La Storia è una disciplina complessa, spesso la si racconta male, anzi spesso non la si conosce o la si racconta a proprio beneficio. Bisogna evitare un uso e un abuso improprio della Storia che sempre delegittimano la verità.
George Orwell, scrittore e saggista combattente per la libertà, nato in India nel 1903, dopo avere studiato in vari collegi inglesi si arruolò come poliziotto in Birmania. Egli vide nel colonialismo europeo una intollerabile oppressione e cominciò a maturare sentimenti rivoluzionari. Nel 1936 si unì alle Brigate internazionali di ispirazione comunista nella lotta contro Francisco Franco durante la guerra civile spagnola. In quei luoghi si rese conto di persona che cosa fosse il comunismo, che eliminava spietatamente i nemici e soprattutto chi combatteva dalla stessa parte ma con un pensiero diverso.
Nel 1945 pubblicò il suo primo capolavoro, “La fattoria degli animali”, dove tutte le bestie sono uguali ma alcune sono più uguali delle altre. Era la prima satira contro Stalin e la sua dittatura. Non tutti capirono che con la fattoria degli animali si rappresentava la tragedia di un popolo avvilito dal più ottuso bolscevismo. Nei suoi scritti successivi il suo bersaglio più evidente è la tirannide sovietica con le sue purghe dell’anteguerra e i processi famigerati degli anni Trenta del secolo scorso contro gli ufficiali scomodi dell’Armata rossa e contro coloro che manifestavano il minimo dissenso. Non dimentico un film di “Rai storia” quando un ufficiale dell’Armata rossa indottrinava una compagnia di soldati con tantissimi hurrà a Stalin: finita la ripetizione degli hurrà (era il 1939, l'anno dell’accordo segreto tra Hitler e Stalin per l’invasione e per la spartizione della Polonia), l’ufficiale domandò ad un soldato chi fosse il nemico dell’Unione Sovietica ed egli rispose il nazista Hitler. Udita questa risposta, l’ufficiale si arrabbiò, tolse le mostrine al soldato e lo mandò in un gulag.
Questo regime è crollato nel 1989, ma Orwell lo aveva compreso molti anni prima!
Perché questo lungo preambolo. Sono persuaso che la polemica che si protrae da più di cinquant’anni, se dedicare una via o erigere un busto a Messe nella sua città natale, sia dovuta prima di tutto al fatto che il generale Messe era un militare apertamente filomonarchico ed anticomunista, il quale conosceva bene, i più lo hanno conosciuto molti anni dopo, gli orrori che erano perpetuati nei campi di concentramento della Russia sovietica ed anche per questo non accettava che l’Italia finisse sotto il giogo staliniano dei primi anni Cinquanta.
Amedeo Osti Guerrazzi scrive a pag. 302 del suo Noi non sappiamo odiare, l’esercito italiano tra fascismo e democrazia:
«Messe … fu eletto senatore nel 1953 per il partito della Democrazia Cristiana. Durante la sua attività parlamentare Messe continuò a battersi per una maggiore integrazione europea, soprattutto dal punto di vista militare, allo scopo di respingere la minaccia del “blocco sovietico”. In particolare nel 1955, durante la discussione sul CED (la Comunità europea di difesa, una sorta di esercito europeo), Messe si schierò nettamente a favore dell’adesione italiana a questo strumento proprio per fermare il pericolo comunista. Il comunismo, per Messe, non era infatti altro che una “cospirazione mondiale ordita dalla Russia per la conquista del dominio universale a mezzo di organizzazioni rivoluzionarie decise a conquistare il potere, senza lasciarsi trattenere da nessuno scrupolo”. L’avversione di Messe nei confronti dell’Unione Sovietica era stata inoltre accentuata dalle tragiche vicende dei prigionieri di guerra italiani che, all’inizio degli anni Cinquanta, erano ancora in mano dei sovietici. Molti di questi dovevano le loro sofferenze, tra l’altro, ai “fuoriusciti”, cioè a quegli antifascisti italiani che avevano collaborato con i russi durante la Seconda guerra mondiale».
Lasciamo la nostra ultima riflessione alle parole rivolte dal generale mesagnese al suo paese e pronunciate nel mese di luglio del 1943: «Noi siamo generosi, noi poi in fondo non sappiamo odiare. La nostra anima è fatta così, perciò io ho sempre sostenuto che noi non siamo un popolo guerriero, un popolo guerriero odia».