Per noi invece è necessario ricordare per un motivo molto semplice: fu allora che l'Italia scelse tra la libertà e la dittatura, tra l'uguaglianza dei diritti e l'ingiustizia. Fu la guerra partigiana a fare dell'Italia un paese democratico e la nostra democrazia non esisterebbe senza quella lotta, cosicché ripercorrere quegli anni vuole dire ogni volta riscoprire e rinverdire le radici e i valori democratici, che oggi noi diamo scontati, ma che allora poterono affermarsi nel nostro, e in altri paesi, soltanto grazie ad una lunga lotta e al sacrificio di molti italiani e di molte italiane…
Gli storici sono stati poco generosi nei confronti delle donne per quanto riguarda la loro partecipazione alla Resistenza: combatterono e soffrirono affianco agli uomini e guadagnarono un posto importante nella lotta di liberazione. Esse sfidarono il nemico in montagna, nelle campagne, nelle vie cittadine e caddero in battaglia, furono imprigionate e torturate, deportate, oppure uccise durante i rastrellamenti fatti dai fascisti e dai tedeschi che, non trovando i Partigiani ricercati, si vendicarono trucidando donne inermi.
Le donne italiane che presero parte alla lotta di Liberazione non furono generalmente donne della borghesia. Questa lotta unì le contadine e le operaie di varia o di nessuna fede politica, massaie o studentesse, professioniste e intellettuali, in uno sforzo generoso nel quale esse videro la conquista di una nuova vita e di più degne condizioni: l’affermazione della Dignità della Persona quale sarà riconosciuta nella Carta delle Nazioni Unite.
Il loro intervento, volontario, non può essere archiviato quale un semplice appoggio ai familiari combattenti, esso fu partecipazione attiva e condivisione del rischio, sfida aperta contro un nemico spietato e senza scrupoli. L’esposizione pubblica dei corpi dei nemici fu il lugubre rituale impiegato dai fascisti e dai tedeschi. Come solo esempio ricordiamo il martirio di Silvio Corbari e di Iris Versari, assassinati, impiccati e issati sui lampioni della Piazza Saffi di Forlì il 14 agosto 1944. (foto a destra)
Nelle regioni settentrionali del Piemonte, Lombardia, Emilia e Friuli, la partecipazione femminile fu intensa perché grande fu il numero delle donne arruolate nelle varie formazioni, impiegate nella vastissima rete di collegamenti, nella pericolosa diffusione della stampa clandestina e nella raccolta di viveri, indumenti e medicinali per i combattenti.
Il movimento partigiano vide anche la presenza delle ragazze appartenenti alle famiglie meridionali emigrate in Lombardia e in Piemonte negli anni ‘20-‘30. Anche la provincia di Brindisi annoverò donne originarie della sua terra nelle file delle resistenti, alle quali si aggiunsero certamente tante altre nate nelle regioni settentrionali dai genitori che provenivano dalla nostra provincia (Brindisi, Fasano, Latiano, San Pancrazio S.no e San Vito dei Normanni): giovani con il diploma magistrale, impiegate e massaie, operaie e sartine.
L’elenco che segue - disponibile presso il comitato provinciale dell’ A.N.P.I. di Brindisi - ricorda il nome di alcune di queste “brindisine” attive nelle valli lombarde o piemontesi, sopravvissute alla violenza truce di quei giorni:
Anita Carpino, Vittoria Cavallo, Giulia Cigarini, Antonia Coluccia,
Vittoria de Carolis, Rosetta Esposito, Addolorata Greco, Elena Guadalupi,
Adriana Inglese, Filomena Maggi, Addolorata Tamburini, Carla Todeschini.
Alcune Partigiane esercitarono le funzioni di organizzazione e di comando (tra le ragazze piemontesi troviamo cinque con il grado di sottotenente e una con quello di tenente), ma il compito più comune fu quello di informatrice e di staffetta: in montagna o nelle città. Con il tempo inclemente, con la bella e la cattiva stagione, nei boschi o sui ghiacciai - i loro piedi negli scarponi chiodati d’estate, sugli sci o sulle racchette d’inverno - le staffette delle formazioni di montagna collegarono di valle in valle i diversi reparti, recando le direttive del CVL (Comitato Volontari della Libertà), spesso scendendo nei paesi per prendere contatti con gli altri Partigiani, o per accompagnare un compagno ferito all’ospedale.
Le informatrici e le staffette fecero spesso parte dei GAP (Gruppo di azione patriottica), o delle SAP (Squadre di azione patriottica), e si mossero sempre instancabili, da un recapito all’altro, da un’azienda a una fabbrica, per mantenere contatti, per procurare alloggi e falsi documenti, sapendo bene che la scoperta di un documento compromettente o di un’arma presso un posto di blocco sarebbero stati sufficienti per farle condannare, come avvenne molte volte, alla fucilazione immediata.
Alle partigiane con particolari doti fu assegnato il compito di informatrici: ascoltare e osservare tutto, ricordare cifre, spostamenti di forze nemiche. Molte, catturate per delazione, furono seviziate, torturate, portate allo stremo. Non denunciarono il nome di un solo compagno e non rivelarono la loro formazione di appartenenza o la missione loro assegnata, morirono ma esse non parlarono.
La loro età in questa guerra non conobbe limiti, quindicenni e giovani, donne mature e anziane con pari ardire e una luce nel cuore: la fine di una tragica follia, la libertà!
A queste combattenti eccezionali, si affiancarono in gran numero le donne appartenenti ai GDD “Gruppi di difesa della donna” sorti dal novembre 1943. Unite, esse formarono una grandiosa forza popolare, capace di sfidare apertamente i nazifascisti, come le donne friulane che parteciparono al funerale del comandante Renato Del Din, caduto nel tentativo di liberare Tolmezzo.
A Trofarello, in provincia di Torino, le donne scesero in piazza contro il rastrellamento dei renitenti alla leva. Altre a Torino protestarono per rivendicare lo zucchero per i loro piccoli, razionato in favore delle truppe di occupazione tedesche.
Donne di ogni età manifestarono il loro sentire partecipando in massa ai funerali delle sorelle Libera e Vera Arduino di Torino, arrestate il 13 marzo 1945 insieme con il padre, tutti e tre subito fucilati. Libera, di anni 16, faceva parte della XX Brigata Pino Casana. Vera, di anni 19, membro della XX Brigata SAP e dei primi Gruppi di Difesa della Donna, aveva costituito alla Barriera di Milano, antico quartiere di Torino, il Gruppo delle Donne della Resistenza. Quando la notizia si sparse, una grande folla, composta prevalentemente da donne, si accalcò al cimitero per rendere l’estremo omaggio alle vittime, recando fiori, corone, nastri tricolori. Giunsero alcuni autocarri carichi di agenti in borghese, armati di mitra, che spararono alcune raffiche in aria per disperderla, ma la folla rimase al proprio posto, composta e ferma contro le intimidazioni e le minacce.
Nella primavera-estate del 1944 le donne partigiane raggiunsero un numero importante e molte di esse lasciarono orgogliosa testimonianza di valore. Lo spazio avaro permette di ricordare pochi nomi.
Anna Maria Dao della provincia di Cuneo, membro della 104 brigata garibaldina “Carlo Fissore”, arruolata il 1° aprile 1944, catturata durante un rastrellamento e uccisa con un colpo di pistola alla nuca il 28 agosto 1944.
Elvira Daniele, nata a Boves, insegnante, appartenente alle brigate “Giustizia e Libertà”, si era unita alle primissime formazioni partigiane nella provincia di Cuneo. Organizzatrice del movimento clandestino, fornì ai Partigiani tutta la sua assistenza e capacità, sfidando pericoli, recandosi spesso a Cuneo e a Torino presso le stesse autorità di occupazione per ottenere, con le sue doti di intelligenza e persuasione, la liberazione di detenuti politici e partigiani. Fornì alle formazioni aiuto di ogni genere, medicinali, viveri e carte topografiche. Il primo novembre 1944, di ritorno da una delicata missione, morì in un attentato sul treno nel quale viaggiava.
Attilia Ronsil, nata a Col Exilles (Torino) il 16 settembre 1924. Arruolata l’1 febbraio 1944 nella 232 Brig. Monte Assietta come staffetta informatrice. Fermata da formazioni fasciste per informazioni sui partigiani, la ragazza risponde negativamente, per questo comportamento è colpita ripetutamente alla testa e muore immediatamente il giorno 25 agosto 1944, alle ore 14.30.
Elsa Falerno, nata a Torino il 17 aprile 1930, arruolata il 15 settembre 1944 nel Distaccamento Vernone G.L. Vice Commissario di Brigata al comando di 106 uomini, cade il 25 aprile 1945 durante un combattimento a fuoco contro i tedeschi a Torino.
Emma Biscia, nata a Villanova (Cuneo) il 13 aprile 1920, arruolata l’1 giugno 1944 nella Brig. Ellero della V Div. Alpi Mondovì quale informatrice e porta ordini. Catturata dai nazifascisti, fu assassinata per rappresaglia nei pressi di Magliano il 4 marzo 1945.
Franca Alonge, nata a Marsala nel 1927, studentessa, residente a Torino con la famiglia. Faceva parte della VIII Divisione Alpina Valle dell’Orco. Alla liberazione, la madre la cercò tra le colonne di Partigiani che festanti entravano in Torino.Immagine commovente, portava sul braccio il soprabito perché si potesse subito cambiare, ma non la vide arrivare. Dopo qualche giorno seppe che la figlia era caduta in un agguato l’11 gennaio 1945.
Giulia Poet, nata a Roreto Chisone l’11 febbraio 1925, arruolata l’1 ottobre 1944 nella VII Brigata S.A.P., nome di battaglia Poeta. Coraggiosa, impegnata in servizio di staffetta, muore in uno scontro a fuoco con i fascisti il 3 aprile 1945.
Giuseppina Giudice, nata a Torino il 20 luglio 1915. Informatrice e staffetta nella Brig. Gino Mellano, fu arrestata e seviziata dai fascisti. Morì in seguito alle sevizie il 17 aprile 1945 a Fossano.
Jenny Caedon, nata a Torre Pelice (Torino) l’ 11 marzo 1917. Arruolata l’1 dicembre 1944 nella V Div. Alpina G.L. S. Troia. Sempre pronta nelle più delicate operazioni di collegamento, fu arrestata negli ultimi giorni della lotta. Rilasciata e tornata al reparto, fu uccisa il 23 aprile 1944.
Liberina Lucca, nata a Torino il 22 giugno 1910, arruolata l’1 giugno 1944 nel Servizio informazione della III Brigata, al comando di 240 uomini. Cade durante un combattimento a Torino il 27 aprile 1945.
Maria Agazzi, nata a Torino il 29 maggio 1915, arruolata l’1 agosto 1944 nelle squadre volanti, con le sue informazioni permise la cattura di molti ufficiali e soldati delle brigate nere. Arrestata fu passata per le armi dai repubblichini della Folgore il 28 novembre 1944.
Paola Garelli, nata a Mondovì (Cuneo) il 14 maggio 1916. Entra nella Brig. S.A.P “Colombo” dove assolve compiti di collegamento e di rifornimento alle formazioni operanti nei dintorni della città. Arrestata nella notte fra il 14 e il 15 ottobre 1944 nella propria abitazione dai militi delle Brigate Nere, è fucilata sommariamente a Savona l’1 novembre dello stesso anno.
Rosanna Re, nata a Vercelli il 16 gennaio 1928, operaia. Divisione Garibaldi. Svolse fino alla sua morte attività di staffetta e collegamento. Caduta il 4.10.1944 a Ori Mosso(Vercelli).
Ci addolora di non potere presentare il nome di ciascuna delle giovani piemontesi, tutte cadute in combattimento oppure nello svolgere il compito loro assegnato con eguale onestà e passione. Molte hanno sofferto sevizie e torture al di sopra dell’immaginazione, prima di affrontare con coraggio l‘ingiusto plotone d’esecuzione.
Una giovane molto coraggiosa fu la Partigiana Paola Del Din che passò da una parte all’altra delle linee, qualche volta paracadutata, portando a termine molte missioni per gli alti comandi alleati. Al termine della guerra, fu decorata con Medaglia d’Oro al valore militare.
Altra Medaglia d’Oro della Resistenza fu Irma Bandiera (foto a sinistra), detta Mimma, il cui martirio pubblico perpetrato dalle SS il 14 agosto del 1944, fu di esempio per altre decine di giovani volontarie. Non era un’operaia o una contadina, proveniva da famiglia agiata, la giovane Irma, che subito dopo l’8 settembre entrò in azione con altre amiche antifasciste e in breve tempo divenne una tra le più attive donne della Resistenza bolognese. Nel marzo del 1944 fu chiamata a fare parte della 7 brigata Garibaldi GAP con compiti prevalentemente di staffetta e di collegamento.
Il 9 agosto fu catturata e rinchiusa in una cella, dove gli aguzzini delle SS non le risparmiarono trattamento alcuno per indurla a parlare, ma Irma non lo fece, la sua bocca non proferì una parola che potesse tradire i compagni. Fu resa cieca e barbaramente trucidata nella pubblica strada al Meloncello di Bologna.
Il 19 settembre 1944, furono fucilate le bolognesi Irma Pedrielli e Ada Zucchelli, prese in una base dei GAP e invano seviziate affinché parlassero.
Clorinda Menguzzato (Velia) e Ancilla Marighetto (Ora), nascono entrambe a Castello Tesino, nel Trentino, l’una nel 1924, e l’altra nel 1927. Sono di famiglia contadina, lavorano in campagna, morte tutte e due in seguito alle sevizie e torture subite. E quanti, tanti altri esempi, di donne coraggiose. E’ veramente difficile fermare questo elenco di persone e di avvenimenti.
Ma gli episodi di barbarie come quello di cui fu vittima Irma Bandiera e tante altre giovani Partigiane non tennero chiuse in casa le donne italiane.
A Crespellano, in provincia di Bologna, il 28 agosto, un gruppo di donne protestarono per ottenere il rilascio di due giovani arrestati dai nazifascisti. Dopo quanto era accaduto a Mimma, questa manifestazione fu un atto di grande valore.
Nei primi giorni di settembre 1944, in alcuni paesini della provincia bolognese, gruppi di donne invasero i municipi e bruciarono i registri di leva e quelli delle tasse: fu un vero atto di sollevazione. Non volevano che altri giovani servissero più il fascismo. Non volevano che fosse pagato altro denaro per mantenere un regime che aveva portato il paese in una guerra nefasta sfociata nella guerra civile.
Altre donne si diedero alla macchia raggiungendo le file del movimento partigiano. Appresero presto l’uso delle armi, come nascondere una radio trasmittente o un Partigiano braccato, come sopportare la fame, il freddo, le sevizie, come curare i feriti e seppellire i morti…
La partecipazione delle donne nella Resistenza non rimase individuale, essa si rese concreta nelle formazioni femminili che operarono in proprio al fianco di quelle maschili.
Il 10 agosto 1944 la seconda divisione Garibaldi “Piemonte” distaccò, presso la brigata d’assalto “Eusebio Giambone”, una unità femminile di 38 partigiane, sorelle, mogli e madri dei garibaldini che, perseguitate dai nazifascisti, preferirono rimanere vicine ai loro uomini e concorrere alla lotta con la loro attività di cuoche, sarte, segnalatrici e staffette.
A questo distaccamento se ne aggiunsero altri, specialmente nel ravennate e in Emilia. Nella primavera del 1945 le sole formazioni bolognesi annoveravano 1.669 donne: 16 furono decorate con Medaglia d’Oro al V.M., molte “alla memoria”.
Alla fine del conflitto le partigiane romagnole cadute saranno 44, 25 ferite; le emiliane conteranno 128 cadute e 49 ferite; le piemontesi 137 morte (99 combattenti e 38 civili) e 185 deportate in Germania. Le statistiche nazionali sono le seguenti: 35.000 partigiane, 20.000 patriote, 70.000 iscritte ai Gruppi di Difesa della Donna. 4653 arrestate e torturate; e altrettanto tremendo è stato il lento martirio delle 2.750 deportate nei campi di concentramento; 2900 cadute in combattimento o fucilate.
Conclusione
Ho voluto ricordare e cercato di esaltare il coraggio di alcune, poche, combattenti che in quei giorni clandestini di sangue e di speranza furono pronte, quando necessario, all'ultimo sacrificio, ma il loro spirito sarà unito per sempre in quella prova di abnegazione e di entusiasmo.
Nello sforzo della Resistenza la donna ha dimostrato di essere pari agli uomini, per tutto quello che significa la forza d’animo, l’impegno civico, il coraggio e il senso della responsabilità.
Mi inchino davanti a queste figure femminili per il tributo generoso che esse hanno offerto alla Resistenza e alla vittoria delle libertà democratiche.
Enzo Poci, Società Storica di Terra d’Otranto