Presentazione del libro di Maria Errico: "L’ultimo Maresciallo d’Italia Giovanni Messe"

Enzo Poci, Enzo Poci, Società di Storia Patria per la Puglia Aprile 17, 2023 1694

Lo scorso venerdì 14, la Galleria Comunale del Castello Aragonese di Taranto, sede della Pro Loco dell’antica città ionica, ha ospitato la serata di presentazione del nuovo volume di Maria Errico, poetessa e scrittrice mesagnese, dedicato al conterraneo Giovanni Messe, dal titolo fatidico L’ultimo Maresciallo d’Italia. Giovanni Messe. L’evento è stato curato dal medesimo editore, Domenico Sellitti, storico appassionato, ed in questa manifestazione vivace e molto seguita ho potuto leggere come relazione un breve articolo, rivisitato, che era stato in parte già ospitato da Tranquillino Cavallo alcuni anni or sono e che oggi mi permetto di proporre nuovamente nella sua forma aggiornata nelle pagine del suo sito telematico.

L’impegno politico del Maresciallo d’Italia Giovanni Messe.messe_con_gli_arditi_penne_nere.jpg

Voglio ringraziare la dottoressa Maria Errico per questo nuovo volumetto da lei scritto in maniera agile e bene informata, che arricchisce la ben copiosa letteratura storicistica sull’ultimo Maresciallo d’Italia Giovanni Messe, coerente e costante nel raccontare la vita eroica del mio concittadino, arrivando alla conclusione unanime che egli è stato il migliore dei generali italiani sui campi di battaglia della Seconda guerra mondiale, meritando l’apprezzamento anche del suo antagonista in Tunisia, il generale inglese Bernard Montgomery.

Vi è stato qualcuno che con spirito fazioso ed ingiustamente lo ha denigrato, utilizzando documenti senza vagliare la loro attendibilità e la loro dubbia provenienza, e che si è elevato a depositario di verità inconfutabili per demonizzare il Maresciallo quale stratega occulto di manovre contro la democrazia attraverso l’accusa di essere un fascista. Messe è stato un ufficiale che ha iniziato ed ha concluso la sua carriera attiva durante i decenni monarchici del nostro paese, nello specifico al servizio continuo di S.M. Vittorio Emanuele III, per cui non deve fare meraviglia (e non deve fare specie) che egli sia rimasto apertamente filomonarchico e solidamente anticomunista (quando questa parola coincideva con il temuto stalinismo). L’ardito mesagnese conosceva bene, come altri suoi colleghi - i più lo avrebbero saputo molti anni più tardi - gli orrori che erano perpetrati nei campi di prigionia sovietici e questo aggravava nell’animo suo il timore che l’Italia potesse finire sotto il giogo della Russia staliniana.

In questa colta sede intendo dedicare solamente un inciso al Messe militare perché a dispetto di pochi, e questi dicano quello che vogliono, la sua vita militare è stata chiaramente inoppugnabile e irreprensibile verso i suoi soldati e nella conduzione dell’ostilità nel rispetto assoluto delle regole e degli usi della guerra contro le atrocità che esulano dai momenti delle sue necessità più rigide. Privo di natali principeschi o benestanti, la sua ascesa ai gradi più alti della gerarchia militare, corredata dalle tante medaglie e dalle varie onorificenze, è stata conquistata negli orrori dei campi di battaglia, per i soli meriti di guerra, lontano dalla corte del regime in carica (o del suo Stato Maggiore generale), con disciplina ferrea ed onestà, studio continuo, ardimento, spirito di iniziativa e con abilità strategica e di manovra capace di fare tesoro prezioso dei tragici errori compiuti e degli scacchi subiti. Il suo coraggio e la sua nota determinazione nella condotta delle operazioni erano temperati da un giudizio equilibrato e dal sentimento di umanità.messe_giovanni_volantino_Uil.png

I primi anni della sua vita militare, esordita con la comune gavetta di un soldato meridionale, hanno impresso nella sua indole i caratteri indelebili degli ideali più profondi dell’uomo con l’uniforme, onore e rispetto della propria persona, fedeltà indiscussa ai valori della famiglia (e pari affetto verso la sua famiglia), alla persona del Re quale espressione istituzionale dello stato e della patria, mentre un coinvolto cameratismo verso i suoi sottoposti manteneva in lui sempre vivida l’attenzione e la premura per la loro salvaguardia e per il loro decoro di soldati e di uomini.

A questo proposito mi permetto di leggere un breve ma duro scambio epistolare intercorso tra il Maresciallo Giovanni Messe ed il parigrado Pietro Badoglio. Questi, venuto a sapere dei giudizi poco lusinghieri espressi dal collega in Senato in merito alla conduzione della guerra e all’impreparazione delle forze armate italiane, si lamentava con questa missiva del 29 giugno 1954: «Signor Maresciallo, mi viene riferito che Ella ha avuto al Senato parole gravi verso di me addossandomi la responsabilità della sconfitta. Le dichiaro Signor Maresciallo, che non riconosco in Lei né l’autorità né tanto meno la capacità e la competenza di esprimere un giudizio qualsiasi a mio riguardo».messe_varie_foto_insieme.JPG

Il 7 luglio, otto giorni più tardi, il Maresciallo Messe rispondeva con una lettera, inviata per raccomandata, alquanto articolata e molto pesante, secondo il suo schietto costume. La scritta autografa da parte del destinatario presente sulla busta - “Si restituisce intatta al mittente. Pietro Badoglio” – lascia supporre che essa sia rimasta intonza e mai aperta. La missiva è stata prodotta per intero da Junio Tirone nel suo volume da poco edito, Giovanni Messe, un Maresciallo d’Italia nel Parlamento della Repubblica, ed è custodita nell’Archivio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito.messe_giovanni_lettera_di_messe_a_badoglio.jpg

«Lei, maresciallo d’Italia più anziano, già Capo di Stato Maggiore Generale, e, successivamente, anche Capo del Governo, che per tanti anni ha lasciato insolentire, diffamare e infangare il nostro esercito, senza mai levare una parola di protesta, mentre io lottavo per arginare tanto furore iconoclastico di distruzione di ogni valore spirituale e morale; lei, che ha lasciato che all’Esercito fossero addossate colpe non sue, e che è rimasto indifferente e passivo quando ingiustamente e disonestamente la canéa di alcuni partiti additava all’Esercito e i suoi comandanti come i maggiori responsabili della sconfitta e della tragedia dell’8 settembre. Lei che non trovò il modo di far sentire la sua voce contro le offese e le ingiurie dell’on. Togliatti, quando chiamò cretini e irresponsabili tutti coloro che avevano fatto parte (uso la stessa definizione del Togliatti) “del gruppo del quadro superiore dell’Esercito” (forse le bastava che il capo dei comunisti nostrani aveva fatto una sola eccezione per Badoglio), ha ritenuto invece di protestare contro di me per quanto ho detto in Senato nel precisare a chi spetta la maggiore responsabilità della nostra impreparazione all’atto di entrare in guerra. Secondo Lei avrei dovuto tacere ed accettare che mi fossero attribuite responsabilità che sono principalmente sue, se pure non soltanto sue. Contro questo stolto tentativo comunista ho protestato, come era mio pieno diritto, come protestai sette anni or sono, quando l’on. Togliatti, con la sua abituale sfrontatezza, tentò lo stesso gioco. In quanto poi a non riconoscermi (come scrive nella sua lettera) “né l’autorità, né tanto meno la capacità e la competenza di esprimere un giudizio qualsiasi” sul suo conto, potrei limitarmi a dirle che le sue colpe ed i suoi errori, nel campo politico come in quello militare, sono così gravi ed evidenti, che a riconoscerli e a definirli basta, creda pure, Maresciallo Badoglio, assai meno della mia capacità e della mia competenza. Non solo tutta l’Italia è oramai convinta e consapevole delle sue colpe e dei suoi errori, ma anche le pubblicazioni estere mostrano che la stessa convinzione esiste fuori del nostro paese. Le resta la consolazione della stima di Togliatti, almeno fino a nuovo ordine. Poiché in Senato mi limitai ad esporre fatti concreti e trarne le logiche conclusioni, aggiungo ora che il diritto (o l’autorità se più le piace) di giudicare il suo operato mi viene soprattutto dall’avere io comandato nell’ultima guerra un corpo d’armata nella campagna contro la Grecia, il primo corpo di spedizione in Russia, un’armata in Tunisia, trovandomi in ognuno di questi tre settori nella tremenda situazione di dover pagare col sacrificio di molti valorosi Soldati, e col peso di una enorme responsabilità per me, la gravissima impreparazione del nostro Esercito e le colpe di coloro che di quella impreparazione erano stati i maggiori e più diretti autori».

Queste espressioni amare e perentorie chiudono la lettera di Messe, la quale, come il suo nutrito epistolario, le sue memorie e gli articoli pubblicati dalle più importanti e storiche testate dell’epoca, tradisce lo studio continuo, una lunga frequentazione con le buone letture, il rispetto verso una sintassi italiana sempre curata e limpida e la ricerca di un lessico il più pertinente e ricco.

Nessuno può attribuire le colpe citate ad un comandante sul campo, del tutto esente dalle alte responsabilità decisionali politiche e organizzative di carattere militare, per il voluto intervento nel secondo conflitto mondiale. Un intervento deciso da Mussolini con la piena conoscenza dell’impreparazione delle forze armate e «con una sua decisione personale nemmeno comunicata e discussa in Consiglio dei ministri, taciuta perfino al Gran consiglio del fascismo…».

A tale riguardo, perché i partiti tanto pacifisti (?) della sinistra italiana (adesso quasi tutti in armi), invece di condannare questa decisione capitale, ovvero l’entrata in guerra da parte italiana che preannunziava le successive sventure civili e militari per il Paese, fanno colpa a Messe di una piena incompetenza o di mere responsabilità che non gli potevano appartenere, per non avere vinto e conquistato terre e territori abitati da genti da sempre amiche del popolo italiano? Questa domanda è volutamente ingenua e retorica.

E per mettere fine alle polemiche ideologiche e tardive dei suoi detrattori, da lungo tempo lontani dalla dialettica della storia, basti osservare la fotografia scattata il 27 marzo 1956, quando il senatore Giovanni Messe fu ripreso insieme con i suoi avvocati fuori dal tribunale dopo la conclusione di quello che fu un importante procedimento giudiziario, al termine del quale il giornalista Luigi Pintor e Andrea Pirandello, vicedirettore dell’Unità, furono riconosciuti colpevoli del reato di diffamazione contro l’onore della sua persona e della sua professione e condannati alla pena di un anno di reclusione.

Voglio parlare invece del Messe politico, la cui adesione a questa o a quella organizzazione filomonarchica nei giorni concitati del passaggio dalla Monarchia statutaria alla Repubblica democratica gli è stata dettata come una contromossa militare contro il timore, generalmente condiviso e molto reale, che alcune formazioni politiche interne preparassero delle iniziative «poco democratiche» e del tutto illegittime contro l’indipendenza e l’integrità territoriale del nostro paese e contro l’assetto costituzionale della neonata Repubblica italiana.

Tuttavia, archiviata l’esperienza con i movimenti filomonarchici nel periodo precedente ed immediatamente successivo alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, le prime dopo venti anni di totalitarismo, Giovanni Messe dimostra il suo “essere” un uomo politico di levatura eccellente, una persona specchiata, il cui auspicio e le cui riflessioni ricorrenti sono che gli uomini politici governino «non per il partito ma per la Nazione». La necessità di scendere in politica discende dal dovere sentito di difendere la Patria dal pericolo rosso (ribadisco, per evitare equivoci voluti, il pericolo di un colpo di mano interno di natura violenta fomentato dagli interessi sovietici) e di evitare di trovarsi ad appartenere al blocco orientale rinunciando agli aiuti statunitensi ed alla ritrovata amicizia con la prima democrazia mondiale.messe_giovanni_salmo_biblico.JPG

Le schede di attività del Senato della Repubblica riferite alla II legislatura ci informano che egli rimane nel Gruppo Democratico Cristiano dal 25 giugno 1953 al 22 novembre 1956, ed entra a fare parte della Commissione Difesa. Dopo questa data, coerentemente con l’agire nel corso della sua vita in presenza di una incompatibilità di obiettivi, e non riconoscendosi nella politica alquanto blanda del partito con lo scudocrociato, comprende che il momento è giunto di concludere questa esperienza politica, transita nel Gruppo misto e vi rimane fino all’11 giugno 1958.

Negli stessi giorni, l’1 di marzo 1956, fonda l’UCI, Unione Combattenti d’Italia, del quale assume la carica di presidente e di questa traccia le linee essenziali nel suo intervento di apertura del primo congresso nazionale, un discorso improntato francamente ed integralmente al rispetto ed alla salvaguardia delle regole democratiche del paese, della sua indipendenza e della sua unità territoriale.

L’UCI si propone come una funzione catalizzatrice dei partiti e dei movimenti nazionali di centro e della destra, in particolare «la valorizzazione del vincolo tra politica militare, politica estera e politica interna nell’ambito dell’Alleanza atlantica, si poneva alla base della forza e dell’unità dello Stato italiano, nonché della garanzia offerta agli Alleati circa l’osservanza dei patti liberamente conclusi». Sul piano interno, l’UCI lancia un programma mirato ad una «libera revisione di talune soluzioni costituzionali».

Nel 1958 si presenta candidato alla Camera dei deputati nella III Legislatura (12.06.1958-12.05.1963) tra le file del Partito monarchico popolare nel collegio di Roma e risulta il primo dei non eletti ma, successivamente alle dimissioni del deputato Achille Lauro, entra nel Parlamento il 13 aprile del 1961 come deputato del Gruppo del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica (nato dall’unione tra il Partito Nazionale Monarchico e il Partito Monarchico Popolare). Ma poco dopo, il 18 aprile 1961, ritorna nei banchi del Gruppo Misto rimanendo nella Commissione Difesa, prima di aderire in maniera definitiva, il 10 ottobre dello stesso anno, al Partito Liberale Italiano. Nelle votazioni successive del 1963 viene rieletto deputato nella lista del Partito Liberale e continua a fare parte della Commissione Difesa fino al 4 giugno 1968.Messe_giovanni_con_achille_lauro.jpg

La sua attività parlamentare vanta dieci progetti di legge presentati e quarantanove interventi sostenuti nelle aule parlamentari della Repubblica italiana. Il cambio dei partiti può essere spiegato dal temperamento del Maresciallo Messe, un uomo schietto che crede nelle funzioni del rappresentante popolare, chiamato a legiferare nel pieno rispetto della legalità e per la difesa degli interessi della Nazione, quindi di tutti i suoi cittadini. Nel corso del suo impegno pubblico, Messe continuò a battersi per una maggiore integrazione europea, soprattutto dal punto di vista militare, concepita come una forza di deterrenza contro il blocco sovietico. Nel 1955, in particolare, durante la discussione sul CED, Comunità di Difesa Europea, embrione di un auspicato esercito europeo, Messe si schierò nettamente in favore dell’adesione italiana a questo progetto finalizzato ad arrestare il pericolo comunista. Il movimento comunista, per Messe, altro non era che una «cospirazione mondiale ordita dalla Russia per la conquista del dominio universale a mezzo di organizzazioni rivoluzionarie decise a conquistare il potere, senza lasciarsi trattenere da nessuno scrupolo». La sua ostilità nei confronti dell’Unione sovietica era accentuata dalle tragiche vicende subite da molti prigionieri di guerra italiani (e tedeschi) che agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso erano ospitati ancora nei gelidi lager sovietici, in spregio delle disposizioni della III Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, questa volta firmata anche dall’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche.

Nel brano che segue, il senatore Messe ribadisce uno dei punti cardini del programma della sua UCI, in opposizione ai tanti potentati localistici ed ai privilegi partitocratici che minano l’autorità del governo nazionale, espressione della supremazia dello Stato: «… sempre nei riguardi della politica interna, è, a mio parere, da approvare incondizionatamente l'intendimento del Governo [il riferimento è all’appoggio che egli offre all’On. Zoli, Presidente del Consiglio dal 19.05.57 allo 01.07.1958], di voler provvedere all'inflessibile rispetto della legge da parte di chiunque. È strano che si dicano queste cose, ma purtroppo lo Stato italiano si è trovato spesso in condizioni di debolezza di fronte ai poteri feudali dei partiti, dei sindacati e degli Enti che costituiscono altrettanti Stati nello Stato, che realmente il cittadino aveva l'impressione che tutti comandassero e che il Governo era quello che comandava di meno. È dunque da sperare che un simile stato di cose abbia a cessare: l’osservanza della legge è il presupposto imprescindibile della libertà».

Il vecchio ardito, che ha ispirato un personaggio pieno di ardore e di coraggio in uno dei suoi primi racconti bellici al futuro premio Nobel Ernest Hemingway, rivela un tema ed un problema molto attuale ed italiano, e se avessimo avuto, o avessimo, tanti amministratori con la sua preparazione e con le sue qualità forse l’Italia conoscerebbe più trasparenza, maggiore rispetto della legalità e quindi una prosperità più diffusa per tutti i suoi cittadini. Egli conclude uno dei suoi discorsi in Parlamento con un monito ancora valido: «Debbo infine ricordare che a norma della Costituzione il deputato è eletto dalla Nazione e non dal Partito, e non sarebbe nemmeno tenuto a votare secondo le decisioni del partito dovendosi regolare secondo la propria coscienza e la propria convinzione».

In quale stato di benessere il nostro paese potrebbe vivere oggi se fosse amministrato e difeso veracemente da politici e da militari come il Maresciallo mesagnese, e non dai politici tanto asseverativi verso gli interessi predatori di alcuni paesi nostri competitori e confinanti, così da rimettere in discussione l’unione culturale e spirituale - cristiana e liberale - dell’Europa agognata da Altiero Spinelli, prospettata da Robert Schuman e da Konrad Adenauer, democratici autentici, e difesa dal nostro Giovanni Messe come l’antidoto ed il baluardo contro il ritornare degli orrori inediti delle due guerre mondiali dei quali essi sono stati, loro malgrado, i protagonisti ed i testimoni illustri.

Nel giugno del 1968, lo scadere della sua carica parlamentare ed il ritiro alla vita privata concludono una vita pubblica vissuta e sacrificata totalmente al Paese.

L’ultimo Maresciallo d’Italia viene a mancare all’affetto dei suoi cari il 18 dicembre 1968, all’età di85 anni, a Roma, dove riposa nel Cimitero Monumentale del Verano.

Nell’anno 2006, il Centro Direzionale del Personale Militare a Roma è stato intitolato con il suo nome, una ricompensa piccola e tardiva alla sua figura di militare competente e leale e di politico lineare ed onesto, ed un riconoscimento agli sforzi ed ai sacrifici sofferti da migliaia di giovani chiamati ad indossare una uniforme e che lo hanno seguito con fede e con onore nelle steppe fangose ed innevate della Russia, o nei deserti ardenti e brulli della Tunisia e finalmente sulle colline dolci delle fertili campagne italiane riconquistate alla libertà.

Voglio concludere dedicando a Maria Errico, per il coraggio espresso con questa sua bella impresa editoriale, il versetto estratto dal Salmo18(o17) di Davide che ha accompagnato il Maresciallo mesagnese nel suo ultimo riposo e menzionato nel retro del suo ricordino funebre, inteso nel suo significato squisitamente etico e spirituale.

 Deus me fortitudine praecinxit et manus meas ad proelium exercuit

(Il Signore Dio mi ha cinto di vigore ed ha addestrato le mie mani per la battaglia).messe_giovanni_curriculum_vitae.JPG

Annotazione bibliografica.

M. ERRICO, L’ultimo Maresciallo d’Italia. Giovanni Messe, Edizioni Edit@ Casa Editrice e Libraria. Taranto, mese di luglio 2022.

L.E. LONGO, Giovanni Messe. L’ultimo maresciallo d’Italia, Stato Maggiore dell’Esercito Ufficio Storico, Roma, 2006.

G. MESSE, Politica estera e problemi dell’ora, Tipografia del Senato, Roma, 1954.

J.V. TIRONE, Giovanni Messe. Un Maresciallo d’Italia nel parlamento della Repubblica, Edizioni Efesto. Roma, 2022.

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Ultima modifica il Lunedì, 17 Aprile 2023 13:42