Il senso del mistero in Dino Buzzati nel cinquantennale della scomparsa dello scrittore
Stranamente, nel cinquantennale della scomparsa, non c’è stata alcuna commemorazione di ampio respiro per Dino Buzzati Traverso, uno degli scrittori italiani da riscoprire e valorizzare, tra i più poliedrici ed intelligenti del Novecento, considerato non a torto il “Kafka italiano” per il suo modo ironico di mischiare paradosso e fantasia con i dati reali della cronaca sociale.
Buzzati nacque il 16 ottobre del 1906 a San Pellegrino in provincia di Belluno, dove la famiglia aveva una villa, e morì a Milano il 28 gennaio del 1972. Fu molto legato al suo paese natale ma visse prevalentemente a Milano, dove si diplomò presso il Liceo Parini e, successivamente, si laureò in Giurisprudenza, sempre a Milano. Dal 1928 e fino alla sua morte lavorò al Corriere della Sera (il “grande giornale”), prima come cronista e poi come redattore ed inviato. Collaborò anche con la Domenica del Corriere. Nel 1939 fu inviato di guerra e nel 1949 corrispondente al Giro d’Italia ma si occupò prevalentemente di critica musicale e artistica. Coltivò per tutta la vita la passione sia per la pittura che per il teatro.
Autore di un gran numero di romanzi e racconti, Buzzati è uno straordinario solitario nel panorama letterario italiano e pur non appartenendo a nessun gruppo o movimento è universalmente considerato uno dei nostri più grandi scrittori surreali e fantastici, con una propensione a raccontare gli aspetti più insoliti, oscuri, bizzarri, strani e misteriosi dell’esistenza umana.
Tra i suoi racconti e romanzi, ricordiamo: Bàrnabo delle montagne, 1933; Il segreto del Bosco Vecchio, 1935; Il deserto dei Tartari, 1940; I sette messaggeri, 1942; La famosa invasione degli orsi in Sicilia, 1945; Paura alla Scala, 1949; Il crollo della Baliverna, 1954; Esperimento di magia. 18 racconti, 1958; Sessanta racconti, 1958 (Premio Strega); Il Colombre e altri cinquanta racconti, 1966; La boutique del mistero, 1968; Poema a fumetti, 1969; I miracoli di Val Morel, 1971.
La sua opera più nota e rappresentativa è senza dubbio il romanzo Il deserto dei Tartari (1939) ma noi lo ricordiamo, nel cinquantenario della morte, per i suoi racconti, dal momento che nell’intera produzione di Buzzati sono proprio i racconti a rappresentarlo al meglio e ne sono testimonianza le sue otto raccolte contro cinque romanzi. Nello specifico, la raccolta di racconti che suggeriamo al lettore è La boutique del mistero (1968), non solo perché è lo stesso Buzzati a definire i 31 racconti che, pubblicati in precedenza in diversi volumi, compongono l’opera come la rappresentazione migliore della sua intera produzione “nella speranza di far conoscere il meglio” da lui scritto, non solo perché sapientemente costruiti, come del resto tutti gli altri suoi racconti, ma anche perché la raccolta è come la vetrina di una boutique appositamente allestita dall’autore per raccontare cose fantastiche ma quanto più vicine alla realtà della cronaca giornalistica; tanto è vero che la struttura del racconto buzzattiano è in tutto mutuata dall’articolo di giornale e in questa stretta relazione tra giornalismo e letteratura traspare sempre il cronista insieme al lato oscuro ed intrigante delle cose sapientemente raccontate, in una sovrapposizione di fantasia e cronaca, di magia e realtà.
Il tema del mistero è onnipresente nell’opera di Buzzati e si manifesta, sempre con uno stile realistico che rende verosimile l’assurdo, come pura invenzione e creazione fantastica, anche se con modalità diverse nei suoi racconti: in alcuni racconti lo scrittore rende subito partecipe il lettore, in altri l’elemento favolistico e leggendario è predominante e si scioglie solo alla conclusione, in altri ancora il lettore assiste a vere parabole surreali e perfino grottesche.
Il senso del mistero in Buzzati è tutto interiore all’uomo, è parte del suo io profondo e inconfessato, dei suoi dubbi ancestrali verso le moderne certezze scientifiche e l’ineluttabilità malvagia del caso. Rare volte uno scrittore italiano ha saputo indagare così bene e così a fondo come ne La boutique del mistero la solitudine dell’uomo moderno, con i suoi dubbi, le debolezze e i paradossi.
Ne La boutique del mistero il lettore scopre il mistero nelle cose o negli eventi apparentemente normali della vita quotidiana, a patto di stare al gioco, talvolta condotto con fine ironia, adattando la fantasia alla realtà e conciliando l’infinito con il finito, l’astratto con il concreto, l’ignoto con il noto, il sogno con la veglia. Per calare il lettore nel mistero e indurlo a riflettere sul dubbio della realtà circostante, Buzzati si serve, suggerendo in talo modo al lettore possibili realtà metafisiche, di allegorie a volte inquietanti, di spunti surreali, di invenzioni fantastiche ma anche di fatti di cronaca verosimili.
I temi presenti nella raccolta de La boutique del mistero sono l’angoscia, la paura della morte, il mistero di tutto quello che trascende l’uomo che ha osato addirittura regolare e sistematizzare l’intero universo, per cercare di piegarlo entro i confini dettati dalla sua limitata intelligenza.
Nel racconto L’assalto al Grande Convoglio Buzzati narra, con toni favolistici nella seconda parte, la storia del vecchio brigante Cosimo Planetta che riceve in premio “una morte che apre la dimensione di un al di là meraviglioso” rappresentato dal paradiso dei briganti. Nel racconto Sette piani lo scrittore narra la vicenda di Giuseppe Corte che, ricoverato per una banale malattia, vede peggiorare il suo male e il peggioramento senza senso avviene scendendo i piani del sanatorio; scenderà di piano in piano con una scusa dei sanitari, sino al primo, sinonimo di morte che sembrava lontana e, invece, è inesorabilmente vicina; la malattia e la morte sono terribilmente reali, mentre il destino, beffardo, è indifferente al dolore umano. Ne Il mantello un soldato di nome Giovanni torna a casa dopo essere stato in guerra per due lunghi anni; lo accolgono la madre, la vera protagonista del racconto, e i suoi due fratelli minori; Giovanni, che non toglie mai il mantello, ha fretta di ripartire perché fuori casa, ad attenderlo, c’è un amico che “dava sensazione di nero” e non voleva entrare in casa; la madre, dopo la sorpresa iniziale, si accorge, complice il figlio minore che alza un lembo del mantello, che sotto il mantello il figlio Giovanni ha una brutta ferita; Giovanni è morto, è un’ombra che fa ritorno a casa prima che la morte lo porti via per sempre, “… come portato (via) dal vento […] su verso il nord, in direzione delle montagne”.
Nel racconto Una goccia, Buzzati prende spunto dal fatto, contro ogni evidenza fisica, che una goccia d’acqua, una semplice goccia, durante la notte sale le scale invece di scenderle! Nel mondo non c’è più ordine e la paura si impossessa degli inquilini del palazzo che non sanno che cosa fare.
Nel racconto La fine del mondo il lettore è subito immerso nell’imminente catastrofe planetaria dal momento che un’enorme mano è sospesa in aria a forma di artiglio! L’uomo è afflitto dal senso di colpa e di fronte alla catastrofe manifesta tutta la sua ipocrisia in preda alla follia.
Uno dei racconti più estesi e coinvolgenti della raccolta è senza alcun dubbio Il cane che ha visto Dio;
Galeone è il cane di un eremita, Silvestro, che ogni giorno porta al suo padrone una pagnotta presa fra le cinquanta chili di pagnotte che il panettiere Defendente Sapori è obbligato ad offrire, secondo il testamento dello zio proprietario del forno, ai poveri del paese di Tis, un paese di miscredenti; Defendente distribuisce a malincuore le pagnotte di pane e a maggior ragione non accetta che una cane gli rubi ogni giorno una pagnotta; decide, perciò, di seguirlo e scopre che è il cane del vecchio eremita; decide di cambiare vita e di non bestemmiare più; in paese si diceva che Silvestro fosse ogni sera visitato da Dio, dal momento che dal paese si vedevano degli strani bagliori provenienti dalla collina dove aveva dimora l’eremita; quando l’eremita muore, Galeone continua a scendere in paese e a ricevere, oltre al pane, anche altre cibarie dagli abitanti del paese che credevano che anche il cane avesse visto Dio; Silvestro non è riuscito in vita a convertire gli abitanti che, visitati da Galeone si sentono osservati dal cane e non si sentono più tanto sicuri della loro malvagia condotta; che sia Dio a spiarli attraverso gli occhi del cane? “C’è da aspettarsi di tutto quando c’è di mezzo Dio, se ne sentono raccontare tante…”. Le cose cambiano e la gente torna ad avere rapporti amicali, a non bestemmiare, a non mentire, ad essere solidale e a frequentare la messa domenicale; ma che cosa succederà alla morte del cane? Galeone, infatti, un giorno si ammala e rimane paralizzato nella piazza del paese; gli abitanti gli costruiscono un riparo e se prendono cura; quando muore decidono di seppellirlo accanto alla tomba del santo anacoreta ma trovano una sorpresa: lo scheletro di una cane, il vero cane di Silvestro, accanto alla tomba del suo padrone! Il cane che ha cambiato le antiche e cattive abitudini del paese è una cane qualsiasi, segno misterioso ma concreto del bisogno del divino nella vita umana, un richiamo alla coscienza del bene.
Ne Il tiranno malato il mastino Tronk, che per anni ha terrorizzato gli altri cani del quartiere, è improvvisamente colpito da una malattia incurabile; gli altri cani, allora, si riuniscono per aggredirlo e vendicarsi delle angherie subite; lo aggrediscono ma all’ultimo momento non lo ritengono nemmeno più degno di combattere e lo abbandonano al suo destino di morte. La vitalità, la potenza della natura è soggetta ineluttabilmente alla decadenza e alla morte; i cani sono chiaramente simbolo degli esseri umani, delle disparità sociali e della forza vitale che fatalmente decade.
Ne Il Colombre un terrificante squalo portatore di sventure e di morte si trasforma in felicità e fortuna, ma per il protagonista, Stefano, che ha trascorso la sua vita cerando di sfuggire a quello che crede un mostro, è ormai troppo tardi; il mistero allontana e attrae ma l’uomo resta vittima del fato anche quando potrebbe esserne il beneficiario, specialmente quando avidamente “vuole tutto ma spesso non sa prendersi nulla”.
Nella La giacca stregata il narratore trova sempre del denaro ogni volta che introduce la mano nella tasca destra della sua giacca fatta confezionare da un vecchio e sgradevole sarto; ma tutto questo ha delle conseguenze, perché ogni volta che tira fuori una banconota, qualcosa di brutto accade ad altre persone; ma, preso dall’avidità e dal desiderio di potere, l’uomo continua ad estrarre denaro, incurante degli accadimenti delittuosi; prima di giungere al rendiconto di fine vita, l’uomo brucia la giacca ma è troppo tardi perché il male procurato può cancellarlo.
Per finire, La ragazza che precipita è la caduta simbolica dei sogni: la ragazza che precipita è la giovinezza che vede cadere, a contatto con l’amara realtà, uno dopo l’altro le illusioni; Marta si lancia da un grattacielo verso il marciapiede sottostante e nel suo volo, raccontato sapientemente al rallentatore, incontra gli inquilini dei diversi piani, tra cui lo stesso autore che commenta fuori campo; man mano che scende, la ragazza comprende di aver sbagliato ma ormai è troppo tardi; la vita trascorre troppo veloce verso l’oblio e noi peggioriamo questa precipitosa caduta con affanni e angosce che la peggiorano e la accelerano ancora di più.
In tutti i racconti de La boutique del mistero il piano ordinario è rotto e nelle crepe Buzzati insinua lo straordinario per introdurci nel mistero dell’esistenza.
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