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IL 25 APRILE E LA LOTTA DI LIBERAZIONE: UNA RIFLESSIONE...
Ogni anno rammentiamo il 25 aprile come un giorno che deve rimanere un momento fulgido di libertà, democrazia e rifiuto della dittatura, ma anche di pacificazione, valori in cui tutti gli italiani, come tutti i cittadini europei, sono chiamati a riconoscersi. La democrazia e la libertà sono un bene comune e fragile, e tutti hanno il diritto di celebrare il giorno della sua conquista, sebbene con mestizia e con il rispetto doveroso verso tutti i caduti. Purtroppo, questo imperativo non sempre è soddisfatto, perché una parte della sinistra italiana si è appropriata dei valori della Resistenza e della memoria della nostra liberazione, dalla quale i protagonisti sono usciti tutti vincitori.
Grazie a tutti i protagonisti della lotta di Liberazione, che hanno combattuto con le armi, con gli esplosivi o con la sola forza del libero pensiero, viviamo in un paese dove la libertà di parola regna da lungo tempo in ogni piazza ed in ogni vicolo, poiché solamente quando la storia è raccontata in modo obiettivo è possibile superare, senza trascenderlo, un passato oscuro che continua a lacerare il nostro presente nella maniera più avulsa da ogni riferimento temporale.
Come scrive Aldo Cazzullo (Il Corriere della sera, 21 aprile 2019, p. 27), «…il punto è che la Resistenza viene considerata una “cosa di sinistra”. Non è affatto così. Tra i partigiani c’erano molti comunisti, ma c’erano giovani di ogni fede politica: cattolici, monarchici, liberali e moltissimi che volevano evitare la leva… Eppure il nazifascismo fu sconfitto da liberali e conservatori». Anche il professore Gianni Oliva, storico di sinistra, in una recente intervista ha risposto alla domanda del giornalista: «Quando faremo pace con la Storia?»: «Quando finiremo di prendercela con i fascisti che diventano repubblichini, quando immaginiamo di poter ascrivere tutte le colpe a Mussolini e al Re per rifarci una verginità, quando smetteremo di mettere le bandierine sul passato».
A queste parole dal sapore conclusivo e perentorio, vorrei aggiungere - quale breve digressione – l’osservazione che una vulgata consolidata definisce le forze tedesche distribuite in Italia nel 1943 con la parola “invasore”, quasi volendo dimenticare le nostre pregresse complicità con l’espansionismo teutonico. Le armate tedesche erano scese per tempo nell’Italia loro alleata con il consenso del suo governo sovrano per proteggere la porta meridionale della fortezza continentale europea dall’attesa invasione degli alleati dopo la loro vittoria in Tunisia che aveva messe la parola fine alla presenza delle forze dell’Asse nell’Africa settentrionale. Dopo il cambio di fronte da parte del nuovo governo postfascista, in linea con la sua scelta di libertà contro i regimi totalitari, le truppe tedesche divenivano nei fatti forze di occupazione bellica.
È molto importante non dimenticare questo trascorso ed è necessario ricordare gli orrori nazifascisti: molti italiani furono vittime di eccidi efferati, migliaia di essi sono scomparsi nei campi di concentramento (o di sterminio), colpevoli di avere una comune discendenza ebraica, e più di mezzo milione di militari con ogni grado (conosciuti come gli IMI) sono stati ospiti loro malgrado nei campi di internamento tedeschi e sottoposti ad ogni sorta di privazione e di vessazione, rei di avere risposto a fronte alta con un deciso diniego alla richiesta degli antichi alleati di continuare a combattere dalla loro parte - pena la deportazione come ex militari e traditori - una guerra di occupazione e di spoliazione, priva di ogni giustificazione dal suo esordio. Senza dimenticare i soldati con l’uniforme italiana che si sono sacrificati combattendo insieme con i resistenti ellenici, i vecchi nemici divenuti amici, sull’isola di Cefalonia e nelle altre antiche isole greche del basso Adriatico.
Nessuna rimozione dei crimini commessi, anzi la ferma volontà di ricordare un passato tragico che mai più dovrà ritornare. È giustificato l’odio dei partigiani che hanno avuto parenti o amici uccisi? È giustificato l’odio di chi dopo il 25 aprile ha avuto i parenti uccisi dai partigiani? Le due parti nutrono lo stesso odio motivato dalla medesima storia sanguinante, ma abbiamo imparato che questi sentimenti sono non meramente sterili, ma anche devastanti per tutti, perché l’odio genera l’odio, imprigionando tutti noi in una spirale che non conosce fine.
Tornando a specificare chi sono stati coloro che hanno sconfitto il nazifascismo, non dobbiamo dimenticare dunque il contributo di sangue versato dalle forze armate italiane nella lotta di Liberazione. Sovente ci dimentichiamo di loro. È certo ed indiscutibile che «senza l’apporto delle Armate alleate l’Italia non sarebbe mai stata liberata né mai si sarebbero potuti cacciare gli invasori nazisti…», così scrive Raimondo Luraghi (giornalista, docente universitario di storia e partigiano Medaglia d’argento) in Le forze armate italiane dalla guerra di Liberazione alla guerra fredda.
Ed aggiunge: «All’inizio dell’aprile 1945, quando la Seconda guerra mondiale si avvicinava alla fine, il contributo militare dell’Italia alla propria liberazione aveva raggiunto il massimo livello… alla cessazione delle ostilità, più del 40% delle truppe alleate in Italia erano composte da membri in uniforme delle Forze Armate italiane. Ad essi si devono tuttavia aggiungere i combattenti del Corpo Volontari della Libertà, vale a dire le forze partigiane che, al comando del generale Raffaele Cadorna, operavano dietro le linee nemiche». Tutti noi conosciamo bene chi era il Capo di Stato Maggiore Generale delle Forze Armate in quei giorni, il quale aveva ricostituito l’Esercito ed aveva ridato entusiasmo, spirito e vigore alle sue truppe. Il mesagnese Maresciallo d’Italia Giovanni Messe.
Da Lucio Villari, L’alba della Riscossa, pagg. 48-49, leggiamo: «Il maresciallo Messe, oltre ad essere un ufficiale di grande esperienza ed abilità, era molto stimato dagli alleati e in particolare dagli inglesi a cui aveva dimostrato più volte il suo talento combattendo contro di loro in Africa settentrionale. Messe iniziò con entusiasmo il suo difficile compito e incontrando solo dopo pochissimi giorni il capo della Commissione di controllo, gen. Joyce [23 novembre 1943], espose con molta chiarezza i suoi programmi:
“Sono rientrato dalla prigionia con il fermo proposito di applicare tutta la mia opera per rimettere in efficienza le Forze Armate italiane allo scopo di poter dare la massima collaborazione alle Armate anglo-americane per raggiungere il comune obiettivo di scacciare i tedeschi”».
Volendo rappresentare in una maniera alquanto sintetica la distribuzione dei combattenti italiani, possiamo vedere le FF.AA. italiane impegnate al fianco degli Alleati nelle aspre e sanguinose avanzate nel tentativo di sfondare da sud la Linea Gotica, finalmente vittoriosi, mentre i volontari partigiani conducevano con le armi a loro disposizione azioni di guerriglia o di disturbo contro le forze tedesche e della neonata Repubblica sociale a nord della linea suddetta, distribuiti nelle varie formazioni nascoste e braccate nei boschi e sulle colline centro-settentrionali della penisola. Tutti uniti dallo comune sforzo e mossi dal medesimo slancio di libertà.
In questo giorno di festa nazionale ed unitaria dobbiamo ricordare tutti i protagonisti della Liberazione, ispirati dalle parole del professore Luraghi: «il contributo di sangue dato dai nostri combattenti saliva ad oltre 170.000 Caduti: 26.000 nelle unità operanti sul fronte, 70.000 tra i partigiani del Corpo Volontari della Libertà e dei partigiani all’estero… altri 80.000 circa morti di fame e di stenti nei campi di internamento e in quelli di sterminio… le truppe del Commonwealth britannico ebbero 45.000 caduti e gli americani ne ebbero 35.400».
Ma volendo dare uno doloroso sguardo dall’alto, forse con la vana ambizione di vedere con gli occhi di Dio la tragedia che in quei lunghi mesi consumava l’Italia e gli altri paesi europei sottoposti al regime occupazionale, il conto dei caduti deve essere esteso fino a comprendere anche quelli appartenuti al variegato fronte avversario, protagonisti attivi e insieme vittime di un odio fanatico, pianificato e sterminatore che forse mai la storia umana aveva conosciuto nei millenni precedenti.
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