma costituzionalmente impaziente, pressoché incapace di restare ferma su una poltroncina per un lasso di tempo superiore a 5 minuti. Esperimento ad alto tasso di rischio che tuttavia superò qualunque aspettativa. Non soltanto stette seduta al suo posto ma ne restò colpita – a tratti rapita -, preda di un coinvolgimento emotivo prima che estetico che non avrei potuto prefigurare. Concludendo poi la serata sul palco, ballando nel bel mezzo della sigla finale insieme agli attori e ballerini protagonisti, in un tripudio di uguaglianza che aveva annullato le differenze tra salute e malattia, tra abilità e disabilità. “Debre Berhan” è una scommessa anzitutto per la comunità mesagnese, perché rappresenta e rilancia in chiave immaginifica la dimensione intima di Anna Milanese, scomparsa giovanissima quasi 36 anni fa ed assurta a simbolo di bellezza morale e spirituale grazie all'impegno della sua famiglia. E' in suo nome infatti che sono state realizzate campagne di assistenza ed emancipazione in alcuni villaggi africani, ispirandosi all'afflato umanitario vergato in precoci diari di bambina. Così oggi, a tanti decenni di distanza, la scommessa ribolle tutta nel principio di contaminazione, nella disponibilità dei concittadini di Anna ad assistere alla rappresentazione, a coglierne gli spunti solidaristici, a farsene alfieri. La causa, inutile dirlo, è nobilissima, del genere vantaggioso: a fronte di un contributo volontario simbolico (5, 10 euro?), raccolta fondi necessaria per la realizzazione dei piani di quella fanciulla 13enne, è previsto un arricchimento umano di quelli che fa riposare col sorriso per qualche tempo. E poi, in questo scorcio di epoca così tanto arido, la beneficenza non deve essere neppure considerata una opzione. Occorre capire che al far del bene non ci sono alternative, è quella l'unica preziosa occasione di salvezza.
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