Ritorniamo a parlare di circolazione di modelli pittorici, seguendo l'esempio del precedente articolo sull'Immacolata giordanesca conservata nella Chiesa dell'Immacolata a Latiano.
Nel mese di ottobre 2019, nelle pagine de “La Gazzetta del Mezzogiorno” si offriva un contributo riguardo il dipinto dell’Addolorata, realizzato sul finire del XVIII secolo econservato nel Museo d’Arte Sacra di Mesagne (BR); si proseguiva così, in maniera sintetica, il lavoro di ricerca presentato alla cittadinanza il 10 aprile 2019 in un convegno tenutosi presso la Chiesa di San Leonardo a Mesagne.
Nell’opera che ci occupa, la Vergine Addolorata è rappresentata a mezzo busto e leggermente rivolta di tre quarti verso destra. Ha il braccio sinistro poggiato su un basamento, le mani incrociate e il capo rivolto verso l’alto. Un pugnale le trafigge il petto. La figura esce gradualmente dall’oscurità e viene delicatamente avvolta dalla luce proveniente da sinistra, elemento questo, che modella i lineamenti del corpo e definisce le pieghe delle vesti. I particolari, che evidenziano il momento di grande tristezza, non sono trascurati.
Osservando attentamente il volto della Vergine si possono notare le lacrime sugli occhi. L’autore potrebbe essere un pittore salentino, conoscitore delle grandi novità pittoriche del Settecento.
Dopo un’approfondita ricerca è deducibile che il modello ispiratore per la realizzazione dell’opera è la Mater Dolorosa di Francesco Solimena, capolavoro assoluto del maestro campano, datato 1723 e conservato a Dresda presso la Gemäldegalerie Alte Meister. Le analogie del dipinto mesagnese con questa tela sono numerose: la posa, il capo rivolto verso l’alto e l’incrocio delle mani.
Cambiano i colori delle vesti: nella tela di Mesagne sono più opachi e scuri, mentre nel dipinto del Solimena sono più luminosi. La Vergine del dipinto mesagnese è trafitta dal pugnale, particolare assente nella tela di Dresda.
Un altro esempio è possibile farlo con l’Addolorata, sempre del Solimena, conservata a Bari presso la Pinacoteca Provinciale “Corrado Giaquinto”, opera realizzata fra il 1701 e il 1705. In questo dipinto la Vergine è rivolta verso sinistra, non cambiano invece l’effetto cromatico, le mani incrociate, particolari già visti nella tela di Dresda.
Un omonimo soggetto di autore ignoto è conservato a Manduria presso la Chiesa di Sant'Antonio, l'opera ha diverse affinità con la tela di Mesagne: oltre alla posa e all’incrocio delle mani, anche il colore delle vesti è simile ed è da notare un’ulteriore similitudine nel modo in cui è impostato il velo che copre il capo dell’Addolorata.
Questo discorso è oltremodo rilevante, perché fa luce sulla circolazione dei modelli dei grandi maestri napoletani, anche nelle province dell'allora Regno di Napoli, nel nostro caso nella provincia di Terra d’Otranto.
È opportuno dunque illustrare, anche se in maniera breve, il panorama pittorico del XVIII secolo a Napoli e in Terra d’Otranto. Nel Settecento, la capitale partenopea è il centro culturale per eccellenza del Sud Italia e fra i più importanti d'Europa. Di questo periodo, la figura chiave in ambito pittorico fu Francesco Solimena (1657-1747), “pilastro” della pittura barocca a Napoli. Capo di una fiorente bottega, vera “impresa” nel campo artistico, in cui si formarono diversi pittori, alcuni dei quali divenuti celebri. Le opere del Solimena – noto anche come l’ “Abate Ciccio” - erano molto richieste dalla committenza, laica o religiosa, napoletana e no. È certo che al Solimena, quando era troppo impegnato, subentravano gli allievi nel soddisfare le commissioni, soprattutto nelle province del Regno. Bernardo De Dominici, nelle sue “Vite de' pittori, scultori ed architetti napoletani”, del 1747, descrive Solimena con queste parole: «…egli ha col suo studio accoppiato quanto di più bello, e perfetto hanno raccolto con loro studiose fatiche i migliori Artefici di Pittura, così ne' grandi componimenti, che nella forza di un perfetto disegno, ed ottimo chiaroscuro; Accompagnando tutte queste preziosissime, e difficili parti, col suo bel colorito (…) rendendolo forse più bello con una nobil magia di bellissime tinte, che par ti renda quasi impossibile a superarlo; come in questa sua vita nelle opere egregie da lui dipinte.». All'interno della bottega, lo stesso “Abate Ciccio” impartiva le lezioni agli allievi e li teneva informati sulle varie esperienze pittoriche passate e presenti. Le opere del Solimena divennero ben presto un modello da seguire, da reinterpretare e nacque così quel fenomeno di adeguamento ai suoi modelli pittorici che passerà alla storia come “solimenismo”. Stile pittorico che si diffuse in larga scala in tutto il corso del Settecento in due modi: grazie alla circolazione delle opere dello stesso maestro, e grazie all'operato degli allievi, chiamati a lavorare in cantieri della provincia del Regno.