al referendum costituzionale. Il comitato, libero da qualsivoglia logica di partito, intende, nelle prossime settimane contribuire con proprie iniziative ed interventi a far sì che il 4 dicembre i Mesagnesi esprimano, con un secco NO, la loro contraddittorietà ad una riforma costituzionale che sottrae ancora maggiori spazi di democrazia ai cittadini impedendo loro, tra le tante cose, di poter eleggere i futuri senatori del nuovo senato voluto dalla riforma Renzi-Boschi. Hanno aderito al comitato, aperto a chiunque voglia fornire il proprio contributo, Lorenzo Mingolla, Maria Giovanna Molfetta, Mariella Vinci, Mario Montanaro, Maria De Guido, Fabrizio Dipietrangelo, Fabrizio De Leo, Francesco Montanaro, Carmela Rita Facecchia e Vincenzo Montanaro.
Di seguito alcune delle tante ragioni a sostegno del NO.
Le ragioni del NO alla riforma Renzi-Boschi Parafrasando quanto andavano sostenendo i pensatori del settecento siamo convinti che le “buone costituzioni vanno scritte per i cittadini e non per un gruppo ristretto di eletti”. Per questa ragione giudichiamo negativamente una riforma che, invece di garantire agli Italiani, maggiori spazi di partecipazione e protagonismo, concentra il potere nelle mani del “Presidente del Consiglio, il suo Governo la sua maggioranza”. Infatti, la legge di riforma costituzionale, nel mentre disattende i dichiarati obiettivi di semplificazione, comprime, allo stesso tempo, gli spazi di democrazia e i poteri delle Regioni a statuto ordinario. Quanto alla tanto sbandierata semplificazione, la riforma sostituisce il vituperato “bicameralismo perfetto” con un bicameralismo “bizantino” e, a tratti, kafkiano. Da un lato, la doppia approvazione conforme rimane in vigore per un numero consistente di materie. Dall’altro, la riforma prevede una serie di procedimenti legislativi in cui è possibile o addirittura necessaria una deliberazione del Senato. In estrema sintesi, il nuovo articolo 70 della Costituzione, lungi dal ridurre in maniera sostanziale i tempi del procedimento legislativo, porterà molto probabilmente ad un incremento del contenzioso costituzionale. In particolare, è agevolmente prevedibile che la definizione in concreto delle materie rientranti nei vari procedimenti legislativi innescherà continui contrasti fra le Camere. Desta, inoltre, ancora più preoccupazione la composizione del Senato. L’elezione dei senatori diverrebbe di fatto una prerogativa dei Consigli Regionali, i quali poi dovrebbero esercitarla tenendo conto “dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio” e comunque “con metodo proporzionale”. Anche in questo caso i “riformatori” si sono dimostrati incapaci di sviluppare un disegno chiaro, coerente e funzionale. Anzitutto, i criteri individuati dal nuovo articolo 57 della Costituzione, che peraltro non si applicano alla nomina dei 21 sindaci-senatori, sono difficilmente conciliabili con le leggi elettorali regionali. Queste ultime, infatti, prevedono premi di maggioranza piuttosto sostanziosi che impediscono una totale corrispondenza fra i voti espressi dall’elettorato e la composizione di ciascun consiglio regionale. A ciò si aggiunga che sarà impossibile rispettare il metodo proporzionale nell’elezione dei senatori di regioni che hanno diritto a due seggi. Pertanto, è molto probabile che l’elezione del senato post-riforma assomigli molto a quella indiretta dei Presidenti delle province. Insomma, un procedimento opaco su cui gli elettori esercitano un controllo soltanto apparente. Resta, infine, l’eliminazione delle competenze concorrenti fra Stato e Regioni e l’introduzione della cd. “clausola di supremazia”, per cui, su iniziativa del Governo, lo Stato può adottare leggi anche in materie riservate alla competenza regionale, ove lo richiedano non meglio determinate ragioni di unità o tutela dell’interesse nazionale. In questo modo, la riforma Renzi-Boschi opera un accentramento che solleva particolari perplessità proprio a causa del complessivo ridimensionamento del ruolo del Parlamento. Inoltre, neppure la scelta operata in questo campo è scevra da criticità applicative e rischia di alimentare conflitti istituzionali, in quanto lo Stato dovrà comunque dettare “norma generali e comuni” in molte delle materie espunte dall’area della competenza concorrente. In conclusione, il peccato più grave di questa riforma, anche grazie all’interazione con una legge elettorale ultra-maggioritaria, è quello di rendere più lontane e meno controllabili le istituzioni repubblicane. Guardando oltre la coltre di fumo degli slogan dal sapore vagamente populista scanditi dal fronte del “si”, emerge, infatti, la malcelata volontà di voler limitare il più possibile la voce dei cittadini. Votiamo “NO” non per una miope diffidenza verso il cambiamento in quanto tale o per una preconcetta avversione verso Renzi e il suo governo, ma perché riteniamo che questa riforma indebolisca la legittimazione democratica delle nostre istituzioni e, nel lungo termine, potrebbe compromettere la stabilità e la pace sociale del nostro Paese.
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