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Il Maresciallo d’Italia Giovanni Messe a Mesagne
Enzo Poci, Società di Storia Patria per la Puglia
Il Maresciallo d’Italia Giovanni Messe a Mesagne.
Nella tarda mattinata di martedì, sei giugno venturo, la Città di Mesagne ed il Comando Militare Esercito Puglia incontreranno i cittadini mesagnesi nella sala auditorium del Castello comunale in una conferenza di alto profilo storico che hanno voluto organizzare su «Giovanni Messe, Maresciallo d’Italia, Capo di Stato Maggiore Generale e Senatore della Repubblica».
Il convegno, realizzato in collaborazione con l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, sarà aperto dal sindaco di Mesagne Toni Matarrelli e vedrà la partecipazione autorevole del colonnello Arcangelo Moro, comandante Esercito Puglia, del prof. Giacomo Carito, rappresentante della Società di Storia Patria della Puglia, del dottor Junio Tirone, al quale dobbiamo lo studio ultimo e più aggiornato sulle attività politiche e pubblicistiche che hanno impegnato duramente Giovanni Messe, dismessa l’uniforme militare, e del giornalista Giuseppe Messe, nella sua qualità di pronipote del generale.
Gli interventi saranno moderati da Federica Marangio, autrice e giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno.
Purtroppo, per gli impegni assunti in precedenza, quella data mi vedrà ancora a Milano. E nella città meneghina, quando sono libero dagli impegni, mi trovo a girovagare alla ricerca di libri editi nel passato che sono non più reperibili nelle comuni librerie. Ogni libro italiano di storia che parla della Seconda guerra mondiale parla senz’altro del nostro Messe: non informa che era un cittadino di Mesagne, per questo anche noi siamo riusciti ad obliare e quasi a nascondere il suo luogo natale, ma parla delle sue imprese audaci, brillanti, ma sempre corrette sul piano etico e coerenti al diritto militare.
Nei giorni scorsi ho acquistato un volume dimenticato, I generali della dittatura, edito da Mondadori nel lontano anno 1987. Il suo autore, Giuseppe Bucciante, in seguito un penalista tra i più illustri e ricercati in Italia, era il figlio di un generale medico operante in quegli anni di guerra ed egli stesso, capo ufficio stampa presso il Comando Superiore delle Forze Armate dell’Africa Settentrionale, è stato un testimone diretto dei fatti che ha inteso narrare puntualmente alcuni decenni più tardi.
Prevengo i detrattori soliti che la lettura integrale delle sue pagine ci impone di intendere questo titolo in maniera squisitamente testuale come i generali italiani attivi nel ventennio mussoliniano.
I brevi estratti che seguono mettono bene in rilievo che il generale mesagnese era molto contrario all'intervento italiano nella campagna di Russia.
«A dissuadere Mussolini dal partecipare alla campagna di Russia non servì il cattivo viso che fecero alla sua proposta il Führer e il comando germanico che ripetutamente respinsero l’offerta indicando esplicitamente quale fosse lo scacchiere su cui l’Italia doveva concentrare il suo sforzo […] Indubbiamente Cavallero [Capo di Stato Maggiore Generale] non tentò di dissuadere Mussolini neppure sull’invio di nuove forze in Russia dopo l’inoltro d’un corpo d’armata […] Al generale Messe, che ai primi di giugno del ‘42 gli aveva fatto presente le sue perplessità per una simile decisione, [Cavallero] tagliando corto aveva risposto, mostrando di non gradire la sua insistenza: “Le decisioni sono state prese dal duce sulla base di considerazioni politiche ed è inutile discuterle”. Messe osserva ancora sull’argomento che Cavallero, “rapidissimo nell’afferrare il lato essenziale di ogni questione si era evidentemente limitato a qualche timido tentativo per sostenere il suo punto di vista. Quando si accorse che Mussolini era deciso ad inviare l’armata ripiegò, come era sua abitudine, sulle proprie posizioni, dimenticando che sulle spalle del capo di Stato Maggiore Generale venivano a pesare gravi e precise responsabilità personali”. Ciò che Messe non comprese, né mostrò di intendere il generale Favagrossa o quanti tentarono di trattenere Mussolini dall’accorrere, malgrado il no tedesco, sul nuovo fronte, è che Mussolini attribuiva alla campagna di Russia, una volta avviata dai tedeschi, una importanza storica e politica che non era disposto a discutere con nessuno, tantomeno con i militari».
Se vogliamo riassumere la figura storica di Giovanni Messe dobbiamo dire che, come ufficiale regio, è stato un “ardito” nella Prima guerra mondiale ed il generale italiano più capace e preparato sui campi di battaglia della Seconda guerra mondiale ma, lasciati alle cure della storia i lunghi trascorsi militari, egli dimostra ancora di più il suo “essere” un uomo politico di levatura eccellente, una persona specchiata e sempre coraggiosa, il cui auspicio e le cui riflessioni ricorrenti sono che gli uomini politici governino non per il partito ma per la loro comunità. La sua necessità di scendere nell’agone politico, per abusare di una espressione consumata, discendeva dal dovere sentito di difendere la Patria dal pericolo rosso, ovvero, per evitare i comuni equivoci voluti, il pericolo di un colpo di mano interno di natura violenta, fomentata dagli interessi sovietici, e di evitare di trovarsi ad appartenere a quello che un tempo chiamavamo il «blocco orientale», rinunciando agli aiuti statunitensi e all’antica, ritrovata amicizia con la prima democrazia mondiale.
Il senatore Messe conclude uno dei suoi discorsi nel Parlamento della Repubblica con un’osservazione che rimane sempre valida: «Debbo infine ricordare che a norma della Costituzione il deputato è eletto dalla Nazione e non dal Partito, e non sarebbe nemmeno tenuto a votare secondo le decisioni del partito dovendosi regolare secondo la propria coscienza e la propria convinzione».
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